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Mal di testa e Musica.

Immagine Personale.

Soffro di mal di testa e senza entrare nello specifico.. posso dire che intuitivamente – il mio corpo- mi ha – negli anni- suggerito un modo per alleviare il dolore e/o la tensione: un modo che è stato successivamente confermato da numerose ricerche.

Fare vocalizzi può alleviare e aiutare a controllare il mal di testa.

“Una delle mie studentesse, Marilyn Utz di Santa Monica, in California, tornò un giorno a casa con un terribile mal di testa da sinusite. Non voleva prendere aspirina, Tylenol o altri farmaci, così si sedette in una poltrona reclinabile e cominciò a vocalizzare.

Dico sempre agli studenti dei miei corsi e dei miei seminari che ogni persona deve trovare le note che le sono proprie”. Don Campbell, L’effetto Mozart, curarsi con la musica, 2010, terza ristampa, p.,311

Non ci sono suoni specifici per specifiche patologie ma soprattutto gli stessi suoni non funzionano per tutti allo stesso modo.

La ragazza, Marilyn, racconta ad esempio che dal suo petto uscì un suono “Ouuu” che le faceva vibrare la testa fino a sentire l’apertura delle cavità nasali; in un secondo momento la ragazza sentì la lingua scivolare naturalmente lungo il palato fino a produrre suoni armonici che lentamente la portarono in uno stato simile alla meditazione per concludersi con la scomparsa del mal di testa.

Le emicranie rientrano fra i mal di testa più dolorosi e la musica può aiutare nella riduzione dell’intensità, frequenza e durata.

La psicologa Janet Lapp, dell’Università della California scoprì che le persone sofferenti di emicrania, grazie a uno speciale addestramento nell’uso della musica, delle immagini e del rilassamento, con due sedute di mezz’ora alla settimana per cinque settimane, avevano registrato nel successivo anno una riduzione media del mal di testa dell’83%; gli episodi inoltre erano stati più leggeri e di durata minore.

La Lapp scoprì inoltre che la musica consentiva di prevenire l’insorgere di un forte mal di testa, in chi aveva eseguito l’addestramento.

Uno studio polacco, condotto su 408 pazienti con forti mal di testa e problemi neurologici, ha mostrato come i pazienti che avevano ascoltato per 6 mesi musica da concerto, avessero meno bisogno di farmaci e antidolorifici durante gli attacchi di mal di testa.

Mary Scovel è una musicoterapista fondatrice di Health Harmonics, una nuova tecnica che cerca di individuare la “nota chiave” o nota dominante di un individuo, per fornire le frequenze necessarie con l’aiuto di una tavola dei suoni e di cuffie.

Lo stimolo chiave, dice, è un suono “non solo percepito attraverso le orecchie, ma sentito come una vibrazione in tutto il corpo e fa sì che i sintomi diminuiscano abbastanza a lungo perché il corpo cominci a curarsi da sé”.

Ruth, 48 anni, si è presentata allo studio della Scovel a Tahlequah, in Oklahoma con una anamnesi di grave mal di testa da emicrania e con sintomi che comprendevano nausea e vomito. Fin dall’adolescenza i dottori avevano attribuito le emicranie allo stress; col tempo la frequenza del mal di testa era aumentata tanto che il marito di rientro dal lavoro, aveva un giorno trovato la moglie distesa sul pavimento mente vomitava. Ruth venne portata d’urgenza in ospedale dove dopo una TAC (normale) e altri esami, i dottori attribuirono le sue emicranie alle allergie. La cura per le allergie alimentari, tuttavia, le causavano gonfiore così Ruth doveva prendere moltissimi farmaci come: ormoni per lo stress, Xanax, diuretici, e così via.

Ruth sperava che il suono e la musica potessero aiutarla. la Scovel le prescrisse due frequenze specifiche. Ruth ascoltò queste frequenze su cassetta insieme alla Sinfonia n 39 in Mi bemolle (K V543) e al concerto per Pianoforte n 12 in la maggiore (K. 414) di Mozart.

Dopo aver ascoltato i suoni a la musica per due settimane, Ruth smise di prendere i farmaci: le sue allergie alimentari e l’edema migliorarono e le emicranie diminuirono. La donna usa ancora la sua personale frequenza per ridurre lo stress e mantenere l’equilibrio. Don Campbell, Ibidem.

Anche io ho la mia personale frequenza…

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Sporchi, brutti e cattivi.

Giuseppe è arrivato da noi su invio del Tribunale dei Minori.

Il ragazzo ha 17 anni e ha all’attivo un curriculum da piccolo delinquente. Gira armato – sempre- ha messo in atto diversi furti più o meno grandi (da solo o con il favore di alcuni amici adulti); fuma sostanze “più o meno legali”.

Il ragazzo ha inoltre aggredito verbalmente ma soprattutto fisicamente alcuni familiari. L’estrazione sociale non è delle peggiori; Giuseppe non proviene dai quartieri malfamati; il padre (che lavora senza contratto) è elettricista, la mamma casalinga, la nonna malata di Alzheimer vive con loro.

Il nucleo familiare appare abbastanza sereno, all’apparenza, salvo poi mostrare la pluralità di sfaccettature e del non detto, tipiche di molte famiglie “disgregate”.

Giuseppe si presenta spavaldo.

Il ragazzo che apre la porta sembra avere molti più dei 17 anni dichiarati; barbetta curata, ciuffo di capelli arricciato in punta rigido e pieno di gel, orecchini con diamantino ad entrambi i lobi, fisico atletico e tatuaggi: tantissimi tatuaggi.

Nonostante la minore età Giuseppe ha tatuato una lacrima sotto l’occhio sinistro, una tigre sulla mano, un cobra che spunta dal petto di cui si vedono i denti mordere il collo, svariate scritte, nomi..

Insomma Giuseppe sembra una cartina geografica così com’è, pieno di scritte.. una cartina di cui però sembra non conoscere i punti cardinali e la direzione lungo cui muoversi.

L’atteggiamento spavaldo di Giuseppe cozza – tuttavia- tantissimo con il suo sguardo.

Quando gli viene posta una domanda, e lui sente che qualcuno è lì, per lui, pronto ad ascoltare la sua risposta, il ragazzo va quasi in tilt. Finché muoviamo lungo i confini del suo piccolo mondo fatto di tatuaggi, calcio, rapine, fumo, lui appare sicuro fino a gonfiare il petto, quando parla.

Si esprime con tono di superiorità e sfida più volte il suo interlocutore (spesso ho dovuto ricordargli di dover tenere la mascherina su e non appesa al collo, a mo’ di collana). Il pavone che è in Giuseppe cessa di esistere nel momento in cui gli viene chiesto

“Come stai?”

La possibilità di attuare un decentramento cognitivo e di guardarsi; la possibilità di trovare un ascolto e non un etichettamento o una semplice parola “delinquente” portano nel caos Giuseppe.

In tutti i colloqui portati avanti emergerà sempre con più forza e determinazione l’impossibilità che il ragazzo ha vissuto, nel tempo, di poter dar voce al proprio malessere e soprattutto alle emozioni da lui provate. Giuseppe, di fatto, non conosce le emozioni; sa che esiste la tristezza, la gioia, ma non sa realmente come ci si sente quando sei triste o felice.

Dalla storia familiare emergerà poi che il padre per i primi 10 anni di vita del ragazzo è stato assente in quanto la moglie, lo aveva cacciato di casa perchè dipendente dal gioco e perchè avente una relazione parallela (il signore ha vissuto diversi anni come barbone); la madre ha subito un brutto intervento a causa di un tumore da cui, non si è mai emotivamente ripresa (è casalinga in seguito alla depressione post tumore); la nonna.. unico porto sicuro di Giuseppe si è ammalata abbastanza giovane, così da lasciare il ragazzo, come gettato in mezzo alla tempesta, in un mare sempre più agitato e schiumoso.. dove – senza imbarcazione nè salvagente- non riesce nemmeno a girarsi nella speranza di avvistare, anche solo da lontano, un piccolo lembo di terra.

Giuseppe è arrabbiato. Giuseppe non è triste, ferito o confuso.

Sente a dispetto della tempesta in cui è immerso fuoco ardente, dentro.. e quando questo fuoco diventa fiamma, poi incendio, non ha altro modo per sedare il calore se non tramite l’azione violenta; azione di scarica volta a ridurre l’ansia e la rabbia provata.

Giuseppe dice di non aver mai pianto; dice inoltre di non avere interesse alcuno (scoprirò in realtà che è un grande appassionato di calcio e di canzoni Rap).

Nei mesi in cui il giovane, settimanalmente, è venuto ai colloqui (un risultato e un profondo messaggio, che lui sia rimasto in gioco), scopriamo un giovane sensibile e accorto (e non è il luogo comune che vuole che tutti quelli che sembrano cattivi, siano in realtà dei buoni camuffati). Giuseppe soffre l’abbandono di tutto un nucleo familiare che non c’è mai stato; tutti sono persi nel proprio dolore dimenticando che quando si è una famiglia, si è come una squadra e come tale.. ognuno ha bisogno di lavorare e funzionare in interdipendenza con l’altro senza dimenticare che l’azione di ciascuno, influenza quella dell’altro e viceversa.

Gli occhi chiari di Giuseppe sono sempre più appannati; un giorno alza la mascherina così tanto da coprirsi quasi tutto il volto:

il ragazzo stava piangendo ricordandosi di quando con la nonna, andava al mare e mangiava la pizzetta poi il gelato. La nonna adesso, a stento lo riconosce e quando capita quel giorno, il ragazzo scende in strada e per non pensare prova a rubare al primo che gli capita davanti.

Ho visto la lenta trasformazione di un paio di occhi.

Ho visto degli occhi saccenti, superiori e freddi; ho visto degli occhi appannati persi e vuoti; ho visto degli occhi sgranati; ho visto degli occhi prendere pian piano vita.

Ho visto degli occhi.

Auguro a Giuseppe di poter raggiungere pian piano il suo lembo di terra e gli auguro, soprattutto, di potersi sì bagnare ma con l’acqua fatta dalle sue lacrime…

e che siano lacrime di gioia..

Uno dei pezzi preferiti di Giuseppe…

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Raccontare per raccontarsi.

Immagine Personale.

Negli ultimi anni, affiancate alla classica psicoterapia psicodinamica si sono incominciate a diffondere e a sperimentare tutta una serie di tecniche di intervento che vedono l’utilizzo di diverse forme di arte e di espressione (la scrittura, le arti figurative e la musica, per citarne alcune). La sperimentazione prima e il successivo utilizzo di queste tecniche, ha visto un largo uso – ad esempio della musica- in particolar modo nell’ambito dei contesti di riabilitazione e reinserimento sociale, motivo per cui, sono in aumento le ricerche che si occupano dei possibili effetti dell’ascolto o della pratica della musica.

Se originariamente tali ricerche si sono occupate dell’uso della musica in particolare per specifiche patologie neurodegenerative (morbo di Parkinson o Alzheimer per citarne alcune), attualmente è ormai sempre più frequente l’utilizzo della musica come un successivo supporto alla psicoterapia classica, presentandosi come un ulteriore canale di supporto per la persona.

Sembra che la musica possa aiutare a dar voce e corpo a tutte quelle sensazioni e emozioni che per alcuni, possono essere difficili da esprimere verbalmente nel solo contesto gruppale o nella stanza d’analisi.

“Attraverso il fenomeno musicale si può intuire il rapporto tra Io ideale e ideale dell’Io, a cui fa da contrappunto l’oscillazione tra relazione narcisistica e relazione duale (…) Il mito, l’Io ideale per rappresentarsi, ha bisogno dell’ideale dell’Io, un derivato del narcisismo, che ha una funzione di ponte tra Io ideale, Super Io, Io”. (Semi,A., “Trattato di Psicanalisi, p.,878, 1989)

Progetti per progettare un domani.

“Puortame là fore” è una canzone Rap scritta dai ragazzi dell’IPM di Airola (Bn) e interpretato insieme a Lucariello e Raiz (rispettivamente Luca Caiazzo e Gennaro della Volpe, artisti molto conosciuti e piuttosto attivi nel panorama della musica rap e alternativa napoletana). La stesura di questa canzone è nata nell’ambito di un progetto (di gruppo), di laboratorio di scrittura/tecnico del suono condotto nell’istituto insieme a una Onlus nell’ambito del progetto “il palcoscenico della legalità”. Anche nell’istituto minorile di Bologna, la musicoterapia è ormai prassi consolidata, grazie all’attività dell’associazione Mozart14 (fondata dal Maestro Claudio Abbado).

Nonostante gli eterni anni di studio classico (mi riferisco agli studi di pianoforte portati avanti negli ambienti accademici scanditi da costanti tendiniti e infiammazioni ai polsi), il personale interesse verso forme di comunicazione come quella Rap, continua ad entusiasmarmi e ad aprirmi continui campi di indagine.

Oggi condivido (approfittando del compleanno del frontman) con voi, un pezzo che considero profondamente evocativo di un preciso periodo storico/sociale; si tratta di “Curre Curre Guagliò” il cui album dall’omonimo titolo sarà inserito dalla rivista Rolling Stone Italia nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre (alla posizione 49). Il testo della canzone (a cui verranno apportate delle censure) sarà invece inserito in un’antologia della letteratura italiana per scuole superiori.

https://www.youtube.com/watch?v=MVNgLcJ0PiY

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio.