La questione della perversione si apre all’attenzione dei “tecnici”, intorno alla metà del diciannovesimo secolo; è infatti procedendo verso la fine del secolo che una nuova figura professionale cominciò a farsi strada: il sessuologo.
Procedendo poi verso la fine del ventesimo secolo la perversione si presentava come un nuovo e florido filone di ricerca, interessando sia i professionisti che il pubblico (specialmente tenendo conto il nuovo assetto sociale che si andava delineando).
I sessuologi avevano pertanto preso ad etichettare, suddividendoli in categorie tenute ben lontane da ciò che era invece considerato come normale, i vari atti sessuali considerati – invece- bizzarri o inusuali.
Due caratteristiche concernenti la perversione, non sono cambiate. Come prima cosa, la professione medica si “preoccupa” ancora, allo stato attuale, di clusterizzare i comportamenti sessuali considerati aberranti; in secondo luogo solo l’1% dei casi di perversione riguarda le donne.
E qui, arriva il bello.
Considerando le statistiche che sembrano indicare una minore diffusione della perversione, nella popolazione femminile, le reazioni sono molteplci.
Abbiamo uomini che si sentono offesi dall’esser considerati inferiori e malati, rispetto alle donne; dall’altro lato le donne si sentono moralmente superiori e più pure. Altre reazioni a questi dati, vedono la ricerca di spiegazioni nel fatto che si pensa che le donne, siano meno perverse perché sfogano (in qualche modo) i loro desideri (sublimandoli) sui bambini; altri ancora considerano gli uomini come guidati da fattori biologici (c’è il testosterone che fa tutto).
Le donna poi hanno una morfologia genitale volta all’interno, hanno gli estrogeni e vivono tutto come un dilemma morale. Altri ancora dicono che l’uomo, per portare a termine la prestazione sessuale, deve avere l’erezione e quindi è maggiormente esposto ad ansie da prestazione o senso di inadeguatezza; le donne (proprio in virtù della morfologia), possono fingere.
Tutte le spiegazioni appena date, sono errate.
Per comprendere meglio il punto, dobbiamo calarci nella strategia perversa.
Ciò che rende tale una perversione è la strategia mentale che usa uno o l’altro stereotipo sociale di virilità o femminilità (che serve per ingannare l’osservatore) sui significati inconsci del comportamento che si sta mettendo in atto.
Se infatti ci soffermassimo soltanto sul comportamento manifesto (senza indagare il lato inconscio della questione), potremmo concludere che le perversioni maschili sono solo modi per ricercare piaceri sessuali nella sfera del proibito.
L’inganno però è la parte fondamentale della perversione; aderendo a tale pensiero, rischiamo di inciampare nell’inganno stesso della questione.
Che cos’è allora una perversione?
La perversione implica un’attrazione irresistibile verso un tipo di comportamento sessuale anomalo o bizzarro. La componente essenziale di una perversione (che non è il noto sesso spinto, così come non lo è il sesso telefonico, la masturbazione o usare una frusta), è la sua qualità di fissità e disperazione.
La performance perversa è interpretata da chi non ha altre scelte; senza attuare tale performance la persona diventerebbe preda e vittima dell’ansia o del panico.
Le perversioni maschili usano alcune forme molto esplicite di sesso spinto, proprio per tener sotto controllo questi demoni che altrimenti diventerebbero devastanti.
I comportamenti sessuali in sé (più o meno spinti che siano), non sono la componente chiave delle perversioni sessuali femminili; le donne – infatti- per placare i propri demoni, usano altri tipi di comportamenti di finzione.
Per qualificarsi come perversione, parafilia nella definizione attuale, lo scopo dell’atto deve essere l’eccitamento sessuale e la performance sessuale.
Il motivo, quindi, per cui le perversioni sessuali femminili sembrano meno frequenti sta nel fatto che sono state cercate nel posto sbagliato.
Ed ecco un altro punto fondamentale: la strategia perversa esiste proprio per spostare l’attenzione da motivi, fantasie o desideri sottostanti, latenti.
La perversione è una strategia psicologica che si differenzia dalle strategie mentali perchè richiede una performance.
La strategia, quindi, opera allo stesso modo sia per gli uomini che per le donne.
Ciò che ha portato, negli anni, a una differenziazione tra perversioni maschili e femminili, sono solo gli stereotipi sociali di genere.
La strategia perversa è inconscia. L’attore/ protagonista sa solo che si sente obbligato a portare avanti e vivere l’atto perverso; se infatti la persona diviene impossibilitata a compiere tale atto, può sperimentare ansia, depressione, panico e può anche diventare violenta.
La persona non sa che la performance ha proprio lo scopo di dominare eventi che nell’infanzia erano troppo eccitanti, paurosi o umilianti, per essere dominati.
L’attore non può ricordare quegli eventi; piuttosto getta via la paura rivivendoli in forma mascherata e simbolica.
Continua.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.
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