
Una buona diagnosi non può prescindere dalla valutazione dei meccanismi di difesa utilizzati dal paziente stesso. I meccanismi di difesa sono operazioni psichiche che l’individuo utilizza (in maniera inconsapevole e automatica), allo scopo di prevenire l’esperienza cosciente di affetti o idee spiacevoli e/o angosciosi.
Una delle funzioni principali delle difese è mantenere l’equilibrio psichico che permette all’Io (colui che media tra mondo interno e condizioni della realtà esterna) di continuare a funzionare in modo stabile.
I meccanismi di difesa possono pertanto (seguendo l’ultimo punto esposto), rappresentare una via di fuga da una realtà troppo angosciante, creando modalità alternative di adattamento. Tali modalità sono funzionali, ma non dobbiamo sottovalutare la possibilità che diventino disadattive se utilizzate in modo rigido e pervasivo.
I modelli teorici contemporanei, a differenza del modello strutturale di Freud (dove le operazioni difensive svolgono la funzione di inibire il soddisfacimento di pulsioni sessuali inconsce), rilevano come esse consentono di ridurre le dissonanze cognitive e ridimensionare i cambiamenti improvvisi della realtà interna ed esterna, alterando la percezione di sé e dell’altro.
Ogni individuo tende a utilizzare le stesse difese in maniera distintiva quando si trova in situazioni stressanti e conflittuali; ne deriva che in tal modo la persona giunge a costruire uno specifico stile difensivo che struttura e plasma la personalità (pertanto anche i suoi disturbi).
Karl Menninger (1963) ipotizzò che la malattia mentale potesse essere intesa come un processo unitario in cui le diverse forme di psicopatologia sono in relazione con specifici livelli di organizzazioni di difese.
Kernberg (1984), in una concezione analoga, posiziona le difese lungo un continuum evolutivo e gerarchico. Uso e scelta delle varie difese, dipende dal livello di integrazione dell’Io: ne deriva che i pazienti più gravi usano meccanismi di difesa più primitivi (quelli delle fasi precoci dello sviluppo), mentre i soggetti con un Io più integrato usano meccanismi di difesa più “alti”.
Un esempio di difese mature (che consentono un adattamento ottimale agli eventi stressanti, promuovendo un equilibrio in situazioni conflittuali), sono ad esempio:
affiliazione: indica la capacità di chiedere aiuto per poi poterlo ricevere
altruismo: i conflitti emotivi vengono affrontati aiutando l’altro soddisfacendo sia i propri bisogni sociali che quelli di attaccamento
sublimazione: si convertono i propri impulsi intollerabili in comportamenti socialmente accettabili.
Un esempio di difese nevrotiche (esclude dalla consapevolezza i conflitti e gli eventi stressanti e si declina in dimensione isterica o nevrotica):
rimozione: trasferire la componente cognitiva di un evento conflittuale nell’inconscio; il soggetto è incapace di ricordare
formazione reattiva: pensieri o impulsi inaccettabili vengono sostituiti da comportamenti opposti con lo scopo di evitare sensi di colpa
Un esempio di difese narcisistiche (difese che regolano l’autostima distorcendo l’immagine di sé, del proprio corpo e degli altri)
svalutazione: il soggetto attribuisce aspetti esageratamente negativi a sé o agli altri
onnipotenza: il soggetto costruisce un sé grandioso per sopperire alla paura della perdita della propria autostima
E così via…
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.