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Le nevrosi (da guerra)

L’approfondimento di oggi ci porta tra le stanze della storia della psicoanalisi.

Di ritorno dalla prima guerra mondiale, i soldati che erano stati impegnati nel conflitto bellico mostravano una strana sintomatologia nevrotica che però si presentava diversa da ciò che fino a quel momento si conosceva circa la nevrosi.

Non si mostrava, ad esempio, un conflitto tra pulsione di autoconservazione e sessuali, ma c’era qualcosa di diverso..

Scopriamo insieme le nevrosi di guerra.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    Totem e Tabù – Il funzionamento delle nevrosi – Sigmund Freud – PODCAST

    Anche in questa breve tappa del nostro viaggio torneremo per qualche minuto indietro nel tempo.. a circa cento anni fa o poco più.


    Erano anni fondamentali per la psicoanalisi e Freud con alcuni suoi scritti provava ad avere una visione più globale della psicologia e attraverso lo sguardo della psicoanalisi per comprendere alcuni fenomeni psichici dell’individuo cominciò ad osservare ed analizzare anche la società, la cultura e la storia.


    Buon Ascolto..

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    “Finisce bene quel che comincia male”

    dott. Gennaro Rinaldi

    Le nevrosi da guerra.

    Photo by Pixabay on Pexels.com

    Al ritorno dalla prima guerra mondiale, gli psicoanalisti misero insieme tutta una serie di osservazioni su gravi forme nevrotiche che colpirono i soldati. Tali forme nevrotiche non sembravano ascrivibili a un conflitto tra pulsioni di autoconservazione e sessuali.

    Non era né il pericolo di vita cui la guerra esponeva a causare tali forme nevrotiche, né sembravano esserne maggiormente affetti coloro che già prima dello scoppio della guerra, soffrivano di una qualche forma nevrotica.

    Lo sviluppo di queste nevrosi era legato alla minaccia di menomazione dell’immagine di sé, in pazienti che nella vita civile erano privi di disturbi e considerati coraggiosi.

    La minaccia all’immagine di sé, è una minaccia all’integrità narcisistica; queste persona andavano infatti incontro a un crollo psichico che si esplicava in angoscia primaria, stupore, agitazione, a motivo del fatto che il loro funzionamento sano si reggeva su un’immagine di se stessi come forti e coraggiosi, per cui l’angoscia e la paura, avevano il potere di danneggiare l’immagine che essi avevano di se stessi e la loro autostima narcisistica.

    L’immagine di sé comprende sia aspetti esterni che interni; può pertanto essere lesivo -per l’immagine di sé- sia un danno fisico (mutilazione) sia uno morale che colpisca l’autostima (come la perdita dell’idea di essere una persona coraggiosa, sana e di successo).

    Anche se l’angoscia acuta trovava remissione, era sempre compromessa l’immagine di sé (che l’esperienza traumatica aveva frantumato).

    Queste nevrosi mostravano anche resistenza al trattamento psicoterapeutico.

    Le nevrosi da guerra appartengono al gruppo delle nevrosi traumatiche dove si ha la comparsa di un’angoscia definita traumatica (o primaria) o automatica, contrapposta all’angoscia segnale.

    L’angoscia automatica è nel 1925 la conferma di una teoria di Freud secondo cui vi era l’esistenza di una angoscia traumatica dipendente da un brusco afflusso di eccitamento che il soggetto non riesce a dominare né a contenere o elaborare con l’apparato psichico.

    Oggi possiamo dire che le osservazioni degli psicoanalisti su queste nevrosi, vertevano su soggetti che anche in condizioni non belliche, mostravano vulnerabilità narcisistica attraverso una ostentazione degli aspetti narcisistici: esagerata autostima e una immagine di sé sempre bisognosa di gratificazioni e conferme narcisistiche.

    Queste personalità narcisistiche possono non sviluppare mai una patologia che può invece instaurarsi solo in una situazione traumatica.

    “Finisce bene quel che comincia male”.

    Dott.ssa Giusy Di Maio.

    Psicoanalisi, nevrosi e demonio

    “Gli stati di possessione demoniaca corrispondono alle nostre nevrosi.”

    Sigmund Freud

    Freud fu molto incuriosito e affascinato da quei fenomeni comportamentali e psichici inspiegabili (per la sua epoca). Già durante i suoi primi studi, quando era ancora allievo di Charcot era riuscito a risolvere uno storico equivoco, per quel periodo, legato al fatto che venivano confuse le crisi convulsive e le conversioni isteriche, con l’epilessia.

    Freud sempre in quel periodo e anche successivamente restò impressionato dalle analogie della sintomatologia delle pazienti isteriche con i comportamenti dei cosiddetti indemoniati del Medioevo.

    Edvard-Munch-Sick-mood-at-sunset.-Despair-1892

    Il suo interesse culminò nella scrittura di un saggio nel 1922 “Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo”. In questo saggio analizzava e interpretava alcuni scritti (“Trophaeum Mariano-Cellense“) e documenti, provenienti dal santuario di Mariazell, in Carinzia, che raccontavano di un pittore bavarese di nome Christoph Heitzmann.

    Siamo nel 1677 e negli scritti si legge che il pittore Christoph, approdato nel santuario di Mariazell con forti crisi convulsive, confessa poi al parroco che, nove anni prima, andando molto male il suo lavoro e la sua ispirazione artistica, fu tentato ben nove dal Maligno. Alla fine aveva acconsentito ad “appartenergli con il corpo e con l’anima quando fossero trascorsi nove anni”.

    Freud scrive che i demoni: ” sono soltanto desideri ripudiati, che derivano da moti pulsionali, per lo più sessuali, respinti e rimossi dalla coscienza. Secondo una precisa fantasia paranoica, la parte inconscia cattiva veniva scissa e proiettata sull’immagine del diavolo, che diventava poi un persecutore”.

    “Non dobbiamo stupirci se le nevrosi di queste epoche passate si presentano sotto vesti demoniache, mentre quelle della nostra epoca psicologica assumono sembianze ipocondriache travestendosi da malattie organiche”…

    Sigmund Freud

    Dopo un’attenta analisi Freud concluse che probabilmente Christoph soffriva di melanconia (depressione maggiore) e non riusciva, a causa della sua malattia, a continuare a lavorare e a vivere nel modo in cui era abituato, precedentemente alle sue prime crisi (che coincidevano con la morte di suo padre).

    Insomma non era il demonio a tormentare il pittore, ma come chiosò Freud: “Christoph Heitzmann era solo un povero diavolo…”

    “Finisce bene quel che comincia male”

    dott. Gennaro Rinaldi

    Totem e Tabù

    In una delle sue opere più emblematiche “Totem e Tabù”, Sigmund Freud, ci offre un’ analisi e un confronto molto interessante tra l’origine delle proibizioni (Tabù) nella civiltà umana e lo studio dell’origine delle Psicopatologie, in particolare le nevrosi.

    Vi riporto alcuni estratti molto interessanti:

    “La coincidenza prima e più evidente tra i divieti ossessivi (negli individui con nevrosi) e i tabù consiste nel fatto che questi divieti sono ugualmente immotivati e misteriosi per quanto riguarda la propria origine. Sono subentrati un qualche momento e ora, a causa di una paura irresistibile, debbono essere mantenuti. […] ogni trasgressione provocherebbe insopportabili sventure. ”

    Sigmund Freud – Totem e Tabù

    “La proibizione principale ed essenziale della nevrosi, come anche del tabù, è quella del contatto, da cui il nome: fobia del contatto. La proibizione si estende non solo al contatto diretto col corpo, ma abbraccia tutto l’ambito racchiuso nell’espressione figurata – entrare in contatto – . Tutto ciò che indirizza i pensieri verso il proibito, che provoca un contatto mentale, è proibito nella stessa misura in cui è vietato il diretto contatto fisico. Questa medesima estensione compare anche nel Tabù.”

    Sigmund Freud – Totem e Tabù
    Photo by Jess Vide on Pexels.com

    Le ossessioni nei disturbi ossessivo compulsivi sono incredibilmente “dislocabili”. Tutto ciò che può essere interpretato come “potenzialmente pericoloso” sarà qualcosa di impossibile. “Alla fine l’impossibilità sequestra tutto quanto il mondo” (Freud). Le ossessioni, nei nevrotici, fanno in modo che questi si comportino come se le cose o le persone ritenute “impossibili”, fossero portatrici di un pericoloso contagio. Quindi, di conseguenza, chi avrà avuto un contatto con quel qualcosa di impossibile (che veniva considerato un tabù), allora diventerà a sua volta tabù e nessuno potrà entrare in contatto con lui.

    “Finisce bene quel che comincia male”

    dott. Gennaro Rinaldi

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    “Pronto.. Dottoressa..”

    Fonte Immagine “Google”.

    La telefonata della Signora Concetta arriva durante una conversazione che si stava tenendo tra colleghi.

    In un momento di relax, prendo la cornetta del telefono e avverto un silenzio seguito da un profondo sospiro :

    “Ponto.. sono la signora … La contatto su invio della scuola … per mia figlia Maria..”

    Accolgo la telefonata per poi girare le informazioni alla collega psicoterapeuta.

    La signora Concetta arriva presso il consultorio dell’Asl in seguito all’invio da parte della scuola frequentata da sua figlia Maria. Secondo le insegnanti Maria è perennemente assente in classe, sempre distratta e assorta in chissà quali pensieri, mostra gravi lacune scolastiche. Maria è una nuova alunna; ha infatti chiesto il trasferimento dalla scuola precedente e si è inserita in una seconda liceo (in una classe già formata), cambiando anche l’indirizzo scolastico..

    Maria giunge in studio accompagnata da entrambi i genitori. Il padre ingegnere si presenta curato e molto giovanile nel suo abbigliamento (si presenta vestito in tuta e scarpette da ginnastica), la madre casalinga appare come una donna molto semplice e emotiva.

    Maria è una ragazzina molto curata (spicca lo smalto rosso sulle lunghe unghie) ma piuttosto “piccola”. Nonostante i -quasi- 16 anni è bassina, magrolina e con una postura rigida e chiusa. Appare spaesata, timida, introversa e sembra non comprendere quello che le viene chiesto. Mostra difficoltà a comprendere la più banale delle domande come “che giorno è oggi?”; sembra non conoscere la differenza di alcune parti anatomiche del corpo; mostra lentezza e ritardo nella lettura; si mostra come un corpo vuoto, senza peso specifico seduto su una sedia.

    Maria ti guarda in maniera triste; sembra attraversarti con uno sguardo che chiede.. Gli occhi castani di Maria sembrano dirti “no so cosa ci faccio qui”.

    La ragazzina sembra una stanza vuota; pareti vergini su cui provi ad appendere quadri che creano crepe non appena il chiodo sfiora l’intonaco. L’intonaco esterno di Maria è coriaceo ma al contempo, fragile tanto da emettere una nuvola di polvere al cui soffio, nulla resta.

    Il lavoro clinico con bambini o ragazzini che presentano gravi problematiche, si presenta piuttosto difficile. Si tratta di un lavoro che mette a dura prova la capacità di tenuta del clinico stesso; in queste situazioni è molto difficile saper tollerare la frustrazione e la confusione generate dalla possibilità che questi bambini o ragazzini ti tirino giù verso un vortice buio da cui è difficile uscire.

    La difficoltà di muoversi tra il desiderio di aiuto e di contenimento e l’impossibilità di arrivare al dolore celato, è forte.

    Anne Alvarez (1992) afferma come talvolta si può sentire il bambino come terribilmente lontano tanto da avere la sensazione di dover attraversare distanze enormi. Soprattutto nei casi più gravi (ad esempio gravi nevrosi fino ad arrivare a quadri autistici o borderline), è importante saper usare una funzione di richiamo che sappia destare curiosità e interesse.

    E’ inoltre importante sapersi presentare come un momento in cui si offre al piccolo paziente un contenimento tale da saper dare forma, contenuto e soprattutto parola ai pensieri.

    Il lavoro con bambini e ragazzini (fino all’adolescenza) è bello ma intenso e difficile. Ci si muove continuamente lungo un continuum che va dal desiderio di dare protezione fino all’odio per un ambiente che non ha saputo accogliere (ma talvolta) ha solo saputo agevolare il disagio.

    Anche il clinico vive la difficoltà di dover mettere da parte preconcetti personali per saper tendere una mano che tuttavia non necessariamente riceverà, dall’altro capo, risposta.

    “Finisce bene quel che comincia male”.

    Dott.ssa Giusy Di Maio.