
N. è un ragazzo giunto in consultazione per problemi di ansia crescente – sfociata recentemente in panico- a causa dello stress accumulato per questioni universitarie.
Il ragazzo appare spaesato, perso, triste e deluso da ciò che non è riuscito a fare. Chiede a sé stesso sforzi irrealistici (del tipo terminare con largo anticipo il percorso universitario, con il massimo dei voti, non tenendo conto del fatto che lui lavori e che in famiglia ci sono seri problemi economici).
Ai problemi economici, si aggiungono problemi legati a malattie piuttosto serie che hanno colpito 2 membri del nucleo familiare: in sostanza N. porta – nonostante la sua giovane età- sulle spalle, il peso di una famiglia intera.
N. non riesce a definire degli obiettivi che siano realistici (ad esempio schematizzare il percorso universitario, dividere le sessioni d’esame e capire gli esami più semplici -che possono essere dati contemporaneamente e in maniera veloce- e separarli da quelli più complessi che richiedono diversi mesi di studio).
N. compie delle abbuffate, quando studia; il che si traduce in un caos senza senso che lo porta a rinunciare di presentarsi all’appello, il giorno dell’esame.
L’esame non dato è vissuto dal ragazzo come un fallimento incredibile, tale da fargli mettere in discussione tutto ciò che lo riguarda “Sono un ragazzo inutile; non ho senso di esistere; merito tutte le cose terribili che mi capitano; merito il tradimento della mia ragazza; sono brutto”.
Un solo evento invia pseudopodi che attecchiscono sempre più lontano, fagocitando ogni aspetto della vita del ragazzo.
Un ragazzo che – invece- mostra un cuore e una dedizione incredibile, verso l’altro; una cura che però N. non riserva anche a se stesso.
N. mi ha riportato alla mente il percorso universitario, facendomi rivivere tutte le difficoltà di un iter complesso ma scelto per “semplici” questioni di cuore e passione.
Ricordo che la triennale (a cui mi iscrissi più tardi per cause conservatorio & co..), fu un percorso poco goduto. La Specialistica -invece- per me è stata una goduria incredibile.. Ricordo che mi approcciai al biennio dicendo “ora mi devo divertire”..
E così è stato.
Il percorso era mio e lo avevo guadagnato e preso andando contro l’impossibile..
Terminai il biennio prima dei canonici due anni (in un periodo personale di una complessità e difficoltà indicibile), ma la cosa più bella fu scoprire dove potevo davvero spingermi: i limiti (che sono la nostra grande fortuna), i pregi, gli errori (altra grande fortuna).
Dall’università ho – in sostanza- capito la “possibilità di essere”.
Una possibilità che è diversa per ciascuno di noi; una possibilità che tiene conto del tempo ” personale”, delle sfide ” personali”, e della personale capacità di saper utilizzare – se capita- la sabbia asciutta, senza acqua alcuna, come materiale per edificare qualcosa.
Con N. abbiamo riscoperto una frase di Micheal Jordan, visto che il ragazzo è un grande appassionato di basket:
“Avrò segnato undici volte canestri vincenti sulla sirena, e altre diciassette volte a meno di dieci secondi alla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di 9.000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. Per 36 volte i miei compagni si sono affidati a me per il tiro decisivo.. e l’ho sbagliato. Ho fallito tante e tante volte nella mia vita. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”.
Micheal Jordan
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.