Secondo Kaës, per formare una coppia sono necessari un accordo, qualcosa di comune, un aspetto di indifferenziazione, una fantasia di formare un’unica unità e aspetti e oggetti condivisi che non appartengono totalmente né all’uno né all’altro, ma che appartengono -invece- un po’ all’uno e un po’ all’altro.
Per l’autore è pertanto possibile identificare, in un gruppo o in una coppia, degli aspetti singolari e degli aspetti comuni e condivisi, oltre a ciò che non è tale e viene chiamato da Kaës stesso: differente.
Il singolare corrisponde allo spazio psichico individuale che comprende la storia di ciascun individuo, i relativi aspetti inconsci, le sue identificazioni o relazioni d’oggetto. Un parte degli aspetti singolari nasce da ciò che è stato ereditato, da ciò che è stato acquisito e trasformato e da ciò che è rimasto non trasformato.
E’ Freud stesso, in Introduzione al narcisismo, 1914, a sostenere che “L’individuo conduce effettivamente una doppia vita, come fine a se stesso e come anello di una catena in cui è strumento, contro o comunque indipendentemente dal suo volere”.
Il comune è ciò che di psichico unisce i membri di un legame (può essere un desiderio, sogno o alleanze inconsce). Si tratta dell’area che porta alla necessità di abbandonare o perdere alcuni confini individuali, una certa indifferenziazione ma è anche la base psichica che permette all’individuo di emergere nella sua singolarità.
Il condiviso corrisponde alla parte comune ai soggetti del legame.
Il differente è lo scarto tra i soggetti nel momento in cui la loro differenza rivela quello che non può essere comune né condiviso tra loro.
Il concetto di alleanza inconscia è, nelle parole di Kaës “ciò che si trasmette, ciò che non si contiene, ciò che non si ricorda; la colpa, la malattia, la vergogna, il rimosso, gli oggetti perduti. Sono questi gli oggetti che, muniti dei loro legami vengono trasportati, proiettati negli altri” (2010).
La trasmissione transgenerazionale può pertanto essere definita come la trasmissione dell’inconscio, delle sue formazioni e dei processi.
Le alleanze inconsce sono al centro dei processi e modalità di trasmissione psichica transgenerazionale, poiché sono al principio dei passaggi e legami tra gli spazi psichici.
Coloro che inviano la mail, acconsentono alla resa pubblica di quanto espressamente detto. Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi). Le fonti di invio delle mail sono molteplici (non legate al solo wordpress).
Oggi condivido con voi una mail che reca con sé la fine del progetto “Un caffè freddo con i Dottori”. La scelta della richiesta che presi mesi fa, in carico, è legata al fatto che in realtà anche questa mail si situa come una delle richieste che ha poi, nei mesi seguenti, portato alla nascita del progetto.
Lo schema che seguirò nella condivisione della storia sarà un po’ diverso da quello usato fino ad ora. Non riporterò righe troppo ampie della mail con cui l’uomo mi contattò.
Compiendo per un attimo un salto diacronico, l’uomo ha portato avanti con me degli incontri di consultazione fino a seguire (nell’ hic et nunc) una psicoterapia.
Buona Lettura.
L’uomo che scrive è prossimo al compimento dei 50 anni; si descrive come una persona sicura di sé con un ottimo lavoro (seppur non quello dei suoi sogni) e si definisce bello e molto desiderato dalle donne.
La richiesta parte dalla presa (o presunta) consapevolezza che le numerose storie di solo sesso a cui lui si presta, non sono ciò che desidera realmente.
“Ho avuto ed ho molte donne; di qualsiasi età.. non devo quasi fare cenno che queste subito cadono ai miei piedi. Conosco ormai ogni tipologia di donna.. c’è quella con i problemi con la madre, con il padre, quella che è ancora figlia.. quella che sfugge dal matrimonio senza passione.. quella che vuole il sentimento.. quella che deve sentirsi cattiva e femmina.. poi ci sono le piccole che si atteggiano a donne fatte”.
Non a caso l’uomo ha contattato me, una giovane professionista: donna.
L’approccio utilizzato, da uomo bello e impossibile, appare fin da subito molto evidente. Le parole usate dall’uomo vogliono presentarsi come seducenti e cariche di eros.
Le parole sembrano bagnate; rilasciano – in sostanza- verso di me un senso quasi di viscido.
“Conosco ormai tutte le donne. Le donne sono tutte uguali. Lei è una donna, dottoressa.. quanto potrà mai essere diversa dalle altre?”
L’uomo si pone come quel “His majesty baby” di Freudiana memoria, sua maestà il bambino, quel bambino che una volta nato, sarà riempito dai genitori dalle proprie proiezioni (portandoli a rivivere così il loro narcisismo).
L’amore narcisistico nei confronti del bambino ha -tuttavia- un risvolto morboso molto insidioso: se il narcisismo dei genitori è stato gravemente ferito nella loro infanzia, l’amore narcisistico che essi rivolgono al figlio è altrettanto gravemente deformato. L’amore di sé (l’investimento libidico della propria esistenza che si espande come amore per il mondo circostante e per le persone che lo abitano), diventa un sentimento rigido che si attacca a oggetti ideali dal carattere magico, tanto importanti sul piano della consolazione quanto morti sul piano di una reale relazione di desiderio.
In sostanza l’uomo sembra ricercare delle relazioni in maniera bulimica, confusa, continua, delle relazioni che sono di fatto morte.
Passando da una donna all’altra (donne considerate poi tutte uguali), lui non si lega mai a nessuna, perde di vista il contatto con il suo desiderio e si condanna a dormire solo ogni notte, ammazzando il proprio desiderio.
L’uomo, probabilmente amato solo come oggetto ideale dai propri genitori, considerato solo come colui che deve rispecchiare e rispettare le loro aspettative, vive oggi la difficoltà di comprendere quale o chi sia quella “donna diversa” che lo ami non per delle qualità che vede mancanti in lei stessa (tu sei il padre che non ho mai avuto; tu sei la passione che mio marito non mi sa dare; tu sei speciale), ma quelle qualità che lo identificano come “lui, in quanto tale”.
L’uomo è giunto in consultazione portando con sé l’aria da piacione.
Ha sfidato la professionista che aveva innanzi e in poco tempo è crollato.
Ha dovuto ammettere – tra le lacrime- di avere bisogni e desideri che non aveva mai considerato prima.
“Ho capito che il sesso vuoto non fa per me. Voglio le carezze mentali”.
La dimensione della relazionalità che poi include quella della sensualità e della sessualità dice molto del nostro vissuto; è una dimensione vastissima che somiglia al letto di un fiume al cui interno si raccoglie e si collega il nostro sentire emotivo; un sentire emotivo che si concretizza nel piano reale come il modo che usiamo per entrare in relazione con il genere che troviamo interessante.
L’uomo ha un vissuto non facile. La famiglia d’origine è stata dura e l’ha investito di proiezioni difficili da sostenere (la posizione sociale occupata da lui, è molto elevata); nonostante non gli sia mai mancato niente in termini economici, l’affetto e il calore umano non possono essere acquistati e lui, ha da capire che a poco servono cene di lusso, regali costosi e macchine potenti se di fatto, nei sentimenti sei povero.
“Ti auguro l’amore”, mi verrebbe da dire e non per eccesso di romanticismo (al principe azzurro e alle principesse non ho mai creduto), ma per il semplice sentire, quel sentire che non ha bisogno di orpelli ma che ha bisogno di pelli.
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Per la rubrica “Una caffè freddo con i dottori”, ho scelto di rispondere ad una mamma di una ragazzina di 13 anni e di un bambino di 6 anni. La sua primogenita è figlia del suo primo compagno. Adesso lei convive felicemente con il padre del secondogenito, ma qualcosa in sua figlia sta cambiando e il cambiamento probabilmente è legato al legame della ragazzina con suo padre, oramai quasi del tutto assente. Ecco la sua lettera:
“Buongiorno, sono una mamma di una ragazza di 13 anni e di un bimbo di 6. Il mio secondo genito è arrivato dal mio attuale compagno, mentre il papà della mia bimba ci ha lasciate quando lei era ancora neonata (aveva 5 mesi). Non è mai stato presente nella sua vita è sempre stato fin ad oggi un padre completamente assente. Ad oggi i loro incontri, che nei primi tempi avvenivano un paio di volte al mese, si sono ridotti a massimo 3 volte l’anno e durante questi incontri le aspettative di mia figlia vengono puntualmente tradite. Quando mia figlia era più piccola era molto semplice (almeno in apparenza) gestire questa essenza. Poi sia io che il papà insieme al nonno (mio padre) facevamo di tutto per non farle mancare nulla. Infatti sembrava andasse tutto bene: giocava, si divertiva, aveva una sacco di amiche. Ma oggi la situazione è totalmente cambiata. Vedo mia figlia trascorrere dei momenti in cui soffre della mancanza del padre e più volte stesso lei mi ha fatta partecipe della sua sofferenza. Mi ha chiesta tante volte perché il padre non la chiamasse e non la cercasse più spesso. Le ho spiegato che non è assolutamente colpa sua! Le ho detto che alcuni adulti a volte scelgono di voler vivere liberi, come se fossero giovani, senza il peso delle responsabilità degli adulti. Ma il problema che più mi affligge in questo periodo, è che la osservo mentre interagisce e parla con le amiche, (anche in questo periodo di vacanze al mare) e noto che tende ad isolarsi. Non ride mai con loro, parla pochissimo, sembra che non si emozioni. Questa cosa mi fa paura perché vedo che poi si sente esclusa e non cerca la spensieratezza delle altre amiche. Non so come aiutarla. Provo a spronarla a lasciarsi andare ma è passiva, bloccata, apatica. Vedo che si sente non all’altezza delle sue amiche, come se cercasse sempre qualcosa che le manca. Non ha problemi a scuola e studia danza da quando aveva sei anni. Sia a scuola che a danza è bravissima e non mi ha mai dato problemi.”
Cerchi di guardare con gli occhi di sua figlia. Lei da madre ha compreso che c’è qualcosa che non va e sta provando ad aiutare sua figlia. Però noi adulti cadiamo spesso in un errore ingenuo e bonario, ma umano, che è quello di ridurre il nostro giudizio su ciò che accade ai bambini e ai ragazzi, alla nostra “visione adulta” delle cose. Lei più volte ha scritto “vedo..”, quindi probabilmente le sue sensazioni seppur giuste, non colgono appieno il punto di vista di sua figlia. Spesso capita di “proiettare” le nostre preoccupazioni e le nostre paure, senza che ce ne accorgiamo. Provi a vedere al di là delle sue paure, spinga lo sguardo più in là; è certa che sua figlia si senta esclusa dalle amiche, che non si senta alla loro altezza? Quanto è sicura che le sue amiche siano spensierate e felici? E che lei non si sia confidata con qualche amica?
Sua figlia sta vivendo una fase della vita “critica”. Si trova tra la fine di un ciclo (essere bambini) e all’inizio di un nuovo ciclo (adolescenza) in cui l’aspetto forse più importante riguarda principalmente il “definirsi”. Se volessimo fare un paragone, scomodando l’arte scultorea, sua figlia si ritrova a dover cominciare a dare una forma definitiva ad un pezzo di marmo che fino a questo momento della sua vita ha ancora forme indefinite. Come ogni buon artista sua figlia in questo momento ha bisogno di modelli riconoscibili e ben definiti da cui trarre l’ispirazione giusta per finire la sua scultura.
Probabilmente in questo momento della sua vita lei sente l’esigenza di attingere alle proprie origini (la ricerca del padre) e a quella storia che ha caratterizzato la sua e la vostra vita. Se volessimo metterci nei suoi panni, comprendere le ragioni e le motivazioni dell’allontanamento del padre potrebbero essere fondamentali per dare un senso alla sensazione di perdita e di mancanza che lei ha.
Potrebbe essere un occasione dare a lei e darvi, come famiglia, l’opportunità di affrontare insieme le vostre preoccupazioni e attingere positivamente alle vostre risorse per superare questa impasse.
Una terapia familiare affiancata ad incontri individuali dedicati a sua figlia potrebbero essere una soluzione.
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La mail che condivido con voi oggi, mi colpì nel momento della lettura perché solleva dei quesiti -sottili- a cui tengo profondamente. Se c’è qualcosa che mi fa scappare, da alcuni, sono pregiudizi e stereotipi.
Per questione mia, culturale, mi tengo ben lontana da chi attua ragionamenti dicotomici (maschio/femmina; nord/sud) e così via.
Il pregiudizio è sempre una brutta storia.
Buona Lettura.
“Gentile Dottoressa,
scrivo a lei perché è donna come me e forse in questa cosa può aiutarmi. Sono una ragazza bella (e lo dico perchè lavoro come fotomodella e ho partecipato anche a quel famoso concorso di bellezza, con buoni risultati), che ama stare in compagnia degli uomini. Da sempre, mi sono trovata a mio agio con l’altro sesso, per amicizia e simpatia e le donne mi etichettano come una facile, frivola e sciocca.
Ovunque vada è sempre uno sguardo brutto, quello che ricevo, per non parlare di quelle sottili parole che però sento “questa la dà a tutti; ma chi si crede; bella senza cuore”.
Il problema però.. è che queste stesse donne che mi etichettano non sanno (o non si rendono conto) che io sono lesbica!
Il mio stare così a contatto con gli uomini dipende dal fatto che io stessa, ho una forte componente maschile in me.
Questa cosa che le donne sono sempre così stronze con me, mi ha fatto anche dubitare, ad un certo punto, della mia omosessualità.. ma alla fine.. inutile girarci intorno per me il maschio è solo un fedele amico ma la sfera intima a me, richiede altro.
Sono in difficoltà, mi sento ferma e stressata. Sì, sono una bambolina ma che colpa ho io se le donne non sanno essere realmente solidali e amiche tra di loro?”.
Cara ragazza,
la tua mail ha (ri)aperto pensieri che a lungo – nel tempo- hanno sedimentato in me.
Racconti di te, della tua carriera nel mondo della moda e dello spettacolo; del tuo essere una bambolina che però non è pura pezza o plastica nelle mani degli altri, ma sai di essere un corpo capace di sentire, pensare e scegliere.
La tua storia mi fa ripensare a Sex and the city, una serie televisiva che ha sempre generato sensazioni in me. La serie – che a mio modo di vedere- ha avuto un certo successo già solo per il fatto di recare nel titolo la parola sesso, mostra come le prime nemiche delle donne, siano le donne stesse.
Abbiamo Carrie che si strugge per un amore non corrisposto (quello di un certo Mr Big colpito da lei solo perché vede cadere, dalla sua borsa, svariati preservativi), e mentre lei corre per le strade di New York su tacchi vertiginosi, viene costantemente preceduta dalla sua stessa ombra; un’ombra che la vuole single incallita (che viene per giunta pure lasciata la prima volta, sull’altare).
Abbiamo poi Miranda, abile avvocato che pur di avere successo, gioca talvolta con la propria componente maschile. Miranda è interessante perché nonostante si sia sempre dichiarata a sfavore della famiglia e dei figli, si sposa, fa un bambino e perdona anche il marito per averla tradita (non prima di essersi trasferita in un’altra città e aver ridotto le proprie ore di lavoro).
Charlotte e l’eterna ricerca del principe azzurro e la famiglia perfetta; così presa da questa ossessione da cambiare religione ed essere (fino ad un certo punto), sterile.
Samantha la panterona.. una donna con una seria dipendenza dal sesso. Non si lega -mai- passa attraverso relazioni promiscue fino a fare coppia stabile per diversi anni con un giovane attore. Nel periodo della relazione seria e matura, Samantha cambia completamente se stessa, lascia la città e perde completamente il contatto con il proprio essere. Capirà poi che non ha bisogno di un compagno, nella vita.
So cara ragazza che ti starai chiedendo cosa c’entra questo libero flusso di pensieri.. c’entra nella misura in cui la rappresentazione che le donne danno spesso delle donne stesse, non è delle più amichevoli.
Non è tanto una questione di bellezza (nella maggior parte dei casi), ad infastidire l’altro, quanto la serenità d’animo e il percepire che l’altro stia mantenendo fede al proprio processo di costruzione di sé.
Hai presente quando qualcuno chiede “come stai?” e tu rispondi “bene” e l’altro dice “mifa piacere”..
Ecco..
Perchè non dovresti avere “a piacere” che io stia bene?
Perchè i sorrisi e la serenità spaventano. Il velo di tristezza e rinchiudersi nella propria bolla scura e vedere nell’altro il buio, sa sempre dare più conforto.
Non sei bella, sei bellissima e ti stai ponendo domande, il primo punto per mantenere fede a quel che siamo; il primo punto per emanare bellezza fuori da sé e poco importa se l’altro di questo ne ha paura.
Le relazioni umane sono complesse ma al contempo sono anche la cosa più semplice (questo amo dire, di solito). Sono complesse perché davvero in pochi sono disposti a presentarsi per quello che sono, la paura del giudizio, del pregiudizio e di finire catalogati in un certo stereotipo è qualcosa di troppo forte da poter sostenere e in un’epoca dove la realtà sembra diventata una vetrina e la vetrina l’unico luogo a proteggere la realtà, le richieste che facciamo al nostro apparato psichico non sono delle più leggere.
Ho letto la tua lunga storia con profondo interesse; un interesse umano sincero ed empatico e scorgo in te profonde risorse..
..E.. permettimi di dire che le bambole -che siano di plastica o di pezza- le risorse non le hanno.
Coloro che inviano la mail, acconsentono alla resa pubblica di quanto espressamente detto. Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi). Le fonti di invio delle mail sono molteplici (non legate al solo wordpress).
La storia che decido di condividere oggi non è delle più semplici. Sono stata un po’ in dubbio sul procedere o meno e alla fine, in accordo con la diretta interessata, ho deciso di fornire una versione dei fatti che potesse rendere l’idea di quanto accaduto. E’ una donna a contattarmi una sera (molto tardi).
Ho accolto subito la richiesta perché ho percepito un dolore forte e visibile; un dolore capace di attraversare lo schermo nello stesso momento in cui ne stavo “soltanto” leggendo la descrizione.
Il dolore è sempre una condizione altamente personale, che va contestualizzata e compresa.
Buona Lettura.
“Buonasera Dottoressa,
mi scuso per l’orario di invio mail ma sono stata molto titubante sul procedere o meno con questa richiesta. Sono in una sorta di spirale da cui non riesco più ad uscire e non credo esista aiuto per me, per la mia condizione. Sono una donna sposata da un po’, insieme a mio marito decidemmo anni fa di adottare un bambino perché per cause che sono state definite psicogene, non siamo riusciti a concepire una vita. Abbiamo entrambi un ottimo lavoro, siamo ben inseriti nel contesto sociale; non abbiamo problemi economici né “riconosciute” problematiche di salute. Mirko, nostro figlio, è ormai prossimo all’adolescenza e sta avendo diversi problemi comportamentali, nonostante ciò a noi ha voluto subito benee non è mai stato aggressivo con noi.
Ora che rileggo ciò che ho scritto, rido.. Piango mentre rido perchè sono tutte cazzate.. cazzate che mi racconto ogni giorno per stare bene.
Mio marito ha un vita parallela da non so quanto tempo (l’ho scoperto per caso durante la quarantena; lei non è nemmeno chissà quanto più giovane e bella di me.. lui è proprio innamorato di lei: cosa ha lei che io non ho? perchè?)
Io sono sotto cura farmacologica da sempre; non ho mai voluto parlare dei miei problemi perchè la mia azienda ha bisogno di una me che sia ricettiva e pronta (specie con questa crisi senza fine) e Mirko..
Mirko è un delinquente! Sto maledicendo il giorno in cui abbiamo deciso di adottarlo! quanto siamo stati stupidi.. noi e questa storia dei “figli sono di chi li cresce”.
Lo so.. sono un mostro.. Ma a quanto sembra non ho via di uscita, evidentemente merito tutto questo: merito i tradimenti, le corna, i silenzi.. merito di non avere un figlio che sia mio.. Merito di stare male.. merito di avere crisi isteriche, di pianto, di vergogna; merito le parestesie..
Credo che la mia vita sia inutile.
Sto seriamente pensando a compiere quel famoso gesto lì.. quello pensato tante volte nella vita.”
“Gentile (..)
leggo di te e del tuo dolore che sbatte con forza su di me, in questa prima sera d’estate. Sei una donna coraggiosa, e ti ringrazio per questo coraggio che mostri mettendo in gioco te stessa attraverso il tuo sentire e la tua sofferenza.
(..)
Leggo dell’apparenza che circonda la tua vita; quel sottile velo che tiene ma non contiene la realtà dei fatti che è -invece- ben più complessa. Tuo marito ha una vita parallela con una donna che – a tuo dire- non ha e non è niente di più di quanto hai o sei tu. Soffri nel non comprendere il motivo della sua relazione; soffri nel non comprendere perché lui ami un’altra donna..
Una donna che – ne sei certa- è meno di te. Allora perchè?
Dici che per cause psicogene, non siete riusciti a generare una vita e che questa vita l’avete acquistata (parola della donna usata durante la consultazione), convinti del fatto che per essere genitori non serva portare in grembo, dentro di sé, una vita.
Racconti poi dei farmaci, dell’autolesionismo, delle parestesie e le tue numerose crisi.. Dell’efficienza lavorativa e di quel piccolo punto di buio che si sta allargando a macchia d’olio rischiando di avvolgere tutto il tuo essere: la faccio finita.
(Rifletto a lungo, durante la lettura della lunghissima mail. Ho come la sensazione di vedere (..) innanzi ai miei occhi. La immagino mentre forte e decisa racconta poi il crollo, le lacrime, le urla.. i pugni sul corpo.. le domande senza risposta. Il dolore puro).
C’è un sottovalutare la condizione dell’adozione e questo ho potuto constatarlo durante i corsi che la mia collega psicoterapeuta teneva (sia corsi adozione che la valutazione delle competenze genitoriali).
La gravidanza non è mai solo una gravidanza fisica; esista un’altra (e paradossalmente più importante) gravidanza che è quella psicologica. I 9 mesi di gestazione sono mesi che vanno pensati, immaginati e sentiti soprattutto nella mente. Prima dell’arrivo del bambino reale (banalmente anche quando siamo giovani e pensiamo ad un figlio) creiamo uno spazio che, nel momento della venuta del bambino, troverà un “già lì”, uno spazio di accoglimento pieno già di proiezioni genitoriali che.. il (povero) nuovo nato potrà o meno confermare “somiglia a te.. no a me.. farà il dottore.. ma quando mai ha i piedi da ballerino..”
Il bambino attraversa, è vero, il corpo materno; il bambino si fa spazio tra le viscere materne e analogamente si farà strada nella mente della madre e del padre, richiedendo loro un grandissimo sforzo: il riposizionamento di quanto in loro è stato (ed è) il narcisismo, l’edipo, l’amore, l’odio, l’aggressività (..)
L’infertilità “psicogena” attesta una condizione molto forte, nel registro del reale: Io non sono pronto. Io non voglio. Io non so se sono Io.
La condizione di Mirko è difficile; tutti i bambini adottati prima o poi (anche nelle adozioni meglio riuscite quindi non si tratta di mancato rispetto verso la famiglia adottiva), cercano le proprie radici. Questi bambini vivono sulla pelle la condizione della propria frattura identitaria: sono come talee che non riescono ad attecchire nonostante l’estremo nutrimenti, l’acqua e la cura che ricevono.
Manca loro il contatto con la terra che li ha generati.
La donna di questa mail è attualmente in cura farmacologica seguita dalla sua psichiatra (che ha deciso di lavorare in equipe mostrandosi molto aperta verso la psicoterapia); la donna segue una psicoterapia con il Dott. Rinaldi (alternando anche incontri di coppia, tenuti sempre dal Dott. Rinaldi, insieme a me) e Mirko sta procedendo con una consultazione psicologica con me.
La famiglia è seguita da un team che è qui per loro; un team che gli ricorda che nessuno è un membro isolato preda e vittima del suo sentire. Nessuno ha certamente il diritto di tirare giù, nella sua spirale l’altro, ma il lavoro sulla comunicazione resta sempre il fulcro.
La donna ha saputo – infatti- opportunamente contenuta in un setting stabilito, cosa il marito ha trovato nella sua amante; Mirko ha pianto perché sente essergli stata negata la possibilità di sapere “chi è”; la donna ha smesso di avere ideazioni suicidarie.
Questa famiglia è per me la famiglia del dolore celato.
Ma il dolore prima o poi trova valvola di sfogo e come la pressione della caldaia può decidere se farsi abbassare o salire a dismisura.. fino.. ad esplodere.
Coloro che inviano la mail, acconsentono alla resa pubblica di quanto espressamente detto. Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi). Le fonti di invio delle mail sono molteplici (non legate al solo wordpress).
La storia di cui parlerò oggi è quella che ha dato inizio al progetto “Un caffè freddo con i dottori”. Un giorno, giunge presso la mia casella di posta personale la richiesta di una giovane ragazza.
La giovane aveva urgente bisogno di un supporto psicologico ma – come spesso accade- prima di giungere in consultazione, c’è stato uno scambio che in questo caso, è stato tramite mail.
Fatta l’analisi della domanda, la ragazza ha cominciato un supporto psicologico con me poi una psicoterapia familiare con il Dott. Gennaro Rinaldi.
NB. Nel testo ci saranno molti puntini di sospensione che indicano tagli del discorso; tali tagli hanno la funzione di proteggere il cliente.
Ma andiamo per ordine.
“Gentile Dottoressa, mi chiamo … non so se questo è il modo corretto per procedere ma leggo molto il suo blog e ho visto che insieme al suo collega siete molto abili a parlare a noi giovani. Sto vivendo un momento di difficoltà molto forte e sono spaventata.
(…)
Sono nell’età dell’invincibilità (così dicono), ci descrivono come smart, belli, cazzuti e invincibili; hanno preso come modello della mia generazione gente come i Maneskin o Madame.. ma noi, i giovani veri, non siamo come quelli lì. La verità è che mentre mi vogliono cittadina del mondo, con la media altissima, sempre pronta a difendere i diritti di tutti e tutto, io ho solo una gran paura del mondo.
(..)
Molte cose sono precipitate con questa pandemia del cazzo. Ho visto la mia famiglia andare a pezzi: mio padre ha avuto il covid, è stato a casa chiuso nella camera da letto con l’ossigeno attaccato. Non l’ho visto per settimane intere (io non lo sapevo che questa malattia potesse durare anche mesi); mia madre era l’unica che entrava e usciva dalla stanza vestita come un sub.. l’ho sentita piangere per giorni interi e nel contempo ha perso 15 kg. Mio fratello piccolo piangeva perché voleva papà e ha cominciato a farsi la fantasia che lui ci avesse abbandonato.
Ricordo solo il rumore delle bombole, l’ossigeno che stava per finire e io che dovevo fare la maturità e volevo solo urlare.
Invece di urlare mi sono stampata la faccia da forte e ho finto che “tutto andasse bene”. Poi il crollo.. Dottoressa io ho paura, sento che non ho il controllo su niente e sento che quella vita che stava per iniziare è finita prima del tempo.
Ma quale generazione smart.. Sto seriamente pensando che la mia generazione un futuro non lo avrà mai più a disposizione. Vorrei la smettessero di dire che spetta a noi salvare il mondo, quando il mondo che ci state consegnando è già distrutto”.
Gentile ragazza,
le tue parole stamattina mi giungono come un cazzotto in pieno volto; una sveglia amara ma che riporta velocemente alla realtà dei fatti. Innanzitutto grazie mille per la tua fiducia e sì, hai fatto bene a contattarmi tramite mail.
(..)
La tua storia può sembrare piena di livore ma al suo interno noto un grande atto di coraggio: ci vuole coraggio a dirsi arrabbiati, stanchi e delusi. Ci vuole coraggio a dirsi “non ce la faccio più. Io non sono come voi mi volete”.
Il contesto storico in cui ci muoviamo è complesso e difficile perché muta di continuo senza assecondare l’enorme movimento di cui anche l’essere umano è – per sua natura- capace.
Ti sei trovata nella fase del ciclo di vita in cui stavi per terminare un lungo percorso di vita, quello che “termina” con la maturità; maturità che apre, tecnicamente, alla prima età adulta, quella fatta di scelte (università o lavoro?; vado a vivere da sola o resto a casa?; lascio il mio fidanzato storico o resto con lui?).
Gli interrogativi, in questa fase della vita sono molti e recano con sé ancora un germe che ci collega all’età adolescenziale: c’è in sostanza ancora bisogno di sentirsi piccoli, a tratti.. e i piccoli hanno bisogno della propria famiglia.
Hai visto tuo padre cadere preda della malattia, una malattia sconosciuta e subdola perché può avere tanti sintomi che possono essere scambiati per un “banale raffreddore”. Il ritardo nei soccorsi “quella notte”.. la paura di perdere il centro della famiglia, il freddo improvviso che senti percorrere tutto il tuo corpo che si palesa, nel momento presente con un’unica domanda che crea una eco senza sosta “papà è morto?”.
Hai visto tua made crollare (come quel giorno in cui è svenuta tra le tue braccia) e tuo fratello piccolo piangere senza sosta perché convinto che “papà ci ha abbandonati”.
Dici che ti vogliono smart, bella e sempre sul pezzo..
Ma tu ora vuoi piangere..
Poi c’è quella parentesi del vuoto affettivo creato da un ragazzo che appare e riappare quando più gli fa comodo; un fantasma.. un giovane senza corpo che sa riempirti di belle parole salvo poi lasciarti sola, quando più ne hai bisogno.
Sento il tuo dolore, cara (..), vedo la luce del razzo di posizione che hai gettato in aria, nella speranza che qualcuno, da qualche parte, ne seguisse la scia luminosa.
Sono qui per te e sono lieta di accogliere la tua richiesta di supporto psicologico.
Non sarà una strada facile, ma le acque agitate a te, non fanno paura.
Sei come una marinaia persa in mare che gira e di dimena tra le acque agitate della sua esistenza: io sono qui a tenderti un salvagente che sapremo gonfiare – insieme- tra un’onda e un’altra.
(Dopo i primi tre incontri di consultazione, dopo aver colloquiato anche con la famiglia, si è deciso di procedere parallelamente al supporto psicologico, con una psicoterapia familiare. Il nucleo familiare è stato preso in carico dal Dott. Rinaldi).
Sono tante le famiglie che vediamo ma poche quelle che si mettono – davvero- in gioco.
Non sarai come i Maneskin o come Madame (..) ma il coraggio con cui hai detto “Io ho paura”, a 19 anni, raramente l’ho visto.
Coloro che inviano la mail, acconsentono alla resa pubblica di quanto espressamente detto. Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi). Le fonti di invio delle mail sono molteplici (non legate al solo wordpress).
Per la rubrica “Una caffè freddo con i dottori”, ho scelto di rispondere ad una mamma di un bambino di 6 anni. Nella mail ci racconta della perdita del suo compagno, del dolore provato e di alcuni suoi timori, conditi da tante domande sul futuro suo e di suo figlio. Ecco la sua lettera:
” Buonasera dottori, approfitto di questa rubrica per chiedere una cosa che mi frulla per la mente da un po’ di tempo. Premetto che sono mamma di un bambino di 6 anni e mezzo. Purtroppo il mio compagno, padre di mio figlio è morto a causa di una malattia circa due anni e mezzo fa, nel 2019, mio figlio aveva 4 anni. Non vi nascondo che sono stata molto male per diversi mesi, ero entrata in una spirale molto buia. Tutt’ora non credo ancora di esserne uscita completamente. Il mio medico di base mi ha consigliato più volte di iniziare un sostegno psicologico, ma non ho mai avuto il coraggio di iniziare. La mia mente non era molto lucida e ho preferito cominciare a prendere i farmaci prescritti dal medico. Ora a distanza di due anni e mezzo e con questo periodo difficile che abbiamo vissuto tutti, comincio a capire che ho bisogno di uscirne definitivamente. Non posso continuare così. Lo devo anche a mio figlio. Lui nota la mia tristezza, mi vede spesso piangere. Dovrei essere io a consolarlo e no lui a me. Probabilmente quello che mi spinge a cambiare le cose è anche il fatto che ho incontrato, due mesi fa, un mio ex compagno di classe del liceo, anche lui reduce da una brutta storia. E credo di trovarmi bene con la sua compagnia.. ma ho paura di tradire il mio compagno, di fare un torto a mio figlio. Mio figlio me lo perdonerà? Lui ricorda ancora bene il padre.. Accetterà la presenza di quest’uomo? Sono giorni che i sensi di colpa mi travolgono. So che le vostre risposte non possono risolvere tutto e subito, ma mi farebbe piacere avere un vostro parere e se potreste darmi un consiglio. Grazie.”
Non è mai troppo tardi per cambiare le cose e non è mai troppo presto per cominciare a farlo. Probabilmente questa sua voglia di riprendersi di nuovo la vita in mano è realistica rispetto al fatto che ci sono le condizioni per riprendere in mano il timone della sua vita e ricominciare a “comandare” e decidere la direzione da prendere.
Innanzitutto vorrei che prendesse seriamente in considerazione il consiglio che le ha dato il suo medico. Iniziare una psicoterapia la potrebbe “sostenere e contenere” nel suo percorso di ri-costruzione personale e inoltre la potrebbe anche dare un grosso aiuto per riequilibrare alcuni aspetti relazionali legati alla genitorialità
Se quella che sta nascendo, con questo suo ex compagno di classe, è una relazione d’amore sincera e sana, non sarà di intralcio alla crescita di suo figlio. Anzi potrà colmare quel vuoto che ora caratterizza la vostra vita e lo aiuterebbe moltissimo a scaricarsi di pesi emotivi e responsabilità che potrebbero intralciare il suo normale percorso di crescita e sviluppo psicologico, cognitivo ed emotivo, rischiando di fargli saltare step importanti di sviluppo.
Se lei comincerà ad affrontare le sue paure e risolverà, metabolizzando, i nodi del lutto e della sua vita personale e familiare, con la psicoterapia e nel frattempo serenamente farà entrare nella sua e nella vostra vita (quella sua e di suo figlio) una terza persona, tutto diventerà più sostenibile e gradualmente le vostre vite cambieranno.
Se lei accetterà di ri-costruire e ri-partire da una nuova relazione, lasciando andare il capitolo precedente della sua vita, rimettendosi in gioco, allora anche suo figlio la seguirà. Comprenderà e accetterà la nuova figura genitoriale, conservando però sempre il ricordo di suo padre..
Coloro che inviano la mail, acconsentono alla resa pubblica di quanto espressamente detto. Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi). Le fonti di invio delle mail sono molteplici (non legate al solo wordpress).
La richiesta che ho deciso di prendere in carico oggi, giunge da un ragazzo. La sua mail mi ha particolarmente colpito a causa della profondità con cui il giovane è riuscito a rimandare dubbi e incertezze del suo vissuto. Si tratta di una storia familiare e affettiva complessa (motivo che mi ha spinta a limare diversi dettagli).
La delicatezza è lo stato d’animo che maggiormente mi ha accompagnata.
“Cara Dottoressa, sono un ragazzo stanco (…) Nella mia famiglia le cose non sono mai andate bene. Mio padre soffre da sempre di disturbo ossessivo compulsivo e mia madre di ansia. La loro è una coppia che per me, non ha senso di esistere (…). Non fanno che litigare, da sempre, e buttano su di me (senza ritegno) qualsiasi problematica di coppia (anche quella più intima, dando a me la colpa del loro fallimentare matrimonio). Si aspettano sempre l’eccellenza da me; non sono mai riuscito a godermi gli studi e nonostante io ora abbia un lavoro notevole, non penso di meritare quel che ho raggiunto (mia madre si ostina ad appendere in casa tutti gli attestati che ho conseguito, quasi fossero suoi trofei dimenticando di dire almeno: un bravo). Negli anni ho sviluppato prima una profonda ossessione legata ad una mia possibile omosessualità poi tutta una serie di compulsioni sul quale, non mi dilungherei…
Ho abusato di pornografia e di autoerotismo; poi un giorno ho conosciuto lei, online. Non so per quale motivo ma un giorno in cui stavo malissimo mi sono detto “vado da lei” e così.. stiamo insieme da 8 anni e mezzo.
Lei ha una storia particolare (mi sento in dovere, come clinica, di proteggere la storia della ragazza; per sommi capi dirò che è stata per diversi anni in una casa famiglia).
Sono anni che andiamo avanti e indietro dallo studio del terapeuta per aiutare lei a superare il suo trauma; così facendo ho lasciato me da parte, dimenticandolo non so dove. Il sesso è praticamente inesistente; se la sfioro lei mi picchia, piange.. e finiamo con noi sul divano che cerchiamo di trovare un punto a quanto accaduto. Io la amo.. è quanto negli anni mi ero immaginato come una storia.. Ma ultimamente, mi chiedo, Dottorè.. “ma che cos’è una coppia?.”
Gentile Ragazzo,
grazie per la tua mail e grazie -soprattutto- per la condivisione della tua storia di vita; una storia – mi rendo conto- non facile da rendere all’altro, predigerita.
Mi colpiscono diversi dettagli, del tuo racconto; emerge il racconto di un uomo che in una prima parte appare arrabbiato e cosciente di non essere la colpa di un “fallimentare matrimonio” che molto probabilmente non doveva esserci. Racconti – molto dettagliatamente- della tua vita familiare, delle liti, del fatto che in famiglia state meglio quando non vi vedete (gli esempi che fornisci su come sappiate gli orari di tutti, in modo da non incontrarvi mai, la dice lunga).
Parli di una casa fredda e del fatto che tutti, invece, vedano la tua famiglia come perfetta “hai un bel lavoro, sei giovane, stai con una donna più grande e la tua famiglia è unita”; siete riusciti -in sostanza- a mettere in atto quasi una farsa, in cui ciascuno recitaa soggetto, la sua parte: come nell’opera teatrale, infatti, ciascun membro della tua famiglia (che per sopravvivere si è immedesimato in un certo personaggio), vive un conflitto personale con quello che parrebbe il capocomico (tuo padre).
Da qui si snoda la tua vita, quella fatta di ossessioni, fobie, paranoie.. e Lei.
Mi racconti di una coppia (quella che hai sempre sognato), in cui però il centro è solo lei. Sono otto anni e mezzo in cui hai dimenticato di prenderti cura di te.. o meglio.. Hai usato dei palliativi (lo sport, le amicizie, lo studio), che ti hanno dato l’illusione di esistere.. Probabilmente si tratta di una “sopravvivenza” nata da un tacito accordo in cui hai deciso di smettere di pensare (lasciando così libero sfogo alle compulsioni).
Non posso dirti cos’è una coppia. La visione dell’amore e della dualità appartiene a una sfera del tutto personale.
Posso però dirti cosa vedo, io, quando ho innanzi due persone che condividono un sentimento che si fa percorso di vita.
L’alchimia che unisce due persone è percepibile ad occhi nudi; è come una fiamma, un’aura di bellezza che avvolge le due persone. E’ qualcosa che fa quotidianità che lega salda e rinsalda ogni giorno il sentimento tra i due. La coppia non è statica ma una dualità in formazione continua e costante; un prolungamento che fa di due separati un unicum mentale di difficile dissoluzione.
Nelle coppie solide che giungono presso una consultazione (che bada bene, non sono quelle che non litigano mai o che sono necessariamente felici), hai la percezione di vedere alternativamente sabbia e acqua, fuoco e vento, tempesta e sereno. Sono coppie in cui ciascuno alternativamente vive il proprio ruolo nella libertà dell’esperienza amorosa e sensoriale.
C’è poi l’aspetto della sessualità: una coppia condivide una sessualità che sia piena e soddisfacente per entrambi; non ci sono mezze misure. Il sesso si vive nella sua piena espressione, una espressione tipica (personale) per ciascuna dualità.
La coppia è quotidianità , bisogno di condividere il prima possibile, con l’altro.
Leggo della tua storia di coppia e mi dici che senti il bisogno di avere amicizie femminili. Non sai bene in cosa ti sei cacciato, con una nuova ragazza che hai conosciuto, sai solo che lei capisce.
L’essere compreso, accolto e contenuto mi sembra la mancanza più forte che da sempre vivi.
L’impossibilità di pensarti bisognoso di cure e debole, ti ha fatto – forse- rinchiudere in una relazione in cui per forza di cose tu sei, ancora, quello che non ha bisogno.
Curi l’altro per dimenticarti di te, ma ora, l’altro che è in te bussa con sempre più insistenza chiedendo di aprire.
Con veemenza, “l’altro da te” sta per buttare giù la porta.
Credo – vista anche la tua passione per la psicologia- che ci sia bisogno di raccogliere le urla che senti diventare sempre più insistenti, dentro di te.
Datti il tempo, L., di capire cosa vuoi, per il tuo futuro.
Sei un ragazzo che ha delle notevoli risorse a disposizione e una forte intelligenza; c’è anche però, in te, una rabbia molto forte che ha bisogno di essere eviscerata per essere compresa prima che questa.. tolga linfa vitale a te.
(La sera in cui ho risposto al ragazzo, lui mi ha inviato una nuova mail. Mi ha profondamente ringraziato per la spiegazione sulla coppia che a suo dire, lui non avrebbe mai potuto rendere meglio. Non credo di aver fornito una spiegazione particolarmente esaltante, ma le parole che il ragazzo mi ha riferito, mi fanno davvero ben sperare).
Non siamo destinati a seguire il copione familiare.