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Me stesso attraverso l’Altro.

“Sono ciò che sopravvive da me.”

Erik Erikson

L’introiezione degli insegnamenti e dei valori morali, delle figure genitoriali e culturali è fondamentale per lo sviluppo della personalità.

Un’ immagine di sé coerente diventa essenziale per formazione di una personalità sana.

Lacan, con la sua teoria dello Stadio allo Specchio, teorizza che proprio quella “immagine” può portare ala formazione del Moi (Io). Esso si forma dal nostro rapporto con gli altri. Il bambino acquisisce, con lo Stadio allo Specchio, una padronanza immaginaria di se stesso, una forma unitaria.

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Si passa dall’estraneità al riconoscimento. Inizialmente l’immagine dal bambino viene percepita come fuori da sé. L’immagine di sé viene quindi portata dall’Altro. Bisogna che il bambino venga investito dell’immagine dell’Altro per identificarsi. Egli si identifica all’Altro simile, attraverso l’immagine speculare di questi.

La cosa importante che sottolinea Lacan, è che è proprio l’Altro a ratificare l’immagine del bambino allo specchio. Il bambino è quindi identificato ad una marca simbolica.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Cerotti dell’apparato psichico.

Ci sono ferite, graffi più o meno profondi, tagli a carne viva che bruciano e meritano la nostra attenzione.

Ogni ferita prima o poi guarirà, è solo questione di tempo e di cura; cura per il proprio taglio e cura per l’eventuale cicatrice (più o meno visibile che sia).

Anche l’apparato psichico soffre, si ammala e richiede la nostra attenzione: richiede le nostre cure.

Il problema dell’apparato psichico è che non sanguina in maniera visibile e sappiamo – invece- quanto le persone desiderino vedere nel reale, la cosa.

Ciò però che vorrei sottolineare con voi è che in realtà anche l’apparato psichico “sanguina”, soffre e si ammala e ce lo mostra attraverso il sintomo.

In lingua napoletana abbiamo un detto traducibile con “il cervello/la testa è una sfoglia di cipolla”; secoli dopo -Lacan- riprendendo Freud il quale sosteneva che l’Io è fatto dalla successione delle sue identificazioni con gli oggetti amati e che gli hanno permesso di prendere la sua forma; sosterrà proprio che L’Io è fatto come una cipolla “lo si potrebbe pelare e si troverebbero identificazioni successive che lo hanno costituito”, Lacan, 1975.

Siamo allora fatti di strati più meno compattati, più o meno rotti, più o meno escoriati.

Se l’apparato psichico, se l’Io soffre, mette in atto tutta una serie di modalità difensive: converte, isola, sublima, si chiude, intellettualizza e così via.

Una volta una ragazza disse di non riuscire a cacciar via dal proprio cuore un ragazzo; provai a riflettere con lei e provammo -insieme- a notare una cosa.

Il cuore è l’ultimo dei problemi; non è da lì che vanno tirate via le persone o le questioni, le cose, e non è lì che vanno relegate.

E’ la mente la prigione, la gabbia o l’illusione più forte che possiamo avere; è la mente che sa generare la storia più incredibile.

La mente crea, distrugge e soprattutto ricorda.

Il ricordo poi può essere più o meno aderente alla realtà dei fatti. Il ricordo torna, (ri)torna in maniera più o meno camuffata (ne sono un esempio i sogni).

Il ricordo genera la mancanza fino a lasciare dietro di sé uno strato più o meno lacerato.

Le lacerazioni creano dolore.

E’ del nostro apparato psichico e delle sue cicatrici che dobbiamo avere cura.

Usiamo cerotti quando serve, teniamo al coperto le ferite quando sono calde e pulsanti; disinfettiamo e teniamo al sicuro la nostra pelle psichica.

Quando saremo pronti, quando i nostri strati avranno (ri)trovato quella parvenza di compattezza.. allora sì.. stacchiamo pure il nostro cerotto e continuiamo ad avere cura di quella piccola e quasi invisibile cicatrice.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.