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Il Disturbo Evitante di Personalità – La storia di Fabio – PODCAST

Questa tappa del nostro viaggio ha bisogno di essere vissuta fino in fondo.
Sarà una tappa particolare, ci vedrà spettatori e ascoltatori
di una storia giovane di sofferenza. Una sofferenza particolare, spesso nascosta.. soffusa.. ovattata.. a volte incomprensibile.
Il paziente evitante desidera delle strette relazioni interpersonali ma ne è anche spaventato.
La diagnosi di disturbo evitante di personalità viene raramente posta come diagnosi principale o esclusiva.

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“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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La personalità

Il termine personalità deriva dal termine latino “persona”, che indicava la maschera dell’attore teatrale, che era caratterizzata dalla sua fissità e continuità.

La personalità si può quindi definire come una struttura fissa, portante, che ha delle caratteristiche peculiari che la rendono riconoscibile e prevedibile in qualche modo, perché coerente e costante,

La personalità può quindi definirsi come quell’insieme di caratteristiche psichiche e comportamentali, che nella loro integrazione costituiscono un nucleo centrale stabile nel corso del tempo.

Lo strutturarsi della personalità e di quelli che Gordon Allport definisce come tratti di personalità (modi di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente), coincide con lo sviluppo dell’identità e quindi della personalità di una persona.

Maschere – immagine web – google

Nello specifico definiva la personalità come “l’organizzazione dinamica di quei sistemi psicofisici e sociali che determinano il pensiero e i comportamenti caratteristici dell’individuo”. Lui considerava i tratti di personalità come innati. Essi, infatti, sono il risultato di un intreccio dinamico tra gli aspetti psicofisici e la rete sociale.

Allport inoltre riteneva che fosse impossibile individuare due personalità identiche, perché la combinazione dei tratti di personalità per ogni singola persona è unica.

I tratti di personalità, sempre secondo la teoria di Alport, possono essere suddivisi in tratti comuni e tratti personali.

I tratti comuni sono quelli che si utilizzano e che possono essere identificativi per un gruppo specifico di persone o una categoria in particolare (ad esempio gli atleti professionisti sono in genere molto competitivi).

I tratti personali sono invece quelle caratteristiche proprie di ogni singolo individuo e possono essere distinti in ulteriori tre tipologie differenti:

I tratti cardinali (sono i più forti e pervasivi e hanno l’influenza maggiore sulla personalità e sul comportamento); i tratti centrali (influenzano gran parte del comportamento e colgono l’essenza dell’individuo); i tratti secondari (molto specifici, ma difficile che si manifestano liberamente).

Sono però differenti le teorie che hanno studiato la personalità; un contributo notevole a questi studi è stato dato dalle teorie psicodinamiche, che hanno legato lo sviluppo della personalità e dell’identità alle interazioni tra istanze diverse nel corso dello sviluppo psicosessuale.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

La Sindrome dell’impostore

“Ci sono persone che non sono affatto convinte di meritare il proprio successo, nemmeno quando è palese che abbiano messo un grande impegno per arrivarci.”
Si sentono degli impostori..

ilpensierononlineare

Ci sono persone che non sono affatto convinte di meritare il proprio successo, nemmeno quando è palese che abbiano messo un grande impegno per arrivarci.

Queste persone soffrono della “sindrome dell’impostore” e vivono gran parte della loro vita con il timore di poter essere scoperti, perché si ritengono degli imbroglioni. Questo succede perché sentono che il loro successo o i risultati ottenuti nella loro vita, non sono dovuti alle loro capacità reali. Sentono invece di essere stati semplicemente fortunati a raggiungere un obiettivo, oppure solo capitati al posto giusto e nel momento giusto. Addirittura possono farsi la falsa idea che sia stato merito del demerito degli altri che abbiano così tanto successo.

Generalmente chi soffre di questa sindrome ha avuto esperienze di vita abbastanza favorevoli in passato, non hanno mai avuto grossi problemi e frustrazioni e hanno sempre avuto ottimi risultati in tutto, a partire dalle esperienze scolastiche.

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L’ombra

“Come posso avere sostanza, se non faccio ombra. Devo avere anche un lato oscuro per poter essere intero”.

Carl Jung

L’ombra secondo Jung (considerando la prima esposizione del concetto, che poi ha subito un evoluzione negli ultimi anni e nelle ultime opere di Jung) è un aspetto della personalità inconscio. La potremmo definire come quella parte di noi stessi sconosciuta alla nostra coscienza. La parte “oscura” della nostra personalità.

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L’ombra assomiglia moto a quello che Freud chiamava inconscio anche se è probabilmente un concetto più ampio e include tutto ciò che è al di fuori della “luce” della coscienza. Può includere elementi positivi e negativi, ma poiché tendiamo spesso ad ignorare o a rifiutare gli aspetti meno desiderabili di noi stessi, buona parte della nostra ombra è costituita da elementi negativi.

C’è pero anche una parte positiva dell’Ombra che può restare nascosta alla coscienza quelle persone che hanno una bassa autostima, soffrono di ansia o di false credenze.

“Ognuno porta un’ Ombra” (Jung) con se e meno è esposta alla luce della coscienza e più appare densa e nera. L’Ombra ha a che fare anche con le parti più primitive di noi stessi, quelle poi per gran parte abbandonate durante la nostra infanzia.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Il Disturbo Schizoide di Personalità

Questo disturbo della Personalità è caratterizzato principalmente da un distacco dalle relazioni sociali e da una riduzione dell’espressività emotiva. Questi pazienti vivono ai margini della società. Caratteristiche di questo disturbo sono disturbi nelle relazioni, lievi disturbi del pensiero, anedonia ed isolamento sociale. Ciò può indurre gli altri a cercare di stabilire un contatto con loro; tuttavia, gli individui che fanno tali tentativi finiscono col rinunciare dopo essere stati ripetutamente respinti.

Il mondo interno del paziente schizoide può differire considerevolmente dall’apparenza esterna dell’individuo. Egli vive una diffusione d’identità, data da una fondamentale scissione del Sé. I pazienti schizoidi non sanno con sicurezza chi sono e si sentono tormentati da pensieri, sentimenti, desideri e pulsioni fortemente conflittuali. Questa diffusione d’identità rende problematiche le relazioni interpersonali. Tali pazienti sembrano fondare la loro decisione di rimanere isolati sul convincimento che il loro fallimento nel ricevere ciò di cui avevano bisogno dalle loro madri implica che essi non possono in alcun modo tentare di ricevere altro da figure significative incontrate successivamente.

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Tutte le relazioni, quindi, sono vissute come pericolose e come tali da evitare. Poiché la decisione di non relazionarsi lascia l’individuo solo e vuoto, è spesso presente un “compromesso schizoide”, per cui il paziente si aggrappa agli altri e simultaneamente li respinge. Il caratteristico ritiro dalle relazioni interpersonali del paziente schizoide può assolvere un’importante funzione evolutiva. Secondo Winnicott, l’isolamento e il ritiro del paziente schizoide è un modo per comunicare e preservare il “vero Sé”, invece di sacrificare questa autenticità a interazioni artificiali con gli altri che porterebbero a un “falso Sé”.

I pazienti schizoidi che permettono al terapeuta di accedere ai loro mondi interni spesso riveleranno fantasie onnipotenti, che aumentano di frequenza in proporzione inversa rispetto al livello della loro stima di sé. Non avendo buone rappresentazioni interne del Sé e dell’oggetto che li possano aiutare ad avere successo nelle relazioni o nella carriera, i pazienti schizoidi si servono delle fantasie di onnipotenza per aggirare tale percorso e raggiungere direttamente le loro fantasie grandiose. I pazienti schizoidi provano spesso una grande vergogna per le loro fantasie e sono riluttanti ad ammetterle.

Restano quindi per lo più isolati anche perché appaiono indifferenti a stabilire delle relazioni strette e non paiono interessati a far parte di un gruppo di amici o di una famiglia. Preferiscono stare da soli e per questo agli altri paiono isolati e solitari.

Spesso sono anche indifferenti alle critiche o all’approvazione degli altri. Hanno difficolta persino ad esprimere la rabbia anche in risposta a provocazioni. Possono inoltre avere poco interesse alle esperienze sessuali.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Le teorie Fattoriali e la Personalità.

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L’analisi fattoriale è una procedura attraverso la quale un ampio numero di variabili osservate possono essere ridotte raggruppandole, secondo caratteristiche comuni, in fattori.

Il presupposto di base delle teorie fattoriali, di cui gli autori principali sono Cattell e Eysenck è che l’esistenza di caratteristiche stabili nella personalità degli individui permetta l’utilizzo dell’analisi fattoriale.

Cattell (1970), nello studio della personalità, utilizza tale linea teorica rivelando i tratti caratteristici della personalità. I tratti, per Cattell, rappresentano il risultato delle diverse influenze dell’ambiente o, in condizioni specifiche, rappresentano particolati condizioni psicopatologiche. I tratti, secondo Cattell possono essere distinti in:

tratti comuni: posseduti da tutti gli individui

tratti unici: propri del singolo individuo

tratti superficiali: relativi a gruppi di particolari manifestazioni

tratti originari: stanno alla base delle prime

tratti temperamentali: relativi agli aspetti formali del comportamento

tratti dinamici: relativo agli aspetti motivazionali del comportamento

tratti di abilità: relativi all’efficienza del comportamento.

L’autore, inoltre, giunge a identificare 23 tratti originari, attraverso l’analisi di tre fattori principali:

Dati L- ottenuti attraverso l’analisi dei dati dedotti dalla vita reale dei soggetti

Dati Q- autoriferiti dai soggetti attraverso questionari di autovalutazione

Dati T- ottenuti per mezzo della somministrazione di test

In seguito, dalle sue valutazioni emergeranno 16 tratti di personalità ritenuti significativi, misurabili attraverso la somministrazione del Big Five*.

Inoltre per spiegare gli aspetti dinamici della personalità Cattell introduce i concetti di:

Erg: tratto originario e dinamico con proprietà affettive e cognitive che consente di reagire a certe categorie di oggetti più che altri.

Metaerg: tratti originari dinamici, come sentimenti, atteggiamenti, interessi, nei quali è evidente l’influenza ambientale.

Sussudiarietà e reticolo dinamico: la multideterminazione del comportamento umano e i nessi tra i vari tratti dinamici in cui il raggiungimento di certi fini è strumentale per il raggiungimento di altri.

Incroci dinamici: le vicissitudini delle varie tendenze energetiche in rapporto alle possibilità offerte dal contesto.

*Questionario utilizzato in ambito organizzativo, educativo e clinico. Il Big Five propone una mediazione e unificazione dei diversi punti di vista sulla valutazione della personalità individuando 5 dimensione fondamentali. In ambito organizzativo lo strumento è utilizzato per l’individuazione di profili di personalità più idonei ai vari criteri organizzativi; lo strumento consente inoltre una comunicazione immediata tra operatore psicologo e i soggetti che richiedono una valutazione specifica nei contesti di selezione del personale. I 5 fattori di personalità contemplati sono:

Energia, Amicalità, Coscienziosità, Stabilità emotiva, Apertura mentale.

Per ognuno dei big five vi sono due sottodimensioni diverse per un totale di 10 sottodimensioni.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Persona

La personalità è “ciò che conserva memoria di se stesso, ciò che ricorda di essere stato prima come adesso, uno e solo”.

C. Wolff (XVIII sec.)

Possiamo considerare la Personalità come “la funzione psichica con la quale e grazie alla quale un individuo si considera come un Io unico e permanente”.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Personalità, Salute e Qualità di Vita.

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Il termine personalità affonda le sue radici nel latino “persona”; termine che indicava la maschera dell’attore teatrale.

La maschera del teatro ha (tra le altre) una caratteristica che è quella della fissità. Proprio il concetto di fissità è stato ripreso e fatto proprio dalla psicologia classica che ha visto nella personalità “la funzione psichica con la quale e grazie alla quale un individuo si considera come un Io unico e permanente”.

La personalità si presenta pertanto come una struttura fissa, portante, che si può caratterizzare, definire e riconoscere rivedendo nella fissità che la caratterizza un modo per prevedere un comportamento coerente e costante proprio del suo repertorio di base. Il concetto evidenzia un punto: se la personalità è qualcosa di fisso allora posso aspettarmi un certo tipo (repertorio) di comportamenti (analogamente a quanto avveniva in teatro dove una certa maschera indicava un certo repertorio comportamentale, atteggiamenti, espressioni e modo di atteggiarsi e relazionarsi, tanto che il pubblico poteva facilmente prevedere una certa risposta della maschera stessa).

La personalità può essere definita come “l’organizzazione dinamica degli aspetti affettivi, cognitivi e conativi (pulsionali e volitivi), fisiologici e morfologici dell’individuo”.

La finalità sociale dell’intervento per le professioni si aiuto (specie in ambito sanitario), è legato alla prevenzione e – soprattutto- alla valutazione delle condizioni di benessere e di salute individuale e collettiva, dove la salute è intesa non come condizione assoluta ma come equilibrio ed ottimale qualità di vita della persona e del gruppo. Lo psicologo deve pertanto (per la sua posizione professionale e sociale), essere in grado di definire la personalità nei suoi aspetti strutturali per coglierne successivamente le potenzialità e con essa la possibile qualità di vita ottimale.

E’ proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità a definire la qualità di vita come “la percezione di ciascun individuo del proprio benessere in rapporto alla propria cultura, al contesto sociale in cui vive, alle sue aspettative, alle sue preoccupazioni”.

La salute pertanto non è assenza di malattia, ma coincide nella qualità di vita con l’equilibrio e il benessere in cui si raggiunge “trasparenza”, in cui in sostanza non si avverte alcuna presenza interna o esterna che sia fonte di disagio, sofferenza o estraneità.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.