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La Sindrome di Cotard ( o “sindrome del cadavere che cammina”)

“Suggerirei il nome “deliri nichilistici” (delirio di negazione) per descrivere la condizione dei pazienti cui faceva riferimento Griesinger, in cui la tendenza alla negazione era spinta al suo grado estremo. Se si chiedesse loro il nome o l’età, essi non avrebbero né l’uno né l’altro – sono forse mai nati?

Non erano nati. Chi era il loro padre o la loro madre? Essi non hanno né madre né padre, moglie o figli. Hanno mal di testa o dolore allo stomaco o in qualsiasi altra parte del corpo? Non hanno testa né stomaco e qualcuno addirittura non ha corpo.

Se gli si mostra un oggetto, una rosa o un altro fiore essi rispondono ” questa non è una rosa, non è per niente un fiore”.

In alcuni casi la negazione è totale. Nulla esiste più, neppure loro stessi”

Jules Cotard (1882)

Questa condizione è tipica della depressione psicotica e quelli che Cotard descrive come deliri nichilistici sono spesso bizzarri, drammatici e grandiosi. Il mondo per queste persone è come se fosse scomparso, morto, spento, privo di vitalità.

Più sono preminenti i deliri nichilistici più la forma di depressione è grave.

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La sintomatologia legata alla Sindrome di Cotard può probabilmente essere spiegata a livello neurologico, da una disconnessione tra le aree del cervello legate alle aree sensoriali e il sistema limbico (area del cervello in cui vengono elaborate le emozioni e la memoria).

L’impossibilità di provare emozioni e di “sentire” nel modo giusto le sensazioni provenienti dalle varie aree sensoriali del corpo, porta alla delirante convinzione che tutto intorno a sé è morto, privo di vita e tutto ciò che è dentro (organi, sangue e parti del corpo) inesistente. La persona affetta da Sindrome di Cotard si sente come fosse morta, si sente letteralmente marcire, svuotata di tutto e privata del resto. Un genitore, ad esempio, può addirittura pensare e riferire che suo figlio sia privo di vita, nonostante sia presente nella stanza del colloquio.

La Sindrome di Cotard è una patologia abbastanza rara ed è anche conosciuta come “Sindrome dell’uomo morto” o “Sindrome del cadavere che cammina“.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Fantasmi.. psichici

“I fantasmi sono stati creati quando il primo uomo si è svegliato nella notte”

 James Matthew Barrie

Quando in Psicologia ed in particolare in Psicoanalisi parliamo di Fantasmi si fa riferimento ad un prodotto illusorio della mente che si contrappone alla realtà-

S. Freud, in particolare, oppone al mondo interiore (inconscio) che tende a soddisfare i propri desideri per via illusoria (fantasma), un mondo esterno, che impone al soggetto il continuo confronto con il “principio di realtà”.

Il fantasma è quindi la messa in scena del “desiderio”, ma è anche luogo di operazioni difensive della psiche, che possono assumere le forme della conversione nell’opposto, del diniego e della proiezione.

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I fantasmi possono essere consci, come accade nei “sogni ad occhi aperti”, o inconsci dove il riferimento è al “nucleo originario” dei sogni, dei sintomi e dell’agire, che la cura psicoanalitica deve enucleare.

Freud era convinto che tutta la vita di una persona, comprese quelle attività apparentemente lontane dall’attività immaginativa, fosse in qualche modo sempre legata e quindi “governata” dall’attività fantasmatica inconscia.

Freud inoltre legava la vita fantasmatica di una persona ai fantasmi originari, che hanno per sfondo la vita intrauterina, la “scena primaria”, la “castrazione” e la “seduzione”. Queste, rappresentavano per Freud un patrimonio fantasmatico filogenetico fondamentale.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Le parole fanno male..

In una recente ricerca neuroscientifica è stato dimostrato che quando un bisogno o una richiesta non viene riconosciuta o ascoltata, si genera un profondo disagio sia psicologico che fisico.

Questa indagine sperimentale è stata realizzata dalla Fondazione Giancarlo Quarta Onlus di Milano. I ricercatori hanno evidenziato che le persone a cui è stato negato un bisogno, attivano nel loro cervello, le stesse aree che si attivano generalmente quando si prova un dolore fisico.

L’indagine ha potuto quindi dimostrare che quel malessere che si prova quando altre persone feriscono la nostra sensibilità con le parole, ad esempio, attiva le stesse aree cerebrali e network neuronali che si attivano quando si prova dolore fisico.

Le parole e gli atteggiamenti ostili e non supportivi, riescono a “ferire” ed infierire proprio come un dolore fisico.

Una “ferita psichica” viene quindi percepita proprio come una “ferita fisica”.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Pillole di Psicologia: Agire – Agieren – Acting Out

Agieren (Agire) è un termine utilizzato da S. Freud per indicare il tentativo del paziente a non misurarsi, per paura, con i suoi conflitti inconsci cercando soluzioni sul piano di realtà.

Il termine in tedesco è di origine latina ed è impiegato da Freud come il termine abreagieren (abreazione), in senso transitivo, e allude al fatto di “mettere in atto” (desideri, pulsioni, fantasmi).

Oggi è più comune sentir parlare di “agito”, nella sua traduzione inglese “acting out“.

Fenichel farà in seguito una formulazione più precisa di acting out e lo definisce come “un agire che inconsciamente diminuisce la tensione interna e comporta una scarica parziale degli impulsi tenuti a freno; la situazione presente, connessa in qualche modo associativo con il contenuto rimosso, viene usata come occasione per la scarica delle energie rimosse..”.

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Oggi la nozione di acting out è usata anche al di fuori della Psicoanalisi.

Infatti ci si riferisce all’acting out nello studio delle strutture caratteriali degli individui, intese come modelli abituali di reazione che si sviluppano come risultato del conflitto tra esigenze istintuali e mondo esterno frustrante.

In genere tali modelli hanno origine all’interno del sistema familiare e vengono conservati nel corso della vita, come modello tipico di reazione ad una situazione frustrante.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Conosciamoci: i legami sociali.

Gli psicologi sociali hanno dimostrato che circa il 30-40% delle conversazioni umane ha come scopo quello di condividere informazioni su di sé e condividere esperienze vissute personalmente.

Una banalità? Non è detto..

Nello specifico, nel 2010,Naaman, Boase, & Lai, hanno condotto studi sulla piattaforme Facebook e Twitter, mostrando come l’80% degli stati, quando aggiornati, mostravano un contenuto legato ad esperienze personali appena vissute.

Si tratta del fenomeno noto come self-disclosure (auto-svelamento o apertura verso gli altri); tale condivisione (tipica della nostra specie) è dovuta alla potente gratificazione personale esperita ogni volta che avviene la condivisione con l’altro. In altre parole raccontiamo volentieri qualcosa di noi perché questo, in qualche modo, ci soddisfa (Tamir & Mitchell, 2012).

In studi di neuroimaging condotti nei decenni precedenti, era stata dimostrata l’attivazione dei circuiti cerebrali connessi a questo senso di gratificazione.

Tamir e Mitchell, del dipartimento di psicologia di Harvard, hanno portato avanti studi combinando tecniche di neuroimaging e metodi comportamentali, al fine di testare l’ipotesi che le stesse aree cerebrali componenti il circuito della gratificazione fossero coinvolte anche nel processo di self-disclosure.

Tramite risonanza magnetica funzionale (fMRI) è stata analizzata l’attività cerebrale dei partecipanti; lo studio è stato diviso in due fasi. In una prima fase è stato chiesto ai soggetti di rivelare le proprie opinioni e i propri pensieri agli altri, mentre nella seconda fase è stato chiesto ai soggetti di speculare su ipotetiche opinioni o pensieri di un’altra persona. Senza scendere troppo nei dettagli neurocognitivi dello studio, il risultato più interessante concerne il fatto che il solo pensare introspettivamente a se stessi, era sufficiente a far provare ai soggetti un senso di gratificazione così forte da attivare il sistema mesolimbico dopaminergico (dopamina). Ciò però che potenziava questa attivazione, era il condividere con gli altri i propri pensieri e le proprie esperienze.

La condivisione rafforza i legami sociali (Dindia,2000; Collins & Miller, 1994), accresce le nostre conoscenze sul mondo ed elicita il feedback degli altri, permettendo alla persona chiamata in causa di vedere o conoscere meglio anche altre parti di se stesso che magari, senza quella condivisione, sarebbero rimaste coperte.

(E la condivisione è così forte e potente che se ogni promessa è debito, come dice l’antico detto, personalmente ho un debito che sa di promessa. Sia mai che “girasole” trovi la sua luce; nel frattempo scopro qualcosa di me attraverso le parole prestate. Grazie).

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Il vissuto che lascia un segno..

“L’uomo sano non tortura gli altri, in genere è chi è stato torturato che diventa torturatore”

Carl Jung

La nostra storia personale, il nostro vissuto, può segnarci profondamente e indelebilmente tanto da condizionare aspetti del nostro comportamento futuro.

Può quindi accadere che chi è stato torturato può esso stesso diventare un torturatore.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Misofonia – Il rumore che fa impazzire

La misofonia (odio per i rumori) è una insopportabile intolleranza nei confronti di determinati rumori, spesso legati a persone vicine. Il termine fu impiegato per la prima volta nel 2000 da Pawel e Margaret Jasrteboff, neuroscienziati del Dipartimento di Otorinolaringoiatria della Emory University, negli Stati Uniti.

In particolare la misofonia descrive un avversione verso alcuni rumori, che può comportare anche un vero e proprio stress psicologico e l’utilizzo di strategie di prevenire o evitare questi rumori, associati a situazioni particolari o a persone.

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Questi rumori, per le persone misofone, sono così tanto insopportabili che possono provocare una reazione di avversione immediata, che associa stress, fastidio, disgusto, cui si aggiunge collera progressiva, fino a giungere anche ad un eccesso di violenza.

In genere, l’eccesso di violenza viene “disinnescato” nel momento stesso in cui il rumore cessa.

Questo odio per i rumori, a chi ne soffre in maniera acuta, può letteralmente rovinare la quotidianità. Perché chi ne soffre può letteralmente perdere il controllo delle proprie emozioni, fino a cedere a reazioni eccessive ed insolite. Quindi chi ne soffre ha paura di perdere il controllo e abbandonarsi a reazioni esagerate.

La misofonia non figura ancora nel DSM, al momento e non è collegata direttamente a disfunzioni dell’udito (iperacusia, acufeni..). Alcuni studi e misurazioni ottenute tramite risonanza magnetica funzionale hanno però rivelato un’iperattivazione (in persone misofone sottoposte alla visione di video con rumori “fastidiosi”) nella corteccia uditiva e nell’amigdala.

Infine, si è osservata anche una probabile correlazione e un legame della misofonia con vissuti traumatici.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

“Le bugie sono una facile sovrastruttura”. Noia.

La noia indica una condizione psicologica caratterizzata da insoddisfazione, demotivazione, riluttanza all’azione e sentimento di vuoto.

Nelle trattazioni medioevali veniva indicata con il termine acedia; è stata largamente studiata in ambito filosofico e psicopatologico seguendo la tradizione che da B. Pascal porta ai moralisti francesi per i quali la noia è la risultante dell’alterazione degli umori in presenza di deprecabili condizioni morali tipiche di chi, avendo abusato del piacere, si trova nell’impossibilità di desiderare.

Da questo sfondo sono nate considerazioni tipiche del campo filosofico, psichiatrico e psicoanalitico.

Ad esempio, facendo capo al campo psicoanalitico, per O. Fenichel la noia è un conflitto tra il bisogno di attività e l’inibizione della stessa a causa di un contrasto tra Es e Io che non trova soluzione, ecco che la “tensione della pulsione è presente, ma lo scopo della pulsione è perduto”; ne consegue che “il dispiacere della noia non corrisponde a una mancanza di tensione, ma piuttosto a un eccitamento il cui scopo è inconscio” (1945).

Per Fenichel quindi il senso di essere annoiato (almeno nella sua esagerazione nevrotica) è probabilmente uno stato di eccitazione il cui scopo è represso e qualsiasi cosa la persona pensa di poter fare è percepita, dalla persona stessa, come inadeguata a rilassare la tensione intima.

Coloro che sono annoiati provano a distrarsi ma non ci riescono perché sono concentrati (fissati) sul loro scopo inconscio.

“Finisce bene quel che comincia male”

(La verità, sempre).

Dott.ssa Giusy Di Maio