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Pillole di Psicoanalisi: sul senso di solitudine.

La psicoanalista austriaca Melanie Klein, nel suo lavoro incentrato sulla valutazione del nostro mondo interno, pone una riflessione sul senso di solitudine.

Quando -chi scrive- riferisce al senso di solitudine, intende non quella situazione oggettiva in cui ci si trova quando il soggetto è privo di compagnia (solo) ma riferisce al sentirsi soli indipendentemente dalle circostanze esterne (il senso di solitudine interiore) anche se si è circondati da amici e persone.

Cosa intende allora Melanie Klein?

Secondo l’ipotesi della psicoanalista, lo stato di solitudine interna è il risultato di una aspirazione cui tutti mirano in qualche modo; una aspirazione che cela una condizione irraggiungibile ovvero la perfezione interiore.

Questa solitudine che, è bene dirlo, tutti sperimentano nasce da angosce paranoidi e depressive che derivano a loro volta da angosce psicotiche del bambino. Queste angosce sono infatti presenti in misura maggiore o minore in ognuno ma, nei casi patologici, lo sono in forme particolarmente violente.

Il senso si solitudine appare allora anche come un aspetto sia della patologia schizofrenica che depressiva.

Per comprendere come nasca il senso di solitudine, dobbiamo ritornare al primario rapporto che si instaura tra madre a bambino. Per la Klein l’Io è presente fin dalla nascita (per Freud no) anche se manca molto di coerenza ed è dominato da meccanismi di scissione.

Il pericolo, infatti, di venir distrutti dall’istinto di morte diretto contro di sé contribuisce alla scissione degli impulsi in buoni e cattivi ed è proprio in seguito alla proiezione di questi impulsi sull’oggetto primitivo che anch’esso è scisso in una parte buona e cattiva.

Ne consegue che nei primissimi stadi, la parte buona dell’Io e l’oggetto buono sono, in qualche misura, protetti poiché l’aggressività non è rivolta contro di loro.

La Klein descrive proprio questi particolari processi di scissione come la base di una relativa sicurezza nel bambino mentre altri processi di scissione (come quelli che portano alla frammentazione), sono nocivi per l’Io e la sua forza.

Nei primi mesi accanto allo stimolo a compiere la scissione è già presente un impulso all’integrazione che cresce con il crescere dell’Io.

Alla base di questo processo di integrazione sta l’introiezione dell’oggetto buono che dapprima è un oggetto parziale (il seno materno). Se l’oggetto interno buono è radicato in maniera abbastanza stabile diviene il centro di sviluppo dell’Io.

Un soddisfacente rapporto precoce con la madre (che può tranquillamente essere rappresentato dal biberon che rappresenta simbolicamente la mammella, quindi non è necessario che vi sia un allattamento al seno), implica un contatto tra l’inconscio della madre e del bambino.

Questa è la condizione fondamentale affinché il bambino possa fare in modo di avere una esperienza completa di esser compreso nella forma preverbale. Successivamente per quanto il comunicare pensieri e sentimenti a una persona amica possa essere un’esperienza gratificante, resta sempre la nostalgia per una comprensione che avviene senza l’uso di parole (il primissimo rapporto con la madre).

Questo desiderio contribuisce a creare il senso di solitudine; esso deriva dal sentimento depressivo di aver subito una perdita irreparabile.

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Isolata(mente).

“Perché l’isola? Perché è il punto dove io mi isolo, dove sono solo: è un punto separato dal resto del mondo, non perché lo sia in realtà, ma perché nel mio stato d’animo posso separarmene.”
Giuseppe Ungaretti

La solitudine è la condizione psicologica che nasce dalla mancanza di rapporti interpersonali (significativi) o dalla discrepanza tra le relazioni umane che un soggetto desidera avere e quelle che effettivamente ha; tali relazioni possono essere insoddisfacenti (per il loro numero, per la loro natura o per l’incapacità del soggetto stesso di stabilire o mantenere in essere tali relazioni).

La solitudine può diventare un dato inoltrepassabile dell’esistenza umana che non può mai uscire dal suo mondo e dal suo modo di percepire e vedere le cose; si tratta di ciò che in filosofia prende il nome di solipsismo (sottolinea l’assoluta invalicabilità della coscienza personale).

C’è poi una solitudine “scelta” come stile di vita per favorire esperienze di senso ulteriore a quello che comunemente viene considerato “il senso giusto, il senso buono delle cose” e , ancora, una solitudine che deriva dalla percezione del mondo come ostile e negativo che induce a rifugiarsi presso di sé finché non sopraggiunge, in certi casi, anche il disgusto di sé (dovuto al fatto che per aver tagliato i legami con tutto, l’esistenza si trova nell’impossibilitò di conferire altro senso a se stessa che non sia quello della prigionia della propria individualità).

Queste tre forme di solitudine sono state descritte a livello fenomenologico come finitezza dell’esistenza, pienezza dell’esperienza e vuoto dell’esperienza.

Casa.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.