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La parola e l’ascolto

“La parola si soddisfa nell’ascolto dell’Altro. La mia parola è riconosciuta solo quando viene ascoltata.”

Massimo Recalcati

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“Dottore ho la sensazione che le mie parole non abbiano suono, che siano mute, trasparenti.. i miei genitori, praticamente da sempre, mi parlano addosso. Ho la sensazione che non mi ascoltino. Quando ero più piccolo facevo un sogno ricorrente: ero a casa, nella mia stanza, mi sentivo in pericolo, ero in pericolo, urlavo. I miei genitori accorrevano subito e aperta la porta della mia camera mi guardavano, fermi sull’uscio della porta. Chiedevo aiuto, spiegavo concitato la mia paura, volevo che mi aiutassero, che venissero da me. Non mi capivano, non mi ascoltavano, spegnevano la luce e chiudevano la porta. Il buio mi terrorizzava e puntualmente mi svegliavo”

Le parole prendono senso solo quando valorizzate dall’ascolto. L’ascolto presuppone la comprensione. Se ascolto e comprendo posso accogliere il senso delle parole dell’altro e posso riconoscerle. L’ascolto è anche accoglienza. L’ascolto riconosce la parola dell’altro e la valorizza ricoprendola di significato.

Quando non c’è ascolto si svalorizza il significato della parola dell’Altro. Si crea un vuoto di significato che genera ferite profonde in chi vuole essere ascoltato.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Suono come…

… L’ultimo sigaro al caffè, guardando la Torre Glòries…

… L’aria al sapore di sale arso dal sole; l’abbraccio malinconico che porta con sè i mille colori e le sfumature di un foulard di seta tra i capelli crespi…

… La birra, i saltelli improvvisi, la gente, la vita…

… La luce del sole accecante che rende tutti i colori ancora più vivi…

Ballare.

La libertà di non pensare.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Per – sistere.

Immagine Personale.

Termine composto dalla particella PER che aggiunge e conferisce l’idea di durata e SISTERE ovvero fermarsi, formato a sua volta dal raddoppiamento della radice stessa di stare: stare fermo o stare saldo.

Indica il rimanere fermo sulle proprie opinioni o risoluzioni.

Si tratta di qualcosa che resta e lo fa, in maniera più forte, intensa e viva.

Spesso ho ascoltato frasi come “conta solo quel che rimane, quello che persiste, quello che esiste”; sembriamo essere diventati tutti San Tommaso pronti a volere la prova dell’esistenza di qualcosa solo toccandola, sentendola, rendendola presenza.

Presenza vuol dire esistenza.

Persistere vuol dire esistere.

Non lo so. Nelle mie vicende personali non credo sia bastato persistere per esistere; mi è anzi capitato che proprio colui che “si è fermato, esistendo”, non necessariamente fosse statico lì ad esserci in presenza.

Perché allora per esistere qualcosa deve persistere restando ferma?

Il timore che qualcosa si muova, muti e prenda corpo senza la nostra impronta e senza la nostra esistenza spaventa.

Qualcosa che da sola prende vita con la possibilità di scomparire, spaventa.

Se l’Altro esiste ma non persiste, per me, io sono solo.

Tuttavia anche l’Altro ha bisogno di esistere indipendentemente dalla nostra stessa esistenza e talvolta è necessario comprendere che anche quando qualcosa non rimane -fisicamente con noi- può esistere indipendentemente da noi e non per questo, esserci lontana.

“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.