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Psicologia sugli spalti: che succede?

Ritorna l’entusiasmante collaborazione con “Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli”, blog a cura dell’amico Giulio Ceraldi che, ancora una volta, offre la possibilità di portare una lettura psicologica nel mondo del pallone.

CHE SUCCEDE? CHE SUCCEDE? CHE SUCCEDERÀ?

Stamattina, come quasi ogni giorno della mia quotidianità ero intenta ad ascoltare il caro Pino Daniele. Da diversi giorni, aleggiava nella mia mente il testo della canzone “N’ata stagione”, un’altra stagione – per intenderci – ed ecco che con un profondo sussulto… ripenso all’altra stagione; quell’altra stagione che è diventata a tutti gli effetti, quella del nostro amatissimo Napoli.

Quello che sta accadendo nel Campionato italiano è qualcosa destinato a restare impresso nella memoria (prima di tutto) ma anche e soprattutto, nelle sensazioni, nel ricordo e nella storia della serie A.
Siamo stati sotto il predominio di una certa (o di certe, direi) società, aziende, le si chiami come si preferisce intendere in base alla centratura che si vuole loro dare, che sono state surclassate -adesso- da un’onda, uno tsusami azzurro.

Ma procediamo con calma e vediamo “che succere”

Succede che il Napoli guarda tutti dall’alto e si tratta di un Napoli costrutito -finalmente- allenato alla mentalità di gruppo; un gruppo che sa pure cazzeggiare con il pallone (l’elemento di godimento che i ragazzi provano, nel palleggio, è finalmente evidente), ma che sa soprattutto non cedere e mantenere fisso l’obiettivo.

Ora.. parlare di obiettivo è abbastanza complesso.

La parola “obiettivo” non mi è particolarmente simpatica, persino ai miei pazienti non metto mai il vincolo della suddetta parola poichè evita l’elemento del godimento e della passione sottessa all’azione che si va a compiere. L’obiettivo, il goal, è certamente ciò che un individuo vuole raggiungere attraverso la sua prestazione, si situa come quel qualcosa da tenere sempre in mente nell’affrontare l’obiettivo finale che si vuol raggiungere. Il goal deve essere specifico (circoscrivibile e non troppo generico), deve essere misurabile (più è definibile numericamente più facilmente, ad esempio, durante una stagione sportiva riusciamo a capire se è stato raggiunto o meno), deve essere accessibile (è insomma necessario che un gruppo o atleta siano realmente capaci di poter ipoteticamente raggiungere questo obiettivo), deve essere rilevante (non troppo facile insomma, per l’atleta; il goal deve essere qualcosa di pregnante così tanto da mantenere alto l’interesse e la sfida per l’atleta) e deve essere legato al tempo (va insomma chiarita la tempistica in cui vogliamo raggiungere l’obiettivo stesso: a breve o lungo termine?).

Quello che ho appena esposto in maniera molto concisa è il “Goal setting”, la definizione degli obiettivi che si fa di solito quando si prende in carico un atleta, una squadra, una società. E’ certamente una tecnica efficace e valida quando interagiamo con grandi società ma piuttosto fredda e meccanica.

Mi piace parlare, invece, di percorsi. Un percorso è un viaggio del tutto personale fatto in compagnia però dei compagni di squadra o -nel caso degli atleti- dei tifosi stessi. Il percorso allora diviene un viaggio fatto di ostacoli, vittorie, sensazioni, emozioni e -soprattutto- la cosa più importante: i ricordi.

Non sappiamo ancora bene “che succederà”… o forse sì….

Sappiamo però che i risultati di oggi sono il risvolto di un lungo percorso iniziato non ieri, non domani ma tempo fa; un percorso che ci ha fatto incazzare (e non poco), spesso disperare.

Stiamo facendo insieme (noi tifosi con la società tutta), un percorso non ordinario ma straordinario. Siamo affascinanti e avvincenti; siamo divertenti, giovani e belli. Siamo atleti e al contempo bambini che riescono a godere di quello che resta ancora, nonostante tutto, il gioco più bello del mondo: quello del pallone.

Allora: che succere… che succederà?

Questo non posso saperlo, ma al di là di ogni risultato, obiettivo o traguardo amo questo Napoli e la possibilità di potermi emozionare e vivere, sulla superficie della mia pelle e del cuore, la possibilità di vedere quella che un domani sarà -certamente- storia da raccontare.
E allora: Forza Napoli.. Sempre!

“Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”

Dott.ssa Giusy Di Maio, Psicologa Clinica – appassionata di sport – Tifosa del Napoli.

Leggi l’articolo anche su “Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli”.

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli”, a cura di Giulio Ceraldi.

E questa è cultura che condivido per chi, come al solito, ha saputo solo offendere. Anche per voi ci sarà un’altra stagione che non sarà questa.
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Pallone & Psiche: 50 sfumature di emozioni

Giro di boa a cinquanta punti. Seconda a meno dodici. Impensabile, incredibile..

Nel mezzo del cammino di questo campionato e all’alba luminosissima di un nuovo anno ci stropicciamo gli occhi increduli e proviamo imperterriti ad accomodare la vista per avere la prova visiva e oggettiva di ciò che sta accadendo.

Il tifoso del Napoli sta vivendo questi giorni immerso in un mare magnum di emozioni crescenti, e pallide visioni di vecchi tormenti e paure, che ogni tanto tornano e vedono concretizzarsi in gelide e piovose sere di coppa.

Ma la realtà spesso supera l’immaginazione e i più fervidi desideri.

Eppure, se lanciamo uno sguardo alle nostre spalle, scorgiamo il ricordo dello stato d’animo del tifoso medio napoletano, nel periodo che precedeva l’inizio del campionato. Un umore altalenante e instabile.

Si galleggiava emotivamente e cognitivamente nell’ambivalenza estrema. 

Pallone & Psiche rubrica in collaborazione con il Blog di Giulio Ceraldi - "Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli"

Ma probabilmente era solo “pessimismo difensivo”, un atteggiamento adattivo che al tifoso napoletano,  permetteva di premunirlo e difenderlo da una possibile, ennesima delusione imminente. Una sorta di meccanismo di “controllo”, legato  all’anticipazione dei problemi e al controllo dell’ansia.

Forse quell’atteggiamento era il preludio ad una sorta di consapevolezza inconscia della potenzialità di un gruppo e di un progetto vincente. Allora piuttosto che inebriarsi di un pericoloso ottimismo “irrealistico” che avrebbe potuto far abbassare la guardia dinnanzi a possibili difficoltà e insidie future (già vissute, già viste) e quindi potenzialmente dannose per l’autostima, il tifoso ha deciso di far prevalere il più negativo pessimismo.  

Oggi forse ci stiamo risvegliando da quel torpore emotivo dovuto a quell’atteggiamento “preventivo” e a quella scaramanzia insita e caratteristica di buona parte di noi tifosi napoletani, che ci ha condizionato fino alla ripresa del campionato e addirittura fino alla partita delle partite.

Personalmente (e credo sia esperienza condivisa anche da altri), le emozioni che provo, in particolare post 5 a 1, vacillano tra incredulità, meraviglia, gioia e frenesia. E si sommano, ma crescendo pian piano, senza esondare (per il momento).

L’entusiasmo, che in questo momento è lo stato emotivo prevalente della squadra e dei tifosi, dovrà accompagnarci per il resto della stagione, perché permette all’autostima di crescere. L’entusiasmo garantisce anche la una maggiore e più efficace consapevolezza dei propri mezzi. Insomma l’entusiasmo è veramente come un carburante potente. Ma proprio perché l’entusiasmo ha il potere di inebriare e alterare gli stati cognitivi, c’è il rischio che diventi un’arma a doppio taglio e che alteri la percezione del pericolo e che abbassi il livello di attenzione.

Quindi meglio premunirsi con un po’ di quel pessimismo difensivo che ci ha caratterizzato nel recente passato; accogliamo l’ansia di ogni partita, anche quelle apparentemente più semplici, e utilizziamo il nostro entusiasmo bene, magari per riempire quei momenti di insicurezze e paure che ci accompagneranno fino alla fine di questo splendido viaggio.

Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”

Leggi l’articolo anche su “Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli”.

Dott. Gennaro Rinaldi – Psicoterapeuta e tifoso del Napoli

 

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli”, a cura di Giulio Ceraldi.

Psico – riflessioni calcistiche e meccanismi di difesa

Quello che sta accadendo nel Napoli in questa afosa estate 2022 è qualcosa di decisamente inaspettato.

Un’estate che rimarrà probabilmente impressa nella memoria storica del tifoso del Napoli per moltissimo tempo. Ci sono molti punti di vista a riguardo e ognuno racconta la sua verità.. ogni punto di vista probabilmente porta con sé un pezzo di realtà..

I più ottimisti parlano di estate della rifondazione, del ringiovanimento, i più pessimisti ci vedono invece un piano malefico legato ad azioni e idee presidenziali veicolate da puro piacere sadico; altri ancora vedono tutto in chiave economica e credono sia tutto legato alla bramosia del “vile denaro”.

Stamattina, riguardando per l’ennesima volta il video dell’addio di Ciro Mertens al Napoli (spinto dalla speranza che fosse solo un brutto sogno), mi è balzata in mente una possibile spiegazione a tutto questo.

Esistono nella nostra mente dei processi mentali difensivi (meccanismi di difesa) che si attivano in determinate circostanze, in maniera conscia ed inconscia per “proteggerci” da pensieri indesiderati, disturbanti, traumatici, ansiogeni, spaventosi..

Tra questi meccanismi di difesa ce n’è uno in particolare che si è insinuato nella mia mente e che può forse dare senso a tutto ciò che sta accadendo: la soppressione.

La soppressione è un processo difensivo, cosciente e volontario, della mente, che si attiva per evitare sentimenti spiacevoli o conflittuali, ma anche desideri, fantasie, ricordi ed emozioni che in qualche modo sono percepiti come potenzialmente portatori di ansia..

Quindi mi chiedo: e se questa serie di scelte, molto discutibili della società, di tagliare con tutte le figure più rappresentative e amate dai tifosi e dalla città fosse un modo per “sopprimere”, i ricordi, le emozioni, le fantasie legate a quelle figure ?

Quei giocatori portavano con sé, attraverso la loro presenza, un carico enorme di passione ed emozioni. Loro erano la chiave d’acceso a quei ricordi bellissimi di una storia recente fatta di bellezza, emozioni, passione e fantasie.

A volte anche i ricordi e le emozioni positive possono diventare “disturbanti” e insostenibili per alcune persone e alcuni “sistemi” che vogliono mantenere a tutti i costi determinati equilibri.

La soppressione in questo senso agisce per smantellare e sopprimere quegli elementi che stavano diventando ingombranti: “Se li lascio andare, li caccio e non me ne curo.. andranno via e mi lasceranno in pace.. non mi dovrò più preoccupare di loro e posso ricominciare, facendo finta che non sia successo nulla..”    

Scelte..

Ma i “meccanismi di difesa”, si sa, non possono reggere per molto tempo.

I ricordi, le emozioni, le fantasie forzatamente soppresse prenderanno altre strade e possono riemergere da un momento all’altro, attraverso sintomi e patologie psichiche, psico – somatiche e patologie sistemiche.

Purtroppo già si scorgono i primi sintomi..  

https://twitter.com/Ilpensierononl1/status/1550898703841607681

“Come dico sempre, Amore è uno scugnizzo napoletano.” Luciano De Crescenzo

Ti meritavi di più.. a presto #Ciro!

@dries_mertens14 #Mertens #SSCNapoli #ciro #dries #ilpensierononlineare #Napoli

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Pallone & Psiche (la diretta)

Ritorna la diretta di Pallone & Psiche!!!

Appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di Psicologia e per gli amanti del calcio e del Napoli.

Collaborazione tra il nostro blog di Psicologia Il Pensiero Non Lineare e il blog del nostro caro amico Giulio Ceraldi de Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli.

Torna oggi, mercoledi 25 maggio alle 18,30, la diretta di Pallone & Psiche.

Tanti ma veramente tanti gli argomenti che tratteremo in compagnia dei dottori psicologi (e amici) Giusy Di Maio & Gennaro Rinaldi del bellissimo blog di Psicologia Il Pensiero Non Lineare.

Il programma andra’ in onda in diretta streaming e “on demand” sui canali Facebook (clicca qui), YouTube (clicca qui) e Twitch (clicca qui e cerca ciucciomaglianapoli) de Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli.

Potrete interagire con noi inviandoci i vostri commenti.”

Vi aspettiamo!!

Pallone&Psiche – Napoli vittima di se stesso.

Tra auto – sabotaggio e comunicazione “superficiale”

(Puoi trovare questo articolo anche come “MASOCHISMO AZZURRO” in Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli)

Nonostante la giornata storica, 10 Maggio, per il calcio a Napoli. Trentacinque anni fa, nel 1987, il primo scudetto. C’è un pizzico di rammarico che serpeggia tra i tifosi. Tornando al presente infatti possiamo dire che quelle passate sono state giornate difficili per tutti i tifosi del Napoli.

Giornate avvelenate da una profonda delusione e da una rinnovata sensazione di sconforto e rabbia, legata a questo sentore di ennesimo “tradimento”.

Il tifoso mette, nella “relazione” con la propria squadra del cuore, un certo quantitativo di investimento “energetico” emotivo, che viene alimentato dalle risposte sul campo della squadra, dai comportamenti che la squadra ha, dalle dichiarazioni dei protagonisti, dall’impegno, dal rispetto..

Insomma quella tifoso/squadra è una relazione molto complessa.

Questa premessa per dire che non si può pretendere che i tifosi non abbiano reazioni emotive piatte. Il tifoso alimenta il suo amore per la maglia attraverso la passione, e la passione per definizione stessa è mossa da emozioni e sentimenti forti e turbolenti.

Quindi non si dica che la profonda delusione dei tifosi del Napoli sia “inspiegabile”, “insensata”, “immotivata”, “esagerata”..

Le parole sono sassi, come recitava una canzone di Samuele Bersani di qualche anno fa, e bisogna usarle bene, fare molta attenzione al loro peso, al loro significato. Quando si fanno certe dichiarazioni bisogna avere anche il coraggio di dire: “Ho sbagliato, scusatemi”.

I risultati devastanti di Empoli, e quelli in casa con Fiorentina e Roma, sono anche il risultato di parole mal dette (o maledette), e di una comunicazione apparentemente “malata”, da parte del nostro allenatore.

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoli”, https://ciucciomaglianapoli.com/ a cura di Giulio Ceraldi.

La sensazione, anche derivata dalle dichiarazioni post goleada contro il Sassuolo, è che la nebbia della confusione di quelle gare abbia alimentato una faticosa arrampicata sugli specchi.

Più o meno il senso delle dichiarazioni del nostro allenatore, anche in risposta alla lucida analisi di Mertens del post Sassuolo è: “Io il mio l’ho fatto, ho portato la squadra in Champions. Ho voluto alzare l’asticella, guardando allo scudetto, solo perché eravamo vicini e i tifosi lo volevano, ma non è colpa mia se la squadra è più debole delle squadre che ci precedono. Poi è vero che abbiamo perso in casa contro le ultime in classifica e siamo usciti da tutte le competizioni in maniera pietosa, ma abbiamo fatto due/tre ottimi risultati fuori casa a Milano e a Bergamo, dove non si vinceva da tempo. Da me che volete? Poi Mertens che parla a fare, è colpa loro se abbiamo perso, e non è vero che siamo forti quanto gli altri..”.

Nel post Torino poi arriva la ciliegina sulla torta, una perla, oserei dire: “A voi interessa se il prossimo anno si vince lo scudetto o no. Non se i giocatori vengono ad allenarsi anche quando hanno il giorno libero. No, quello non vi interessa”. Come sempre si sbagliano modi e tempi. Probabilmente in un momento diverso questa dichiarazione sarebbe stata apprezzata, ma ora non ha senso, è assolutamente fuori luogo.. 

Guardando al trittico di partite “incriminate” invece, si può fare un’osservazione interessante di carattere psicologico. Il Napoli probabilmente, è stato vittima di quello che in Psicologia si chiama Auto-sabotaggio.

In genere ci sabotiamo quando proponiamo a noi stessi aspettative irrealistiche, mirando al perfezionismo, ma partendo dal presupposto (probabilmente errato) che non siamo in grado di fare delle cose o che non siamo abbastanza capaci di farle. Quindi ci auto sabotiamo per paura di fallire

Quindi volendo portare ad esempio ciò che è successo al Napoli, si potrebbe ipotizzare che se ad esempio Spalletti (ma questo vale anche per la piazza, giornalisti tifosi, ma anche presidente) parte dal presupposto (più o meno inconscio) che se non lo abbiamo fatto prima (vincere lo scudetto o competere per due tre competizioni contemporaneamente), non siamo in grado di farlo.

Quindi nel momento più bello, quando pare che siamo veramente in grado di poter raggiungere quell’obiettivo, ci auto-sabotiamo, per paura di fallire. Come ad esempio è successo con le scelte poco felici sulle formazioni mandate in campo nelle partite “incriminate”, sulle sostituzioni e sui moduli adottati.

Si mettono, così, in atto comportamenti specifici ossia: ci convinciamo che possiamo “vincere lo scudetto” solo se possiamo essere più forti di quelli sopra di noi o se possiamo avere dei giocatori “vincenti” ed esperti e poi mettiamo in atto strategie strane a favore del fallimento (come ad esempio levare un attaccante, mettere giocatori fuori ruolo, infortunati o poco in forma, rinunciare ad attaccare e a giocare o affidarsi ad un modulo completamente inadatto ai propri giocatori e palesemente con poca resa).

Probabilmente come Napoli ci sabotiamo perché preferiamo la certezza e la prevedibilità rispetto all’ignoto  e operiamo un auto-sabotaggio proprio perché pensiamo di non valere abbastanza per meritare lo scudetto.

Ci facciamo influenzare da false credenze magari legate a pregiudizi sociali e sportivi negandoci il successo

Se fosse questo il problema, allora la domanda è: siamo stati vittima del “pensiero sabotatore” della piazza, dei calciatori, dell’allenatore o del presidente? O della commistione di tutti questi?

Gennaro Rinaldi, Psicologo Psicoterapeuta – Giusy Di Maio, Psicologa Clinica

Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoli”, https://ciucciomaglianapoli.com/ a cura di Giulio Ceraldi.

Pallone&Psiche: Il leader di una squadra.

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoli”, https://ciucciomaglianapoli.com/ a cura di Giulio Ceraldi.

In seguito alla bellissima diretta https://youtu.be/pTkFGPIciV8 e a tutte le suggestioni nate dal confronto con i nostri amici/tifosi, abbiamo deciso di offrire una lettura della figura del leader di una squadra. Il focus è, in questo caso, (per ovvie ragioni) sulla squadra del Napoli ma badate bene… Sono abbastanza sicura che chiunque sia appassionato di sport, possa trovare interessante la lettura offerta.

Il punto di partenza è la letteratura che ci consente la prospettiva offerta dalla psicologia del lavoro che indaga la figura del leader; il leader di una squadra è necessariamente il capitano? E’ l’allenatore? Oppure c’è qualcosa di più?

Grazie mille per il supporto e buona lettura.

Ma allora… il leader di una squadra chi è? E, cosa più importante, il Napoli ha o no ha un leader che sia vero attore/trascinatore (prima di tutto sognatore) di quello che in letteratura si chiama “destino comune” di un gruppo?

Proviamo a fare un pò il punto della situazione.

Abbiamo spesso detto che, in un’ottica psicologica, la squadra va intesa come un gruppo che coopera per procedere verso un destino comune (il nostro ha proprio quel nome lì, quello per i più impronunciabile). Quando parliamo di gruppo, quindi, è necessaria la presenza di un trascinatore che sia qualcosa di più del semplice capitano; serve qualcuno con rabbia, grinta e “cazzimma”; qualcuno che protegga come un padre e che sia al contempo “cazzaro” come uno zio (ammettiamolo, tutti abbiamo o abbiamo avuto uno zio carismatico e divertente).

Leader, etimologicamente, deriva da “to lead” (in inglese) e significa condurre oppure dal latino “cum ducere” (tirare insieme). Secondo gli psicologi Novara e Sarchielli (1996), un leader per assicurarsi la fiducia dei suoi seguaci (immaginiamo quindi, in questo caso, un calciatore X che riesca a suscitare nei suoi compagni di squadra una fiducia totale) debba avere:

  • potere: deve cioè assicurarsi adesione e compiacenza influenzando gli altri;
  • autorità: un potere che venga a lui attribuito da altri secondo delle regole definite;
  • controllo: si intende una modalità con cui ci si assicuri che ciò che viene prescritto o “detto” dal leader viene rispettato.

Come fa il leader ad assicurarsi questa fiducia nei suoi seguaci? Nel nostro caso: come fa il nostro calciatore X ad assicurarsi tale fiducia da parte dei suoi compagni? Utilizzando proprio la leadership ovvero un processo, una interazione che avvenga proprio tra il leader stesso (portatore delle sue caratteristiche personali, idee, competenze e motivazioni) ed i componenti del gruppo (parimenti portatori di caratteristiche personali, idee e motivazioni) a ciò però si deve aggiungere un terzo importantissimo elemento, ovvero la situazione (il luogo fisico in cui ci si trova).

Mi sembra quasi di sentire una voce sullo sfondo: “Eh Dottorè… tutto quello che volete ma io il  nesso col Napoli non ce lo vedo… Non dovevamo parlare di quello?”

E allora torniamo al nostro amato Napoli. In questi giorni (che non sono giorni né di calendario, né di settimana) ma giorni di mesi (che poi sono anni), di storia del Napoli, riflettevo.

Allo stato attuale delle cose abbiamo una società dalla storia complessa; una storia sofferta che non sempre ha visto l’unione e la cooperazione familiare che qui diventano le varie scissioni nel/del tifo, l’ammutinamento dei calciatori, gli arbitri che vanno spesso a sensazione (una sensazione che li porta spesso contro il Napoli) e un presidente che comunica quando non deve e non comunica quando deve; insomma… direi che la comunicazione resta una questione caldissima, in casa Napoli, e allora… c’è qualcuno capace di saper comunicare e/o implementare una “vision” (che nel nostro caso resta sempre il raggiungimento di quella parola che si pensa ma non si dice) in maniera tale da mantenere alta, altissima (nonostante tutto) la prestazione?

Guardo al nostro organico e vedo da un lato un capitano che leader (mi dispiace tanto dirlo) non è mai stato (tanto da voler recidere le proprie radici e andare fuori, lontano, dove molto probabilmente distante dallo stress di dover dimostrare alla sua città (e qui diviene quasi la proiezione di un papà a cui dimostrare di valere realmente qualcosa) troverà la sua dimensione di leader

Poi c’è la nostra colonna Kalidou Koulibaly a cui non puoi non voler bene. Animo gentile e sensibile , difensore della nostra città (eh sì, perché il Napoli non gioca come una squadra ma gioca come una città intera e, come tale, porta sulle sue gambe tutta la nostra storia). Oppure ancora abbiamo il giovanissimo Victor James Osimhen, dall’incredibile grinta; ricordo la prima partita in cui l’ho visto giocare e di botto mi venne fuori un “finalmente! Ci voleva uno così!”

Ma così come?

Uno che gode quando corre, che si diverte quando segna, che si incazza quando sbaglia e sbaglia perché vuole strafare. Un giovane che certo è grezzo ancora e a cui però auguro, quando inevitabilmente sarà più strutturato, di non perdere questa componente di godimento.

Allora Dottorè… abbiamo il leader? E’ lui?

Mmmm…” Ho un’opinione in merito, condivisibile o meno…

Credo che il leader sia qualcuno pronto a restare… attenzione… non parlo di restare a vita fisicamente; parlo di permanere nella memoria dei sentimenti del tifoso.

Il calcio è una cosa seria mica a caso… Il pallone è una cosa seria perché ha legame con quella cosa che la psicoanalisi francese chiama “massimo godimento”; si tratta di qualcosa di assimilabile all’orgasmo, al picco massimo di piacere che puoi provare.

Un leader è pertanto qualcuno che non è (stato) e non solo è ma sempre sarà; qualcuno che arriva e capisce dove sta la storia della città, l’importanza delle radici…

Certo, Diego è uno solo (e lui sì che sempre sarà) ma serve qualcuno che, come diceva Pino Daniele, capisca che  ‘sta terra è na’ pazzia (Sarà, dall’album “Ferry boat” del 1985) e che certe volte il tifoso (e con lui tutta la squadra) ha solo bisogno di qualcosa che rimane (supra).

Allora in questo vedo tanto Dries Mertens, un ragazzo che è arrivato già restando e lo ha fatto talmente tanto da chiamare il figlio “Ciro”, facendogli dono e lasciandogli in eredità il suo nome (ricordiamo che Dries è per tutti Ciro Mertens).

E’ così che si diventa, probabilmente, leader in un duplice processo che ci vuole prima figli e poi genitori del contesto in cui ci andiamo ad inserire e in questo… Mertens è stato più che concreto.

Benvenuto Ciro Mertens e tanti auguri a quel ragazzo ora padre di quel bambino che, metaforicamente e proiettivamente, è lui stesso (Ciro), che ora è al 100% figlio del Vesuvio, figlio di Napoli (e forse leader a tutti gli effetti).

Giusy Di Maio, Psicologa Clinica, & Gennaro Rinaldi, Psicologo Psicoterapeuta

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoli”, https://ciucciomaglianapoli.com/ a cura di Giulio Ceraldi.

Pallone & Psiche – Quando l’allenatore fa la differenza..

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoli”, https://ciucciomaglianapoli.com/ a cura di Giulio Ceraldi.

Vi prego non svegliatemi ora..

Il sogno più dolce, pare essere più vivido, colorato e pieno di luce.. l’urlo liberatorio all’ultimo minuto, poi quella luce negli occhi di Fabian, di Insigne, di Elmas, di Spalletti..

Quella corsa sotto la curva, l’esplosione di gioia mista a rivalsa e a rabbia, per dei risultati che non raccontavano la verità di motivazioni e obiettivi di una squadra vittima solo della sfortuna e dei blocchi mentali legati ad un’autostima decrescente.

Spalletti negli ultimi interventi ha usato parole dirette e precise, nei confronti dei propri ragazzi, del gruppo. Ha preso posizione in pubblico, proteggendo il gruppo dagli attacchi esterni. Ma, ancora più importante, ha lanciato un messaggio preciso alla sua squadra, che più o meno è stato questo: “ Voi avete grandissime risorse e potenzialità, siete più di quanto gli altri hanno visto. Io credo in voi e credo nell’obiettivo più grande. Sono qui con voi e non vi lascerò da soli. Siamo forti!”

Per allenare e motivare gli atleti, gli allenatori d’esperienza e con mentalità vincente, adottano un approccio che favorisce le relazioni e incita i singoli calciatori all’autonomia. Ciò che davvero conta è il tipo di rapporto che il mister costruisce con i propri calciatori

Spalletti allenatore del Napoli – immagine google

La filosofia dell’allenatore “sergente di ferro” ha miseramente fallito con la scorsa gestione tecnica. Anche le ultime ricerche in Psicologia dello Sport hanno confermato che l’approccio più “vincente” è basato suo uno stile di coaching basato su un rapporto diretto con i calciatori e sull’ascolto.

Nel professionismo ad alto livello funziona meglio attingere alle dinamiche psicologiche delle interazioni sociali e alle motivazioni personali.

Secondo la teoria dell’autodeterminazione di L. Deci e M. Ryan (1985), gran parte del nostro comportamento è guidato da motivazioni interiori e non da spinte esterne. Inoltre, in base a diverse ricerche effettuate i due autori hanno potuto identificare tre requisiti: competenza, relazione e autonomia, che portano all’autodeterminazione e sono essenziali per il benessere psicologico degli atleti.

In poche parole i giocatori migliorano la propria competenza costantemente grazie alle capacità e all’esperienza dell’allenatore. Se l’atleta ha la sensazione di non poter imparare qualcosa dal coach, la relazione tra lui e il coach non funziona.

Il lavoro dell’allenatore vincente passa anche dalla relazione, gran arte del suo lavoro, infatti, consiste nel sviluppare dei rapporti e nel potenziare le motivazioni intrinseche. Il segreto è concentrarsi sugli aspetti positivi del gruppo e sulla costruzione dei rapporti interni, il motto dovrà essere “cura della relazione”.

Un ottimo allenatore, rivolgendosi alla propria squadra, dice sempre qualcosa di positivo.

Le persone hanno bisogno di sapere che sei dalla loro parte, prima di accettare quello che hai da dire.

Infine, bisogna che l’allenatore sostenga l’autonomia dei propri giocatori. È importante che i giocatori si sentano sostenuti, autonomi e responsabilizzati nelle proprie scelte di campo, sempre con il supporto del proprio mister che li incoraggia, suggerisce e indica soluzioni possibili.

Insomma, il nuovo corso di Spalletti, assomiglia tanto ad un corso potenzialmente fruttuoso, nonostante le innumerevoli difficoltà che abbiamo vissuto.

Quindi pazienza.. mettiamoci passione e supportiamo la squadra!

 Gennaro Rinaldi, Psicologo Psicoterapeuta – Giusy Di Maio, Psicologa Clinica

Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoli”, https://ciucciomaglianapoli.com/ a cura di Giulio Ceraldi.

“Finisce bene quel che comincia male”

Benessere Psicologico: L’impossibilità può divenire possibilità?

Metafore psico-calcistiche e considerazioni psicologiche..

E se volessimo paragonare la nostra vita ad una partita di calcio?

#youtubeshorts #schorts

L’impossibilità può divenire possibilità – ilpensierononlineare – Youtube

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi