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Le cure materne

La vita umana ha la necessità di incontrare le mani nude di una madre, “le mani che salvano dal precipizio dell’insensatezza” *.

“Le cure materne, diversamente da quello che accade in ogni ambito della nostra vita individuale e collettiva, non sono mai anonime, generiche, protocollari, standard; non si dirà mai abbastanza dell’importanza della cura materna che non è mai cura della vita in generale, ma sempre e solo cura di una vita particolare. “

Massimo Recalcati – Le mani della madre
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Il ruolo della madre è in continua evoluzione e rincorre i tempi della iper-modernità. Le cure materne sembrano quasi entrare in contrasto con la velocità “maniacale del (nostro) tempo“. Ma la cura materna, come dice Recalcati, non si misura con il numero delle ore dedicate ad i figli, ma piuttosto con la presenza della parola e del desiderio; “la presenza senza parola e senza desiderio può essere ben più deleteria di un’assenza che magari sa anche donare (poche) parole ma giuste” *. Quello che sembra essere insostituibile ed estremamente necessario, nel discorso della cura materna, è la testimonianza che può esistere “una cura che ami il particolare più particolare del soggetto” *.

“Solo se lo sguardo della madre non si concentra a senso unico sull’esistenza del figlio la maternità può realizzare appieno la sua funzione”

Massimo Recalcati – Le mani della madre

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

*il corsivo è di M. Recalcati

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Disturbi Somatoformi.

Immagine Personale.

“E’ giovedì e Giovanna ha due esami: alle 11:00 filosofia morale (un esame orale che dicono essere abbastanza veloce) e alle 13,30 storia contemporanea.

Giovanna non dorme regolarmente da 4 settimane; sono gli ultimi due esami prima della discussione della tesi, non ha pagato le tasse e se non passa gli esami oltre a dover rinviare la laurea, dovrà pagare anche la mora (non ha nemmeno detto di questo piccolo dettaglio ai genitori).

Giovanna si sveglia anche se ha la sensazione che “la notte non ci sia stata”; ha crampi dolorosissimi allo stomaco e sente dolori ovunque, nel corpo. Non presta molta attenzione alla cosa, sa infatti che prima degli esami “sente cose strane”.

Dai dolori allo stomaco e al corpo, si passa però alle vertigini. Giovanna vede la stanza intorno a sè, girare, e percepisce come la sensazione di ondeggiare sul mare. Corre in bagno e crede di dover vomitare, ma non ci riesce; stramazza al suolo colma di sudore, ha freddo.. poi caldo. Il cuore esplode e le orecchie sibilano all’infinito.

Giovanna chiama la mamma e finisce in ospedale”.

Come abbiamo avuto modo di vedere, insieme, i fattori psicologici hanno una grande influenza sulla percezione o sviluppo di alcune malattie fisiche. Il medico che visita Giovanna, ha diverse opzioni davanti; la ragazza potrebbe simulare il malessere per paura degli esami, potrebbe immaginare di essere malata o potrebbe reagire in maniera sproporzionata alla percezione dei suoi sintomi. Potrebbe banalmente avere un principio di influenza.

Quello che sappiamo, tuttavia, è che alcuni disturbi o disagi psicologici possono indurre delle conseguenze fisiche e fisiologiche notevoli (pensiamo a quanto l’anomalia nel funzionamento dei neurotrasmettitori possa intervenire nel disturbo d’ansia generalizzato).

Secondo il DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), vi sono tutta una serie di disturbi psicologici per i quali i sintomi fisici costituiscono i primi segni della patologia.

  1. disturbo fittizio: il paziente produce intenzionalmente o simula i sintomi fisici
  2. disturbo di conversione: caratterizzato da sintomi fisici non spiegabili dal punto di vista medico che incidono sul funzionamento motorio e sensoriale
  3. disturbo con sintomi somatici: in cui il paziente si sente eccessivamente preoccupato e afflitto da sintomi fisici
  4. disturbo da ansia di malattia: i soggetti ansiosi per il proprio stato di salute si preoccupano di essere gravemente malati in assenza di qualsiasi sintomo fisico

Quando un problema fisico non ha una causa fisica evidente, i medici avanzano l’ipotesi che si tratti di un disturbo somatoforme, ovvero una malattia fisica che ha però cause psicosociali.

I sintomi fisici non sono prodotti in modo intenzionale motivo per cui i malati attribuiscono i loro sintomi a una malattia reale e medica; questi disturbi possono a loro volta essere distinti in: disturbi somatoformi di tipo isterico (vi è un cambiamento reale nel funzionamento fisico) e disturbi somatoformi ipocondriaci (persone che si preoccupano ingiustificatamente e sono convinte che qualcosa nel loro corpo, non funzioni).

Un approfondimento: La sindrome di Munchhausen per procura.

“Jennifer ha 9 anni, è stata ricoverata 200 volte e ha subito 40 interventi medici. Le hanno asportato la cistifellea, l’appendice e parte dell’intestino; le hanno inserito sonde nel torace, nello stomaco e nell’intestino”.

Questo disturbo viene causato dalla persona che si prende cura del bambino e che fa ricorso a varie tecniche per produrre dei sintomi nel bambino. Possono essere utilizzati (in maniera intenzionale) farmaci, può essere sabotata una cura reale di cui il bambino ha bisogno, si contamina la sonda della nutrizione, si riempie il bambino di attenzioni o lo si avvelena lentamente.

I sintomi di cui questi bambini soffrono comunemente sono: crisi epilettiche, emorragie, asma, coma, diarrea cronica, infezioni o intossicazioni. Tra il 6% e 30% di questi bambini, muore, mentre l’8% sopravvive ma con danni permanenti.

La sindrome è difficile da diagnosticare ma molto diffusa. Di solito è la madre attenta e scrupolosa, affettuosa e ammirabile persona che si prende cura del proprio figlio malato, a provocare la malattia del bambino/a. Si tratta di una donna che dona tutta se stessa alla causa de figlio, magari facendo appelli o raccolte fondi per la strana malattia del figlio. La madre è emotivamente instabile, bisognosa di attirare l’attenzione su di sè. Si tratta spesso di persone che hanno conoscenze nel campo medico.

Dal punto di vista giuridico questa sindrome può essere considerata una forma pianificata di maltrattamento del bambino, motivo per cui il bambino viene poi allontanato dalla famiglia d’origine.

Numerosi sono gli studi che si stanno portando avanti per comprendere meglio la sindrome di Munchhausen e il ruolo dei fattori psicosociali esistenti.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Scrittura folle, Psicoanalisi e Vivaldi.

Louis Wolfson è uno scrittore statunitense di lingua francese. Nato nel 1931 ebbe una diagnosi di schizofrenia e fu sottoposto a ripetuti ricoveri e interminabili elettroshock, per volere della madre.

Louis è un ebreo americano che mal sopporta la propria lingua “idioma inglese” ; il ragazzo giunge ad esprimere il rifiuto per la propria madre attraverso il rifiuto della lingua materna e di tutta l’impalcatura lessicale utilizzata a chi gli è intorno.

Wolfson rifiuta di subire l’abuso dell’intrusione delle parole data dalla lingua materna, l’inglese, e si difende da questa intrusione tappandosi le orecchie, distraendosi o camminando per strada a New York ascoltando delle cuffiette collegate ad un magnetofono.

Louis studia le lingue straniere: tedesco, ebraico, russo, sognando di instaurare una sorta di comunicazione con la madre che in quanto ebrea della Bielorussia, parlava fin da bambina il russo.

Il passo interessante che il Nostro compie, è studiare il francese da autodidatta. Nel francese Louis sperimenta l’Altro; Loius è un Altro. Louis è e diventa “lo studente di lingue schizofrenico”.

Le Schizo et les langues è un libro in francese (il francese di Wolfson), scritto con una ortografia riformulata in cui il nostro studente di lingue compie un procedimento sulle parole. Louis crea neologismi, riformula i termini, unisce quasi bulimicamente tutte le lingue che conosce, smonta e rimonta le parole per allontanarsi dalla lingua materna.

L’udito è un senso che non ha possibilità di essere chiuso verso ciò che non è voluto, spiacevole, doloroso. Quello che viene vissuto e arriva prepotentemente e violentemente come un frammento sonoro che induce dispiacere (voce, rumore suono o silenzio),sarà interpretato come effetto sonoro di un desiderio negativo.

La Aulagnier riprendendo l’insegnamento di Lacan pone pertanto l’accento al ruolo della voce nei deliri di persecuzione e nella schizofrenia.

Di fronte a un suono, a una voce che è originariamente associata a una sofferenza, non vi è via di fuga. La psicosi mostra infatti spesso, come il suono produce una percezione da cui non ci si può difendere, aprendo nel corpo un varco che non si può chiudere.

Un varco in cui transita senza sosta la voce dell’Altro.

La voce da cui Wolfson voleva difendersi.

Stasera Vivaldi e la sua Follia ci accompagnano. Credo che questo pezzo sia un chiaro esempio in cui “mai il significante fu più significato”, come dico.

Almeno per me; almeno per le mie vicende di vita.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Mio figlio non mi ascolta…

Immagine Personale: “La mia famiglia”.

“Se una società vuole veramente proteggere i suoi bambini, deve cominciare ad occuparsi dei genitori”.

John Bowlby.

Capita sempre più che i genitori arrivati presso una consultazione, lamentino un “mancato ascolto” da parte dei propri figli “Mio figlio non mi sente”.. dice la signora M… “sta sempre con la testa da un’altra parte”.. sostiene L…

Giovanna, 45 anni, chiama presso il Consultorio dell’Asl in una fredda mattinata di Dicembre. Dal tono della voce si evidenzia subito uno stato di urgenza e ansia; si percepisce inoltre spavento e angoscia per una situazione che non “riesce più a controllare”.

“Mio figlio”, dice, “è un disastro, si ribella di continuo non segue i nostri ordini e le direttive familiari; fa sempre di testa sua è scontroso e aggressivo. Da poco ha cominciato a girare con un coltellino in tasca e io non so più cosa fare”.

Michele ha 13 anni ed è il classico pre adolescente. Alla ricerca della propria identità in divenire (come in divenire è il momento della vita che si trova a vivere, essendo l’adolescenza una fase di passaggio in cui non si è più bambini ma non si è nemmeno ancora adulti), sperimenta con l’abbigliamento (giudicato dai genitori inopportuno) e sfidando l’autorità (rispondendo male e in maniera provocatoria) “chi sono”.

Senza entrare nel dettaglio della storia (i cui nomi è bene sottolineare, sono di fantasia), già dal primo colloquio è emerso che la situazione familiare appare piuttosto caotica, rigida e “mortificante”.

Il padre di Michele è un esponente delle forze dell’ordine: appare rigido e fermo sulle sue posizioni che sono “sempre giuste e sicure” : “a casa comando io”.

La madre è una casalinga che vive costantemente soggiogata dalle decisioni prese da un marito “freddo e che non è mai stato partecipe della vita familiare”, in sostanza il marito non c’è mai ma pretende che le sue decisioni siano legge.

La sorella di Michele di 3 anni più piccola, è trattata come una bambolina/trofeo; oggetto d’amore della madre viene costantemente riempita (fino a strabordare) di proiezioni, dimenticando che anche lei – Valentina- ha una sua personalità in costruzione. Riempita fino all’orlo di proiezioni materne Valentina ha smesso di mangiare: troppo piena di cose altrui per riempire lo stomaco di cibo; ha inoltre cominciato da poco a vomitare (il surplus emotivo) ciò che non riesce più a contenere con il suo esile corpo.

Il breve estratto del caso citato, vuole evidenziare come spesso ci soffermiamo sulle problematiche dei bambini, degli adolescenti o dei giovani adulti dimenticando l’importanza del contesto in cui loro sono (stati) calati : la famiglia.https://ilpensierononlineare.com/2019/06/26/pavor-nocturnus-terrore-notturno-e-bambini/ https://ilpensierononlineare.com/2019/09/26/leta-in-divenire-ladolescenza-come-terra-di-mezzo-tra-linfanzia-e-la-vita-adulta/

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Il bambino, l’ambiente, l’handling e l’holding.

Quanto è importante l’ambiente e l’esperienza reale del bambino per il suo sviluppo maturativo?

Secondo un noto psicoanalista e pediatra inglese Donald Winnicott (morto nel 1971), il ruolo della madre (le prime cure) e dell’ambiente è fondamentale per lo sviluppo del bambino e per lo strutturarsi del suo Sé.

La funzione naturale della madre, chiamata da Winnicott “preoccupazione materna primaria” offre al suo bambino quel sostegno necessario all’integrazione tra psiche e soma (personalizzazione), allo strutturarsi di una vera relazione oggettuale e di un senso di realtà. Questo sostegno (holding) insieme alla manipolazione (handling – lavare, nutrire, accarezzare, coccolare) sono essenziali all’instaurarsi di una buona relazione madre-figlio. Il bambino sarà allora in grado di superare una serie di angosce “impensabili”.

Photo by Sharon McCutcheon on Pexels.com

Winnicott aveva inoltre sottolineato anche l’importanza dell’esperienza e delle relazioni reali con l’ambiente per lo sviluppo maturativo del Sé. In modo da dare la possibilità di promuovere la crescita del bambino tollerando le “immaturità” che permetterebbero di conservare l’originalità, la creatività, la ricchezza e il loro processo naturale.

L’ambiente sarà positivamente decisivo alla crescita personale del bambino purché sia disponibile e facilitante, contenga l’aggressività e dia amore permettendo però al potenziale del bambino di emergere e realizzarsi e quindi diventare indipendente.

Winnicott definiva questo tipo di ambiente familiare “good enough” (abbastanza buono, più o meno buono). Secondo Winnicott non è quindi necessario un ambiente perfetto e privo di problemi (che tra l’altro probabilmente non esiste), ma un ambiente vivo, aperto al confronto, pronto ad accogliere e sostenere il bambino con i suoi desideri, le sue paure, i suoi misteri e le sue esigenze fisiche, emotive, cognitive, sociali.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Madre.

Fonte Immagine “Google”.

Bisognerebbe anche non dimenticare l’attesa della madre e il suo volto come specchio del mondo.

Bisognerebbe non confondere la madre con il seno, non confondere la soddisfazione dei bisogni con il dono del segno d’amore, non confondere le sue cure con una tutela senza ossigeno.

Bisognerebbe non pensare solo alla sua onnipotenza oscura, ma anche alla sua mancanza.

Bisognerebbe provare a essere giusti con la madre e riconoscere nelle sue mani un’ospitalità senza proprietà di cui la vita umana necessita.

Bisognerebbe rintracciare nel suo dono del respiro la possibilità che la vita abbia un inizio e che possa ogni volta ricominciare.

Massimo Recalcati, Le mani della madre, Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, p., 184, 2015 , Feltrinelli Editore.