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“Il cielo stellato sopra di me”.

Filosofi e antichi lo hanno sempre saputo: guardare il cielo -con le sue stelle- riporta l’essere umano in connessione con se stesso, con i suoi desideri.

Desiderare è un verbo molto affascinante e straordinariamente potente.

De-siderare: cessare di contemplare le stelle a scopo augurale. Si tratta pertanto dell’unione della particella negativa de e del termine sidus– stella.

Il termine rimanda a qualcosa di negativo; si tratta di ripensare a ciò che gli antichi facevano ovvero leggere e guardare le stelle nella speranza di scorgerne segnali, risposte..

Desiderare indica quindi la mancanza delle stelle (dei buoni presagi).

Desiderare indica un’assenza, il venir meno di un’attesa.

Desiderando non mi attendo più che qualcosa “tra le stelle” mi indichi, mi dica o compaia. De- siderare è smettere di attendere dall’alt(r)o ciò che voglio o spero di.. ma cominciare a cercarlo per conto proprio. Cominciando a cercare “da me”, volgendo lo sguardo sul mio desiderio attuo una spinta verso l’esterno e pertanto mi pongo verso l’altro.

Spostandomi verso l’altro mi sposto verso di me: verso me come soggetto di un desiderio.

Le stelle cadenti altro non sono che meteore ovvero pezzetti di roccia, ghiaccio o detriti spaziali che bruciano quando incontrano l’atmosfera terrestre; tale combustione (che è resa a noi visibile da quell’affascinante scia luminosa), è ciò che siamo soliti chiamare “stella cadente”.

La Terra va incontro a questi detriti poiché lungo la sua orbita intorno al sole -in determinati momenti dell’anno- si avvicina ad alcune regioni dello spazio in cui sono concentrati un gran numero di rocce e frammenti lasciati dalle comete, i quali entrano in gran numero a contatto con l’atmosfera e bruciando danno vita agli sciami meteorici, ossia le “piogge” di stelle cadenti.

La cometa 109P/Swift-Tuttle, vi dice qualcosa? E’ un corpo celeste che passa vicino alla terra ogni 133 anni; i suoi detriti incrociano l’atmosfera terrestre nella metà di agosto e…

Cosa accade?

Accade quella che noi definiamo “notte di San Lorenzo”. Queste “stelle”, cadono ad una velocità di circa 59 km al secondo (210mila km all’ora).

Ognuno porta con sé un desiderio, un orizzonte verso cui volgere lo sguardo senza necessariamente cercare tra le stelle, ma cercando tra (e in) sé.

Altri ancora, hanno bisogno di guardare le stelle perché ancora non sono sicuri di poter volgere lo sguardo altrove e spaventati dal proprio sentire, dal desiderio che pulsa, volgono lo sguardo sopra di sé.

Qualunque sia l’origine o la funzione delle stelle, qualunque sia l’origine o la funzione del tuo desiderio, che sia sempre tempo per il desiderio.

“Doc ma tu ce l’hai un desiderio?”

“Uno enorme, gigante, che ha il sapore dell’impossibile. Non è illusione ma comprensione che seppur non potrà, per me, sempre sarà”.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

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Dinamica della Gratitudine.

“Il sentimento di gratitudine è una delle espressioni più evidenti della capacità di amare. La gratitudine è un fattore essenziale per stabilire il rapporto con l’oggetto buono e per poter apprezzare la bontà degli altri e la propria”.

Melanie Klein, Invidia e Gratitudine, 1957, p., 29

Il tempo veloce -il tempo dell’epoca social che ci fa sempre più asociali- toglie spazio alla capacità di metarappresentare (la capacità di avere o rappresentarsi stati mentali dell’altro. Capisco -riesco ad inferire ad esempio dal linguaggio non verbale- come o cosa l’altro pensa o come/cosa l’altro sente).

Un tempo che si esaurisce nel suo stesso nascere (ancor di più di quanto normalmente farebbe), essendo stato inglobato nelle leggi dei circuiti che consumano soltanto, rischia di togliere spazio all’uso del tempo che viene soltanto abusato avidamente, senza essere vissuto e goduto.

Il tempo presente è (psicopatologie alla mano), un tempo in cui il godimento “reale” è escluso dall’esistenza stessa.

Senza che ne siamo troppo consapevoli, la società cui siamo esposti, è profondamente castrante.

Molti dei meccanismi in cui rischiamo di restare impantanati, si situano come un No al godimento nel registro del reale, spostando il godimento nell’illusorio registro dell’immaginario, rompendo il legame che passa per l’importantissimo registro del simbolico.

La gratitudine è un sentimento fondamentale per la costruzione dei legami sociali ma anche -e soprattutto- per la costruzione di un assetto psicodinamico (che passa per il legame con l’oggetto), sano.

La gratitudine…

Quando resti incollato tra le immagini o le notizie che passano, cedendo ai pensieri più o meno oscuri, è facile dimenticarsi della gratitudine.

Senza il senso di gratitudine, diventare preda della barbarie è facile e veloce proprio come i circuiti che utilizziamo quotidianamente.

Se ti fermi, ogni tanto, riesci ad apprezzare.

Puoi apprezzare lo straordinario e assordante suono del silenzio.

Puoi renderti conto che c’è qualcuno che riesce a sentire -ascoltando- il silenzioso frastuono dei tuoi pensieri; perché certe volte anche dire “Hey… io non vado da nessuna parte!” può bastare per ringraziare.

Si può ringraziare per quella parolina giunta al momento giusto; per una voce che si situa come quel conforto caldo tra i mille pensieri freddi.

Puoi ringraziare per quell’immagine che arriva come la rappresentazione giusta di quello che stai vivendo, per la comprensione.. di uno sguardo che nessuno nota e che qualcuno coglie nelle sue straordinarie sfaccettature.

Puoi ringraziare perché c’è chi capisce che ti manca qualcuno o qualcosa e senza stare lì a chiedere, dire o fagocitare sente

(e capisce!).

Puoi ringraziare per quegli incontri che sembrano benedetti, che sia dal destino o dal fato, poco importa.

Sii grato.

Sii grato per gli incontri di luce, quelli dove la carne dello spirito si nutre e si idrata, di passione e bellezza; sii grato per quegli incontri che sanno di abbracci che scaldano la materia cerebrale e scaraventano le sensazioni come schiuma di mare esposta al vento dell’incertezza che porta sale sulle nuove certezze conquistate.

(E ogni tanto fermati.. che non c’è niente di male)

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Una foto in terapia.

Ti stupiresti del colore reale dei miei capelli.. Del rame acceso che emanano e dei fili d’oro colato che li attraversano.

Ti stupiresti del calore del mio corpo, del colore che certe curve possono emanare e dell’estasi che le mie impronte ti possono regalare.

Ti stupiresti degli occhi trasparenti, che nessun monitor può rendere la luce di vita e speranza che uno sguardo può inviare.

Ti stupiresti del suono delle mie labbra, dei fulmini che l’arco di cupido può lanciare.

Ti stupiresti delle mie carezze, delle mie incertezze, dei miei mille movimenti, della voglia di partire senza mai tornare, del viaggio che mi fa casa e del ritorno che si fa partenza.

Ti stupiresti nel conoscere me, non la mia immagine nè la mia idea ma quel che sono che è quel che non posso essere e per questo è straordinariamente potente.

Una ragazza che seguo da qualche mese continua a vivere l’illusione di sé ancorandosi all’immagine che lancia, dal suo seguitissimo profilo.

Pubblica foto di continuo, completamente ritoccate, ed ogni volta che incontra i ragazzi che la contattano perchè affascinati dalla sua immagine (non da lei), la delusione, i pianti e le loro risate cattive fatte alla sua reale immagine, fanno sprofondare la giovane in uno stato catatonico.

Lo stato quasi cereo in cui la ragazza cade, sembra essere l’espressione di una modalità di difesa da lei assunta (quasi, si potrebbe ipotizzare, una identificazione con l’immagine altra da sè, di lacaniana memoria che rimanda quindi a quello che gli altri vogliono e dicono all’infans di essere); l’immagine però, non è reale e la ragazza resta imprigionata tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere.

La giovane cade preda del nulla facendosi foto reale, per non percepirsi come quell’essere mancante che invece lei è (nella sua opinione).

I social sovvertono il legame con il corpo e il corpo perde i suoi confini.

Non siamo circuiti.

Siamo esseri umani.

Dott.ssa Di Maio Giusy

Me stesso attraverso l’Altro.

“Sono ciò che sopravvive da me.”

Erik Erikson

L’introiezione degli insegnamenti e dei valori morali, delle figure genitoriali e culturali è fondamentale per lo sviluppo della personalità.

Un’ immagine di sé coerente diventa essenziale per formazione di una personalità sana.

Lacan, con la sua teoria dello Stadio allo Specchio, teorizza che proprio quella “immagine” può portare ala formazione del Moi (Io). Esso si forma dal nostro rapporto con gli altri. Il bambino acquisisce, con lo Stadio allo Specchio, una padronanza immaginaria di se stesso, una forma unitaria.

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Si passa dall’estraneità al riconoscimento. Inizialmente l’immagine dal bambino viene percepita come fuori da sé. L’immagine di sé viene quindi portata dall’Altro. Bisogna che il bambino venga investito dell’immagine dell’Altro per identificarsi. Egli si identifica all’Altro simile, attraverso l’immagine speculare di questi.

La cosa importante che sottolinea Lacan, è che è proprio l’Altro a ratificare l’immagine del bambino allo specchio. Il bambino è quindi identificato ad una marca simbolica.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Che cos’è la maschera? Riflessioni con Lacan.

“La maschera inquieta perché ha la capacità di creare uno strano gioco in cui ciò che è noto diventa ignoto e ciò che è ignoto diventa una possibile verità rendendo il tutto preda di dubbi e incertezze”…

Una riflessione sulla maschera, “insieme” a Lacan.

Buon viaggio e buon ascolto.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Resistenze mentali..

“L’atteggiamento spontaneo di un essere umano è: – non voglio saperlo – , una resistenza fondamentale all’accesso di conoscenza”

Jacques Lacan
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A volte non conoscere o scegliere di essere inconsapevoli, può essere apparentemente più rassicurante..

dott. Gennaro Rinaldi

Ghosting: Paola e il fantasma.

Dall’amore alla sparizione. Paola racconta della fine della sua relazione, una fine improvvisa, avvenuta senza preavviso. Il compagno diventa un fantasma e la donna, una vittima inconsapevole del fenomeno noto come ghosting.
Chi sono allora questi fantasmi?

E cosa (e come può aiutarci), la psicologia?

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Cerotti dell’apparato psichico.

Ci sono ferite, graffi più o meno profondi, tagli a carne viva che bruciano e meritano la nostra attenzione.

Ogni ferita prima o poi guarirà, è solo questione di tempo e di cura; cura per il proprio taglio e cura per l’eventuale cicatrice (più o meno visibile che sia).

Anche l’apparato psichico soffre, si ammala e richiede la nostra attenzione: richiede le nostre cure.

Il problema dell’apparato psichico è che non sanguina in maniera visibile e sappiamo – invece- quanto le persone desiderino vedere nel reale, la cosa.

Ciò però che vorrei sottolineare con voi è che in realtà anche l’apparato psichico “sanguina”, soffre e si ammala e ce lo mostra attraverso il sintomo.

In lingua napoletana abbiamo un detto traducibile con “il cervello/la testa è una sfoglia di cipolla”; secoli dopo -Lacan- riprendendo Freud il quale sosteneva che l’Io è fatto dalla successione delle sue identificazioni con gli oggetti amati e che gli hanno permesso di prendere la sua forma; sosterrà proprio che L’Io è fatto come una cipolla “lo si potrebbe pelare e si troverebbero identificazioni successive che lo hanno costituito”, Lacan, 1975.

Siamo allora fatti di strati più meno compattati, più o meno rotti, più o meno escoriati.

Se l’apparato psichico, se l’Io soffre, mette in atto tutta una serie di modalità difensive: converte, isola, sublima, si chiude, intellettualizza e così via.

Una volta una ragazza disse di non riuscire a cacciar via dal proprio cuore un ragazzo; provai a riflettere con lei e provammo -insieme- a notare una cosa.

Il cuore è l’ultimo dei problemi; non è da lì che vanno tirate via le persone o le questioni, le cose, e non è lì che vanno relegate.

E’ la mente la prigione, la gabbia o l’illusione più forte che possiamo avere; è la mente che sa generare la storia più incredibile.

La mente crea, distrugge e soprattutto ricorda.

Il ricordo poi può essere più o meno aderente alla realtà dei fatti. Il ricordo torna, (ri)torna in maniera più o meno camuffata (ne sono un esempio i sogni).

Il ricordo genera la mancanza fino a lasciare dietro di sé uno strato più o meno lacerato.

Le lacerazioni creano dolore.

E’ del nostro apparato psichico e delle sue cicatrici che dobbiamo avere cura.

Usiamo cerotti quando serve, teniamo al coperto le ferite quando sono calde e pulsanti; disinfettiamo e teniamo al sicuro la nostra pelle psichica.

Quando saremo pronti, quando i nostri strati avranno (ri)trovato quella parvenza di compattezza.. allora sì.. stacchiamo pure il nostro cerotto e continuiamo ad avere cura di quella piccola e quasi invisibile cicatrice.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.