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I disturbi alimentari: Emma.

Attraverso la storia di Emma indaghiamo i disturbi alimentari. Emma non vuole mangiare sarà anoressica, bulimica oppure è obesa? E se avesse deciso di nutrirsi di sola aria inseguendo la corrente del respirianesimo?

Questa tappa del nostro viaggio sarà dedicata ad un sentimento molto forte che in un modo o in un altro un po' tutti abbiamo affrontato provandolo in prima persona o indirettamente, magari subendolo da qualcuno. Oggi parleremo dell'Invidia. L’invidia è un sentimento di rancore ed ostilità nei confronti di qualcuno che possiede qualcosa che il soggetto invidioso desidera, ma non possiede.Buon Ascolto!
  1. L'Invidia
  2. Gli effetti del divorzio dei genitori sui bambini
  3. Teorie della mente.. penso che tu pensi
  4. Conversazione a due sulla Psicologia – Separarsi nell'epoca dei Social
  5. Dillo allo psicologo (non al cyberspazio)

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Night eating Syndrome (Sindrome da Alimentazione Notturna)

La Sindrome da Alimentazione Notturna è stata descritta per la prima volta nel 1955 da Albert Stunkard.

Questa sindrome è ormai riconosciuta come un Disturbo del Comportamento Alimentare ed è inserita nel DSM IV (come disturbo alimentare non altrimenti specificato) e più recentemente nel DSM V (nella categoria “Other Specified Feeding or Eating Disorder”).

Nello specifico questo disturbo è caratterizzato da una perdita del controllo sul cibo durante le ore notturne (iperfagia serale) e un alimentazione quasi nulla durante le ore diurne. Che significa generalmente, scarso appetito durante il giorno e anoressia mattutina. In genere la quantità di cibo consumata di sera e di notte è tra il 25% e il 50% dell’introito energetico giornaliero.

Questo Sindrome può essere associata anche a disturbi del sonno. Infatti, chi ne soffre, si sveglia durante le ore notturne per consumare grandi quantità di cibo calorico (snack, patatine, gelato..). Spesso vengono consumati cibi ricchi di carboidrati e dolci. Vengono quindi consumati per lo più cibi di conforto e ipercalorici.

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Le persone con questo disturbo hanno spesso problemi di sovrappeso o di obesità. Le loro abbuffate notturne sono caratterizzate da vissuti di tensione, stress, ansia, paura e sensi di colpa, quando finiscono di mangiare. Descrivono inoltre un grande senso di inadeguatezza, sconforto, angoscia, disgusto per se stessi e rimorso per il loro comportamento. Provano vergogna a riferire dei propri problemi e tendono a nascondere il cibo che consumano, agli altri.

Questo disturbo del comportamento alimentare è speso collegato con disturbi legati allo stress e alla depressione, ma anche a immagine di sé negativa, perfezionismo e preoccupazione per il proprio peso e per la propria forma. Il cibo è come se venisse usato come “automedicazione”; una sorta di “ristoro” emotivo dopo giornate passate a rimuginare su pensieri negativi o vissuti d’ansia, stress e depressione.

Secondo il National Istitute of Mental Health questo problema tocca circa l’ 1,5% della popolazione, senza differenza di genere e circa il 6/16% dei soggetti obesi.

Come per altri disturbi alimentari, un trattamento efficace per la Sindrome d’Alimentazione Notturna richiede in genere un approccio multidisciplinare.

In genere si inizia informando i pazienti sulla loro situazione, poi lavorando sulla consapevolezza e sugli aspetti emozionali e psicologici, si può procedere attraverso una sorta di rieducazione ai modelli alimentari corretti. Questo lavoro necessita ovviamente di un approccio multidisciplinare con lo Psicoterapeuta e il Nutrizionista (o Dietologo). A questi interventi può essere molto utile affiancare anche una “riabilitazione fisica”, attraverso l’introduzione di esercizio fisico. Ovviamente nei casi in cui vi è una comorbidità con altri disturbi psichiatrici può essere necessaria anche una terapia farmacologica.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Emozioni e cibo

Possono le nostre emozioni condizionare le nostre scelte alimentari? In che modo possono spingerci a mangiare meglio, di più o di meno? Lo stato d’animo che abbiamo in un determinato momento (arrabbiati, sereni, allegri, tristi, ansiosi, positivi) può condizionarci e orientare le nostre preferenze alimentari?

Le nostre emozioni e gli stati d’animo, uniti ad una modalità comportamentale orientata alla ricerca del soddisfacimento immediato hanno inevitabilmente una conseguenza diretta, che riguarda l’assunzione di cibo e che può incidere anche sul nostro peso.

Quello che viene definito da M.P. Gardner come “mangiare emotivo” è una modalità di comportamento piuttosto frequente nelle persone e che, a lungo termine, può portare al sovrappeso e all’obesità.

Secondo l’ipotesi di Gardner, in diverse situazioni, le persone con problemi di obesità, possono essere condizionate nella scelta del cibo da mangiare, sia dal tono dell’umore che da una percezione del tempo “particolare”, che induce le persone a soddisfare il bisogno subito. Questo modo “irruento” di soddisfare il bisogno e lo stimolo della fame (legato al tono dell’umore), non permette alle persone di percepire lucidamente al momento i “danni” (a lungo termine) del cibo di conforto (confort food), ma solamente i benefici derivati dall’assunzione di quel cibo in quel momento.

Praticamente, queste persone non penseranno al fatto che mangiare cibi con moltissime calorie (ma saporiti) per compensare stati emotivi negativi, a lungo andare farà prendere loro molti chili, con la probabilità di poterli far ammalare in futuro. Penseranno, invece, al piacere immediato, e alla sensazione di sollievo che quei cibi possono dargli nell’immediato.

Numerose ricerche nell’ambito della psicologia del comportamento e della prevenzione dell’obesità negli adulti e bambini hanno accertato che:

  1. Essere di buonumore spinge a guardare al futuro, desiderare di vivere in salute e scegliere, di conseguenza, cibi sani e nutrienti.
  2. Vivere uno stato d’animo negativo spinge a prediligere un’immediata soddisfazione del bisogno di gestire, nel concreto, il cattivo umore, attraverso il consumo di cibi “comfort”.
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Insomma, oggi è sempre più indicato un approccio integrato con l’Esperto in Nutrizione e lo Psicologo per rendere efficace e risolutivo un percorso personale  di rieducazione alimentare e supporto psicologico. Inoltre, in alcuni casi, è necessario intraprendere anche un percorso di Psicoterapia per affrontare aspetti del proprio vissuto personale che possono assumere un “peso specifico” nella propria storia di obesità e nel vissuto emozionale correlato.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Contenitori fragili.

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Ieri sera ero intenta a leggere un po’ di notizie; mentre scorro e giro tra vari canali e siti giungono ai miei occhi tre notizie.

La cantante (..) ha finalmente un nuovo e bellissimo corpo da esibire “sono finalmente quel che volevo da sempre, essere” .. dice… Un’altra cantante ancora (questa volta americana) analogamente, senza chissà quale rinuncia alimentare, ha finalmente un corpo tonico e snello da esibire.. La terza notizia era invece di un’altra star che, fiera delle sue forme generose, può finalmente esibire questi (a parer di voce di popolo) kg in più.

Il corpo, diventato ora più che mai una questione ritorna alla ribalta.

Il corpo – ovviamente- femminile.

Non sono mai stata un’appassionata di discussioni da salotti televisivi, soprattutto di quelle discussioni in cui si cerca di dare un senso a tutti i messaggi veicolati dai social: il corpo è tuo, sei sempre bellissima, bisogna volersi bene.. Una serie di mantra motivazionali che ho sempre ritenuto piuttosto privi di contenuto.

Parlare del corpo esponendolo continuamente, dimenticandosi del contenuto, è un processo cui ormai siamo piuttosto abituati.

Il corpo della donna è – per questioni prettamente biologiche- portato ad esser sempre indagato, scrutato, guardato e giudicato; occhi indiscreti si posano continuamente sulle forme del corpo femminile per dar risposta ad una sola domanda: sarai idonea a portare avanti la specie?

La questione si pone nel momento in cui un corpo caldo, di sposa con una mente fredda.

Gran parte delle psicopatologie attuali, sono legate al corpo.

Abbiamo infatti:

Giovani che decidono di infliggersi dolore tagliandosi, scarificando con qualsiasi mezzo la loro superficie decidendo di lacerare il proprio contenitore per paura che il contenuto possa esplodere e strabordare fuoriuscendo come magma rosso, vivo, che tutto arde, intorno..

Giovani che decidono di eliminare il cibo “non ho bisogno di niente”; “sono più forte del bisogno/desiderio alimentare, del bisogno/desiderio che dovrebbe farmi vivere. Io sono puro spirito fluttuante, sono come le sante.. non ho bisogno di niente”.

Giovani – ancora- che mangiano fino a stare male e nel momento in cui sentono di non esser altro che contenitori pieni, senza confine alcuno, squarciano il reale vomitando, gettando tutto fuori di getto.. provocando danni al loro interno; danni che poi vedranno all’esterno concretizzati nel vomito che brucia e logora..

Giovani poi che riempiono ogni singolo centimetro del corpo col cibo, bevande.. qualsiasi cosa che faccia prendere il sopravvento al contenitore.. qualsiasi cosa che non faccia sentire la voce del contenuto, va bene.. Placare con ogni mezzo possibile le richieste di un apparato psichico debole e bisognoso di cure.. “Un biscotto cura più di un abbraccio”.

In ultimo, giovani, che passano ore ed ore ad allenarsi senza sosta. Gonfio muscoli.. rendo il mio sedere tonico e bello agli occhi dell’altro così da non evidenziare le mie (supposte) carenze.. “A nessuno piace un corpo che non sia bello!”

In una società in cui l’Altro si pone come uno specchio che riflette, però, un’immagine di me incongruente con il “mio senso di sé”, diviene difficile trovare un sostegno umano che deponga a favore di una mia unificazione. Se “Io” divento tale nella misura in cui il sostegno umano adulto mi ha (in precedenza) fornito una indicazione identificatoria aiutandomi a comprendere innanzi allo specchio (stadio allo specchio) che quella immagine era mia, cosa accade quando mi trovo di fronte una pluralità di altri, che continua a dirmi “questo sei tu”, ponendomi innanzi una immagine che non riconosco – nemmeno un po’ – come mia?

Arriviamo dunque alla possibilità offerta dall’Ideale dell’Io dato dalla pluralità delle immagini identificatorie offerte dal sostegno umano.

L’Io è infatti da immaginare come una sfoglia di cipolla (fatta di veli) e pertanto fatto dalla successione delle identificazioni compiute ; identificazioni che lasciano tracce, tracce dello sguardo altrui che si è poggiato su di noi, tracce del nostro sguardo poggiatosi su altro in ricerca di un riflesso unificante. Tali tracce si sovrappongono, stratificandosi fino a conservare qualcosa dell’impronta che le ha formate, la loro origine.

Solo nella misura in cui l’Io, nel suo essere formazione immaginaria, appare all’interno di questo quadro simbolico appena descritto, la spoliazione di tutti questi strati (della cipolla) può procedere all’infinito, offrendo una identificazione in grado di tenere, senza schiacciare l’Io.

Cosa vuol dire ciò?

Che la spasmodica ricerca del corpo perfetto, delle forme giuste da esibire; la ricerca costante delle labbra perfette, del selfie più giusto.. della “mia giusta forma”, non cesserà mai fino a che il mio Io non avrà trovato la sua giusta forma.

Non è un caso se queste star un giorno dicono di sentirsi bene nel corpo più generoso, e il giorno dopo sostengono con gran forza l’importanza di allenarsi e mangiare correttamente.

C’è solo una forma da tenere in considerazione..

Quanto è tonico il tuo contenuto?

https://ilpensierononlineare.com/2020/12/01/dipingere-e-forare-il-proprio-se/

https://ilpensierononlineare.com/2019/02/01/autolesionismo-self-injury-il-dolore-celato/

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Dimmi come -non- mangi.

Fonte Immagine Google.

Il tema dell’alimentazione è – ironicamente- quotidianamente sulle nostre bocche. Si mangia troppo, si mangia troppo poco, si mangia male.. Talvolta non si mangia del tutto.

L’approfondimento di oggi, presenterà una nuova patologia che sembra iniziare a svilupparsi in maniera piuttosto consistente, ovvero, il respirianesimo.

L’intento dell’articolo ha come scopo ultimo solo quello (senza giudicare o fomentare) di presentare quella che sarà una delle nuove psicopatologie del campo alimentare; campo che vede la presenza e compresenza di diversi disturbi dal quadro sintomatologico difficile, radicato, complesso e altalenante.

Buona lettura.

La pratica di eliminazione del cibo per l’essere umano, era piuttosto conosciuta con le pratiche Ascetiche secondo cui attuando- con l’ausilio di specifiche pratiche e dottrine- una dissociazione mente/corpo, si giungeva alla perfezione superando il mondo e le richieste della carne per arrivare ad essere “puro spirito fluttuante”.

Il termine stesso “ascetismo” deriva da “ascesi” che sta proprio ad indicare l’esercizio o l’allenamento per superare una prova; la pratica era molto comune nel Cristianesimo.

Recentemente sono balzati alla cronaca e all’attenzione clinica coloro che, definendosi “respiriani” sostengono di vivere abbandonando completamente il cibo e, tramite il superamento di livelli, giungere a vivere nutrendosi di sola aria.

Il respirianesimo sembra essere descritto dai sostenitori come uno stile di vita. Coloro che seguono questo -pericolosissimo- stile di vita, sostengono che al livello più alto della pratica (il 4) avvenga come “il miracolo” secondo cui la persona arriva a non assumere più cibo solido e liquido per anni o decenni.

La seconda manifestazione (livello 3) comporta che la persona mangi una sola volta a settimana. In realtà alcuni in questa fase mangiano solo cibi liquidi oppure si nutrono una volta al mese.

I respiriani sottolineano la loro differenza con l’anoressia in quanto sostengono che se nell’anoressia ciò che la persona fa, è il digiuno, loro (i respiriani) tendono, invece, non a digiunare ma a connettersi energeticamente con il proprio corpo e la propria esistenza. I respiriani sostengono che il loro non sia un digiuno vero e proprio (privazione totale del cibo), ma una astensione dal cibo.

Ciò che in termini clinici appare all’occhio (per le problematiche altamente pericolose in termini nutrizionale e fisici, non credo ci sia bisogno che mi dilunghi. Non sono una nutrizionista ma è chiaro che privarsi del cibo anche solo per qualche settimana/mese è, senza giri di parole, dannoso e letale), è il fatto che queste persone facciano leva sull’importanza della connessione con il proprio senso di sè, che questa pratica sembra portare.

Quelli che hanno iniziato questo percorso, sostengono la forte sfida emozionale che hanno vissuto durante queste pratiche, secondo cui è emerso/ uscito fuori, tutto il loro passato.

Sembra quindi che eliminando il cibo (fonte di sostentamento, gratificazione e soprattutto piacere), non potendo poi eliminare altro dal proprio corpo (ovvero gli scarti fisiologici dell’alimentazione), possano emergere sentimenti, sensazioni e problematiche del passato.

Se nell’anoressia la persona è “senza origine” e rifiuta il cibo in quanto non ha bisogno di niente se non di essere puro spirito fluttuante; nella bulimia si trattiene e poi si getta via ad esempio con il vomito (l’agito) tutto ciò che non si può trattenere nella speranza di ritornare anoressica e nell’obesità si tiene tutto addosso, con sè, nel respirianesimo sembrerebbe esserci una condizione ulteriore in cui mi esercito gradatamente a non avere bisogno del cibo ma della sola mia energia tornando, nel momento giusto, “all’uso” del cibo stesso.

Gli studi in merito sono ancora in divenire, l’etichetta di respiriani è piuttosto recente ma di fatto non indica nulla di particolarmente nuovo; sembra essere più una moda del nuovo tempo. Una moda però, pericolosa.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Famiglie “abbondanti”. L’insostenibile “leggerezza” delle emozioni.

Da un po’ di anni a questa parte una delle problematiche più allarmanti e preoccupanti per la salute psico-fisica è legata all’obesità. In generale, le stime e i dati che diffondono le diverse organizzazioni (Helpcode , Istat) sono emblematici di un problema sempre più diffuso che ha molte sfaccettature e per questo assai complesso.

Si stima che l’Italia (L’indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” del 2016, a opera dell’Istituto Nazionale di Statistica, fornisce una chiara visione delle abitudini alimentari della popolazione italiana. Nello specifico si rileva che il 45,9% della popolazione di età ≥18 anni ha un peso ponderale in eccesso, di cui il 35,5% sovrappeso e il 10,4% obeso, mentre il 51% è in condizione di normopeso e il 3,1% è sottopeso) sia uno dei paesi europei più affetti da sovrappeso e che al sud (trend dei bambini in sovrappeso è superiore al 35%)  ed in particolare in Campania il problema riguarda il 44,1% dei bambini (primato nazionale). I dati del 2015 sono stati poi confermati nel 2019. L’obesità è un problema molto serio, è una sindrome complessa e multi determinata, può diventare una malattia cronica invalidante, che porta inevitabilmente ad una grossa spesa sanitaria, ad una qualità di vita peggiore e ad una riduzione dell’aspettativa di vita.

I motivi che spingono un bambino, un adolescente, una persona, una famiglia a sviluppare abitudini alimentari scorrette e quindi portare all’obesità, come ho accennato in precedenza, possono essere molti (metabolici, genetici, psicologici, economici, sociali, culturali).

In generale, si può affermare che nei casi di obesità infantile viene evidenziata spesso una difficoltà delle madri a riconoscere quelli che sono i bisogni fisiologici, affettivi ed emozionali del loro bambino. Quindi, come conseguenza, si può osservare una propensione ( da parte della madre e di tutti i componenti della famiglia) a tranquillizzare con il cibo ogni segnale di disagio del bambino.

In tal senso, se il cibo verrà utilizzato ogni volta come mezzo per consolare qualunque sia la causa del malessere del bambino, questi “crescerà con idee confuse e sarà incapace di distinguere tra l’avere fame e l’essere sazio, tra il bisogno di mangiare e altri stati di tensione o disagio”.

L’incongruenza delle risposte degli adulti di riferimento al bambino, priva il bambino di alcune capacità essenziali (cognitive ed emotive) necessarie a costruire una identità capace di poggiare su basi e fondamenta “sicure”.

In particolare, è stato evidenziato in diversi studi, che le dinamiche familiari e le relazioni che le caratterizzano abbiano un ruolo decisivo nel mantenimento e nella cronicizzazione di tale patologia. Nelle famiglie “obese” il cibo è un tramite emotivo, un mezzo attraverso il quale le relazioni, le frustrazioni vengono filtrate. Gli obesi crescono in ambienti familiari restrittivi e ipercontrollanti, dove il cibo è protagonista, nel bene e nel male. Frustrazioni, sensi di colpa, affetti, emozioni, sono tutti placati e resi più “accettabili” dal cibo. In particolare, in alcuni studi è stato evidenziato che le madri dei ragazzi obesi tendono ad avere un atteggiamento di possessività nei confronti dei loro figli e abbiano come centro esclusivo di interesse, la propria famiglia. Assumendo atteggiamenti sacrificali, vogliono che tutti riconoscano acriticamente il proprio ruolo centrale, nella famiglia. “Le modalità di relazione e cura appaiono dunque sostenute più dall’esigenza materna di appagare ansie e bisogni propri piuttosto che da una sintonizzazione sulle effettive esigenze del figlio”.

In tal senso il comportamento di iperalimentazione nei bambini obesi ( ma riscontrabile anche negli adulti) sarebbe legato alla tensione generata dai contatti sociali o da un senso di vuoto interno, di noia e dalla sensazione di non avere più un vero è proprio controllo sulla propria vita. Inoltre si potrebbe dire che l’iperfagia possa essere considerato un modo per difendersi dall’ansia e dalla depressione, in quanto (usando una visione dinamica) attraverso l’incorporazione del cibo implicitamente si vuole negare la “perdita dell’oggetto familiare”. Riempirsi di cibo allontana l’attenzione da se stessi e da pensieri ed emozioni difficili da sostenere, come la rabbia, il desiderio, l’ansia, la paura, le difficoltà quotidiane. Il “corpo pieno” diventa così un salvagente, una corazza che contiene e consola. “Il cibo rappresenta fonte di sostegno, conforto, soddisfazione per i soggetti e la risposta immediata al controllo delle emozioni”.

Le persone obese, in particolare le donne, Si riferiscono al proprio corpo come qualcosa di estraneo, non riescono ad identificarsi con questo “oggetto” antiestetico e scomodo in cui si sentono rinchiusi.

Di conseguenza la comprensione delle dinamiche alla base dei pattern comportamentali del paziente obeso è un asse centrale per la programmazione di futuri interventi preventivi e riabilitativi, mirati non solo al controllo dei comportamenti alimentari disfunzionali, ma anche alla ristrutturazione delle credenze irrazionali su se stessi e sulle proprie competenze, alla gestione flessibile dell’affettività, al ristabilire un equilibrio emotivo tra interno ed esterno, rendendo il paziente protagonista attivo del suo trattamento”. 

È auspicabile, per la gestione degli interventi psicoterapeutici, di riabilitazione e prevenzione tener conto sia delle caratteristiche psicologiche e relazionali condivise dalla popolazione obesa sia di quelle del singolo individuo e della famiglia, per una loro efficienza ed efficacia a lungo termine.

Articoli Consultati: 

“L’obesità in adolescenza: fattori psicologici e dinamiche familiari”, E. Trombini – Recenti Progressi in Medicina,98,2,2007 –

“Il metodo Rorschach per la valutazione dell’obesità: studio clinico su un gruppo di donne obese”, SABINA LA GRUTTA1*, MARIA STELLA EPIFANIO1,NANCY MARIA IOZIA1, ANNA MARINO1, ROSA LO BAIDO2 – Riv Psichiatr 2018; 53(1): 53-59.

http://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/05/11/obesita-la-mappa-regionale-del-rischio-campania-cima-alla-classifica

www.napolitoday.it/salute/obesita-infantile-campania-dati-helpcode.html

“La regione Campania ha il tasso più alto in Italia di obesità infantile” Il Mattino 27/03/2019

Dott. Gennaro Rinaldi