Un paio di anni fa mi trovavo nella mia amata Catalogna (a Tarragona per intenderci).
Quell’estate segnava la fine, quindi l’intrinseco inizio, di un ciclo complesso e difficile.
Duro.
In qualche modo le mie risorse interne, accompagnate da poche ma solidissime risorse esterne, avevano fatto in modo che resistessi -ancora una volta- ai temporali.
Quell’anno lì l’acqua era davvero ovunque, nemmeno il tempo di alzare la testa per prender fiato che -sbam- nuova onda e lì.. giù … ma non troppo… come nemmeno troppo su.
Oscillazione continua e costante, pendolo dell’esistenza come da Schopenhaueriana memoria.
Tarragona è stata una parentesi felice e serena.
Abitare e vivere i posti sono stati dell’esistenza molto diversi; si può vivere in un luogo abitandone un altro (analogamente a quanto accade con la nostra psiche).
Posso vivere un corpo che non abito o abitare in una pelle che non vive il mio corpo.
Insomma…
La Spagna contiene il mio essere, si situa come un luogo capace di farmi vivere e abitare allo stesso tempo.
Un giorno, in un negozio, ho visto degli occhiali certo vagamente trash, forse eccessivi… ma quella lente azzurra ha attirato la mia attenzione.
Quando li ho visti sullo scaffale ho pensato alla felicità “questi sono gli occhiali della felicità”, c’era – in sostanza- qualcosa fuori da me, che mi indicava un bisogno -forse un desiderio- (ma siccome desiderio e bisogno non coincideranno mai, così come la psicologia dinamica ricorda), non sono stata lì troppo a pensare e li ho indossati.
Gli occhi chiari sono un bellissimo salto nella luce che acceca e fa lacrimare (molti hanno difficoltà a guardare negli occhi chiari perché -come un paziente mi disse- sono come uno specchio) e sono di difficile “manutenzione”.
Sono occhi che soffrono facilmente, si irritano quando meno te lo aspetti; banalmente portati a pensare che siano occhi freddi, si tratta di occhi che piangono o lacrimano al primo raggio che arriva senza preavviso; polvere e vari agenti atmosferici intrudono sempre con un’aggressività costantemente fuori controllo.
Il problema è che io non sopporto gli occhiali da sole; odio schermare i miei specchi sul mondo, non sopporto di dover alterare il colore delle cose e non mi piace mettere barriere.
La lente azzurra è diventata, allora, uno velo sottile e trasparente (luminoso e protettivo) che mi ricorda che ogni tanto anche io devo proteggermi (magari anche in maniera trash) inoltre… vedere il mondo blandamente azzurro aiuta… quando il nero si ripresenta.

“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio