Archivi tag: Nutrizione

Emozioni e Cibo – PODCAST

Continua il nostro affascinante viaggio nel mondo della psiche umana
In questa tappa del nostro viaggio ripercorreremo ancora una volta le numerose e tortuose strade delle emozioni.
Quelle emozioni legate al cibo e alle nostre abitudini alimentari.
Strade in apparenza conosciute, ma spesso piene di luoghi inesplorati.
Buon Ascolto..

Emozioni e cibo – PODCAST – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker
Emozioni e cibo – PODCAST – In Viaggio con la Psicologia – Spotify

#benesserepsicologico, #cibo, #ciboalimentazione, #comportamentoalimentare, #emozioni, #emozionicibo, #ilpensierononlineare, #inviaggioconlapsicologia, #nutrizione, #podcastilpensierononlineare, #podcastpsicologia, #psicologia, #psicologiadelcomportamento, #psicologiaealimentazione, #psicologiaebenessere, #psicologiaenutrizione, #psicologiapodcast, #psicoterapia, #salutementale

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
Pubblicità

Dimmi come -non- mangi.

Fonte Immagine Google.

Il tema dell’alimentazione è – ironicamente- quotidianamente sulle nostre bocche. Si mangia troppo, si mangia troppo poco, si mangia male.. Talvolta non si mangia del tutto.

L’approfondimento di oggi, presenterà una nuova patologia che sembra iniziare a svilupparsi in maniera piuttosto consistente, ovvero, il respirianesimo.

L’intento dell’articolo ha come scopo ultimo solo quello (senza giudicare o fomentare) di presentare quella che sarà una delle nuove psicopatologie del campo alimentare; campo che vede la presenza e compresenza di diversi disturbi dal quadro sintomatologico difficile, radicato, complesso e altalenante.

Buona lettura.

La pratica di eliminazione del cibo per l’essere umano, era piuttosto conosciuta con le pratiche Ascetiche secondo cui attuando- con l’ausilio di specifiche pratiche e dottrine- una dissociazione mente/corpo, si giungeva alla perfezione superando il mondo e le richieste della carne per arrivare ad essere “puro spirito fluttuante”.

Il termine stesso “ascetismo” deriva da “ascesi” che sta proprio ad indicare l’esercizio o l’allenamento per superare una prova; la pratica era molto comune nel Cristianesimo.

Recentemente sono balzati alla cronaca e all’attenzione clinica coloro che, definendosi “respiriani” sostengono di vivere abbandonando completamente il cibo e, tramite il superamento di livelli, giungere a vivere nutrendosi di sola aria.

Il respirianesimo sembra essere descritto dai sostenitori come uno stile di vita. Coloro che seguono questo -pericolosissimo- stile di vita, sostengono che al livello più alto della pratica (il 4) avvenga come “il miracolo” secondo cui la persona arriva a non assumere più cibo solido e liquido per anni o decenni.

La seconda manifestazione (livello 3) comporta che la persona mangi una sola volta a settimana. In realtà alcuni in questa fase mangiano solo cibi liquidi oppure si nutrono una volta al mese.

I respiriani sottolineano la loro differenza con l’anoressia in quanto sostengono che se nell’anoressia ciò che la persona fa, è il digiuno, loro (i respiriani) tendono, invece, non a digiunare ma a connettersi energeticamente con il proprio corpo e la propria esistenza. I respiriani sostengono che il loro non sia un digiuno vero e proprio (privazione totale del cibo), ma una astensione dal cibo.

Ciò che in termini clinici appare all’occhio (per le problematiche altamente pericolose in termini nutrizionale e fisici, non credo ci sia bisogno che mi dilunghi. Non sono una nutrizionista ma è chiaro che privarsi del cibo anche solo per qualche settimana/mese è, senza giri di parole, dannoso e letale), è il fatto che queste persone facciano leva sull’importanza della connessione con il proprio senso di sè, che questa pratica sembra portare.

Quelli che hanno iniziato questo percorso, sostengono la forte sfida emozionale che hanno vissuto durante queste pratiche, secondo cui è emerso/ uscito fuori, tutto il loro passato.

Sembra quindi che eliminando il cibo (fonte di sostentamento, gratificazione e soprattutto piacere), non potendo poi eliminare altro dal proprio corpo (ovvero gli scarti fisiologici dell’alimentazione), possano emergere sentimenti, sensazioni e problematiche del passato.

Se nell’anoressia la persona è “senza origine” e rifiuta il cibo in quanto non ha bisogno di niente se non di essere puro spirito fluttuante; nella bulimia si trattiene e poi si getta via ad esempio con il vomito (l’agito) tutto ciò che non si può trattenere nella speranza di ritornare anoressica e nell’obesità si tiene tutto addosso, con sè, nel respirianesimo sembrerebbe esserci una condizione ulteriore in cui mi esercito gradatamente a non avere bisogno del cibo ma della sola mia energia tornando, nel momento giusto, “all’uso” del cibo stesso.

Gli studi in merito sono ancora in divenire, l’etichetta di respiriani è piuttosto recente ma di fatto non indica nulla di particolarmente nuovo; sembra essere più una moda del nuovo tempo. Una moda però, pericolosa.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Famiglie “abbondanti”. L’insostenibile “leggerezza” delle emozioni.

Da un po’ di anni a questa parte una delle problematiche più allarmanti e preoccupanti per la salute psico-fisica è legata all’obesità. In generale, le stime e i dati che diffondono le diverse organizzazioni (Helpcode , Istat) sono emblematici di un problema sempre più diffuso che ha molte sfaccettature e per questo assai complesso.

Si stima che l’Italia (L’indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” del 2016, a opera dell’Istituto Nazionale di Statistica, fornisce una chiara visione delle abitudini alimentari della popolazione italiana. Nello specifico si rileva che il 45,9% della popolazione di età ≥18 anni ha un peso ponderale in eccesso, di cui il 35,5% sovrappeso e il 10,4% obeso, mentre il 51% è in condizione di normopeso e il 3,1% è sottopeso) sia uno dei paesi europei più affetti da sovrappeso e che al sud (trend dei bambini in sovrappeso è superiore al 35%)  ed in particolare in Campania il problema riguarda il 44,1% dei bambini (primato nazionale). I dati del 2015 sono stati poi confermati nel 2019. L’obesità è un problema molto serio, è una sindrome complessa e multi determinata, può diventare una malattia cronica invalidante, che porta inevitabilmente ad una grossa spesa sanitaria, ad una qualità di vita peggiore e ad una riduzione dell’aspettativa di vita.

I motivi che spingono un bambino, un adolescente, una persona, una famiglia a sviluppare abitudini alimentari scorrette e quindi portare all’obesità, come ho accennato in precedenza, possono essere molti (metabolici, genetici, psicologici, economici, sociali, culturali).

In generale, si può affermare che nei casi di obesità infantile viene evidenziata spesso una difficoltà delle madri a riconoscere quelli che sono i bisogni fisiologici, affettivi ed emozionali del loro bambino. Quindi, come conseguenza, si può osservare una propensione ( da parte della madre e di tutti i componenti della famiglia) a tranquillizzare con il cibo ogni segnale di disagio del bambino.

In tal senso, se il cibo verrà utilizzato ogni volta come mezzo per consolare qualunque sia la causa del malessere del bambino, questi “crescerà con idee confuse e sarà incapace di distinguere tra l’avere fame e l’essere sazio, tra il bisogno di mangiare e altri stati di tensione o disagio”.

L’incongruenza delle risposte degli adulti di riferimento al bambino, priva il bambino di alcune capacità essenziali (cognitive ed emotive) necessarie a costruire una identità capace di poggiare su basi e fondamenta “sicure”.

In particolare, è stato evidenziato in diversi studi, che le dinamiche familiari e le relazioni che le caratterizzano abbiano un ruolo decisivo nel mantenimento e nella cronicizzazione di tale patologia. Nelle famiglie “obese” il cibo è un tramite emotivo, un mezzo attraverso il quale le relazioni, le frustrazioni vengono filtrate. Gli obesi crescono in ambienti familiari restrittivi e ipercontrollanti, dove il cibo è protagonista, nel bene e nel male. Frustrazioni, sensi di colpa, affetti, emozioni, sono tutti placati e resi più “accettabili” dal cibo. In particolare, in alcuni studi è stato evidenziato che le madri dei ragazzi obesi tendono ad avere un atteggiamento di possessività nei confronti dei loro figli e abbiano come centro esclusivo di interesse, la propria famiglia. Assumendo atteggiamenti sacrificali, vogliono che tutti riconoscano acriticamente il proprio ruolo centrale, nella famiglia. “Le modalità di relazione e cura appaiono dunque sostenute più dall’esigenza materna di appagare ansie e bisogni propri piuttosto che da una sintonizzazione sulle effettive esigenze del figlio”.

In tal senso il comportamento di iperalimentazione nei bambini obesi ( ma riscontrabile anche negli adulti) sarebbe legato alla tensione generata dai contatti sociali o da un senso di vuoto interno, di noia e dalla sensazione di non avere più un vero è proprio controllo sulla propria vita. Inoltre si potrebbe dire che l’iperfagia possa essere considerato un modo per difendersi dall’ansia e dalla depressione, in quanto (usando una visione dinamica) attraverso l’incorporazione del cibo implicitamente si vuole negare la “perdita dell’oggetto familiare”. Riempirsi di cibo allontana l’attenzione da se stessi e da pensieri ed emozioni difficili da sostenere, come la rabbia, il desiderio, l’ansia, la paura, le difficoltà quotidiane. Il “corpo pieno” diventa così un salvagente, una corazza che contiene e consola. “Il cibo rappresenta fonte di sostegno, conforto, soddisfazione per i soggetti e la risposta immediata al controllo delle emozioni”.

Le persone obese, in particolare le donne, Si riferiscono al proprio corpo come qualcosa di estraneo, non riescono ad identificarsi con questo “oggetto” antiestetico e scomodo in cui si sentono rinchiusi.

Di conseguenza la comprensione delle dinamiche alla base dei pattern comportamentali del paziente obeso è un asse centrale per la programmazione di futuri interventi preventivi e riabilitativi, mirati non solo al controllo dei comportamenti alimentari disfunzionali, ma anche alla ristrutturazione delle credenze irrazionali su se stessi e sulle proprie competenze, alla gestione flessibile dell’affettività, al ristabilire un equilibrio emotivo tra interno ed esterno, rendendo il paziente protagonista attivo del suo trattamento”. 

È auspicabile, per la gestione degli interventi psicoterapeutici, di riabilitazione e prevenzione tener conto sia delle caratteristiche psicologiche e relazionali condivise dalla popolazione obesa sia di quelle del singolo individuo e della famiglia, per una loro efficienza ed efficacia a lungo termine.

Articoli Consultati: 

“L’obesità in adolescenza: fattori psicologici e dinamiche familiari”, E. Trombini – Recenti Progressi in Medicina,98,2,2007 –

“Il metodo Rorschach per la valutazione dell’obesità: studio clinico su un gruppo di donne obese”, SABINA LA GRUTTA1*, MARIA STELLA EPIFANIO1,NANCY MARIA IOZIA1, ANNA MARINO1, ROSA LO BAIDO2 – Riv Psichiatr 2018; 53(1): 53-59.

http://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/05/11/obesita-la-mappa-regionale-del-rischio-campania-cima-alla-classifica

www.napolitoday.it/salute/obesita-infantile-campania-dati-helpcode.html

“La regione Campania ha il tasso più alto in Italia di obesità infantile” Il Mattino 27/03/2019

Dott. Gennaro Rinaldi