Una donna lamentava l’indifferenza delle persone “A stento chiedono come sto, ma tanto lo so.. a loro non interessa minimamente come io mi senta; sono sola vivo nell’indifferenza del prossimo e il mio dolore cresce. Sento il bisogno di domande – che non ricevo- a cui non so dare una risposta.. Poi.. ne sento la mancanza, forte.. fortissima”.
L’assenza di parole genera un vuoto e la ricerca di una domanda che tarda ad arrivare “come stai?” lascia nello sconforto e preda della solitudine.
Una solitudine che sa farsi presenza nella stessa assenza rimandata da una eco incessante che si perde nel ricordo e nel bisogno.
La donna stava palesando, nel non detto, il desiderio non tanto di sentirsi chiedere come stesse, ma la potenza del dubbio incessante:
“Come sta?” “Cosa starà facendo?” “Si ricorda?”
L’abbandono avvenuto mesi fa, l’aveva lasciata come quei rametti che il mare talvolta rende alla riva: sfilacciata, spezzata, umida e scorticata.
L’abrasione non era tanto presente sul piano fisico, quanto sul piano psicologico dove Lei attuava un uso massiccio di difese, primo fra tutti l’isolamento dell’affetto (scissione dell’affetto dalla rappresentazione. Frequente ad esempio nei traumi. La rappresentazione resta cosciente, disturbante, ma è privata di connessioni emotivamente cariche. E’ ciò che in condizioni “normali” accade con pensieri quali quelli della morte che risultano così angosciosi da portare l’individuo a prendere una distanza affettiva).
La donna era rimasta sola e nei mesi aveva a lungo cercato una domanda, mai giunta.
Le parole vanno via, ma resta – in luogo del segno grafico o della componente fonetica- l’emozione che evocano e il ricordo.
La componente maggiormente dolorosa e più sottovalutata, della parola stessa, è il mondo interno che sa smuovere; il legame con i sentimenti, l’aggancio, l’amo che sa tendere al nostro inconscio giungendo ad abbattere anche le difese attuate dall’Io, istanza che protegge (e prova a proteggersi) dalle esperienze pulsionali eccessive (percepite come pericolose), dall’Es e le sue eccessive richieste istintuali.
“Come stai” è una domanda da porsi ogni giorno; un decentramento cognitivo importante perché consente noi di guardare alle nostre emozioni e ai nostri pensieri, come degli eventi.
E’ un guardarsi senza giudicarsi.
E’ porsi quasi nella prospettiva dell’altro restando se stessi nel mentre ci si osserva.
Quando qualcuno ci chiede “come stai”, non preoccupiamoci troppo della sua mancata attenzione alla risposta, gettiamo un amo nel nostro inconscio e prendiamoci cura di noi stessi.
Se poi.. abbiamo cura e bisogno di sapere come sta qualcuno.. non lasciamo che questo spazio resti vuoto creando sconforto e dilatazione al cui interno attecchisce il dolore o il dubbio.
“Come stai”.. resta – ancora- una delle domande e delle attenzione più belle da riservare all’altro e a se stessi.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.