Con questa tappa torneremo a viaggiare attraverso i canali della comunicazione umana. Continueremo quindi a percorrere la strada già intrapresa con l’episodio di qualche giorno fa “Psicologia. L’importanza della comunicazione. (P. Watzlawick I assioma)”. Parleremo, infatti, del secondo assioma della comunicazione umana di Watzlawick. Buon Ascolto..
Psicologia. Comunicare e metacomunicare – (P. Watzlawick – II Assioma) – PODCAST – In viaggio con la Psicologia
“Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi meta-comunicazione”
Paul Watzlawick
Psicologia. Comunicare e metacomunicare – (P. Watzlawick – II Assioma) – PODCAST – Spotify
Il termine comunicare anticamente significava “mettere in comune”. Poi nel corso del tempo il significato si è evoluto in: far conoscere, far sapere, divulgare, diffondere, rendere partecipe di un sentimento.
Si può comunicare a parole (comunicazione verbale) o con i gesti, attraverso le nostre espressioni del viso e la postura del corpo (comunicazione non verbale). Possiamo persino comunicare stando semplicemente in silenzio. Insomma.. come direbbe Paul Watzlawick: “Non si può non comunicare“. Buon Ascolto.
Psicologia. L’importanza della Comunicazione (P. Watzlawick – I Assioma) – PODCAST – In viaggio con la Psicologia
Psicologia. L’importanza della Comunicazione (P. Watzlawick – I Assioma) – PODCAST – Spotify
“La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti”
Paul Watzlawick
Questa citata sopra è il terzo assioma della comunicazione umana, definito da Watzlawick nella sua “Pragmatica della comunicazione umana”.
In genere, per punteggiatura potremmo definire l’insieme dei segni che definiscono i rapporti sintattici tra le parti di un testo e servono a suggerire, a chi legge, eventuali pause e intonazioni della voce nella lettura.
Watzlawick fa riferimento ovviamente alla comunicazione umana.
Può esserci una discrepanza di punteggiatura e quindi questo può generare un dubbio su ciò che il comunicante debba considerare come causa e ciò che deve considerare come effetto.
Immagine internet – Pinterest
Ad esempio, in una relazione interpersonale, può capitare che un’interlocutore crede di star solo reagendo a certi comportamenti o atteggiamenti dell’altro, ma non pensa possa essere stato lui a provocarli. In tal caso, il rischio è che si instaurino circoli viziosi che è difficile infrangere, a meno che i due interlocutori non comincino a comunicare sulla comunicazione e cioè a meta-comunicare.
Un esempio di punteggiatura del discorso è possibile farla anche con quelli che con hanno bisogno di interlocutori. I “discorsi interiori”.
Ad esempio nel caso del fenomeno della “profezia che si autoadempie o autodetermina”, la persona pensa di star reagendo a situazioni tangibili e realistiche ( “non penso di essere competente” – “inutile, sono fatto così” ) e non immagina che agendo in un determinato modo può far si che avvengano.
Praticamente la persona non si percepisce come un soggetto attivo, spesso lo esclude; bensì crede di essere un soggetto che subisce solo l’azione degli altri, esterna. Questo è l’esempio di una punteggiatura, legata ad un “discorso interno” e va a toccare quella che è la percezione di sé e le capacità legate all’autodescrizione.
La comunicazionesi può definire come uno scambio di informazioni e significati tra due o più individui, che hanno intenzionalità reciproca nel condividere e costruire un’informazione attraverso dei sistemi simbolici convenzionali di riferimento.
La comunicazione, quindi, nasce dall’interazione e produce significati; è un’attività sociale che caratterizza ogni essere umano e contribuisce a formare e consolidare il nostro senso di identità.
Un primo approccio “matematico” alla comunicazione, quello di Shannon e Weaver (rappresentato nella figura sotto), intendeva la comunicazione come un processo lineare, in cui non è tanto rilevante il contenuto del messaggio, che passa decisamente in secondo piano.
Nello schema di Shannon e Weaver è possibile osservare che un segnale (messaggio) passa dal mittente, attraverso un trasmettitore, al destinatario, attraverso un recettore, lungo un canale fisico (supporto materiale). Il messaggio, in sostanza, deve essere codificato da chi lo emette e decodificato da chi lo riceve.
Modello Comunicazione di Shannon – Weaver – (fonte google)
Il contesto, in cui avviene la comunicazione, in questo modello, gioca un ruolo poco importante. Sono previsti, però, dei “rumori” (fattori di disturbo) lungo il canale, che possono disturbare la trasmissione corretta del messaggio.
Inoltre, bisogna che ci sia un feedback (segnale di ritorno) per segnalare che il messaggio è arrivato a destinazione.
Il difetto di questo modello è che riduce di tanto la complessità della comunicazione umana. Si danno per scontato quelli che sono i processi di interpretazione, l’ambiente, la cultura, il contesto comunicativo e gli eventuali problemi psicologici, di chi comunica.
Non molto tempo dopo, l’approccio relazionale di PaulWatzlawick (1971) descriverà la comunicazione come un processo di interazione tra due o più persone. La vera svolta però sarà il primo assioma della sua “pragmatica della comunicazione“.
Egli ritiene infatti che non si può non comunicare; in una interazione è impossibile non comunicare nulla. Quindi per comunicare non c’è bisogno dell’intenzione. L’interazione è un sistema aperto che consente la possibilità di perturbazioni della comunicazione.
La comunicazione si basa secondo Watzlawick, su cinque assiomi che descrivono proprietà semplici della comunicazione; tali proprietà hanno fondamentali implicazioni interpersonali.
Non si può non comunicare.
Ogni comunicazione ha due livelli: uno di contenuto e uno di relazione, quest’ultimo ha valore metacomunicativo, perché classifica e contestualizza il primo.
La natura della relazione dipende dalle punteggiature delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.
Gli esseri umani comunicano sia in modalità numerica (digitale) sia in modo analogico (verbale e non-verbale).
Gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari.
Per approfondire, ecco due articoli sul primo e secondo assioma della comunicazione.
“Se fosse realizzabile, non ci sarebbe pena più diabolica di quella di concedere a un individuo la libertà assoluta dei suoi atti in una società in cui nessuno si accorga mai di lui”
William James
Parliamo di disconferma, un fenomeno che avviene nella comunicazione patologica. Watzlawick in “Pragmatica della comunicazione umana” utilizza questa frase di William James per introdurre e presentare probabilmente uno dei fenomeni più importanti nella comunicazione patologica umana.
La situazione descritta da James, secondo Watzlawick, potrebbe senza dubbio portare alla perdita del Sé, essendo un esperienza alienante per la persona che la vive.
Nella disconferma avviene qualcosa che va al di là del mero rifiuto di una comunicazione o di una definizione data da una persona (emittente). La disconferma nega la realtà della persona (emittente). Il rifiuto si limita a prendere il messaggio della persona che lo emette e gli dice “hai torto, non è come dici“. La disconferma, invece, reca il messaggio, “tu non esisti“.
“Si compie l’atto conclusivo di questo processo […] quando – trascurando completamente come il soggetto agisce, cosa prova, che senso dà alla sua situazione – si denudano di ogni valore i suoi sentimenti, si spogliano i suoi atti delle motivazioni, intenzioni e conseguenze, si sottrae alla situazione il significato che ha per lui – e così egli è totalmente mistificato e alienato. ”
Non possiamo non comunicare. Quando ci relazioniamo con qualcuno tutto di noi ci offre indicazioni più o meno precise su cosa vorremmo dire o fare.. del resto impariamo a comunicare già da prima di nascere. Buona lettura!
Mi è capitato ieri durante un paio di sedute di terapia e poi ancora stamattina nel mio studio con un’altra paziente, (seppur in maniera diversa) una coincidenza strana. In qualche modo il focus delle terapie, in queste tre sedute, si è incentrato in maniera consistente sugli aspetti comunicativi delle relazioni interpersonali e familiari. Questo intreccio di coincidenze relazionali mi ha sorpreso e mi ha spinto a coinvolgere anche voi in questo fondamentale aspetto della nostra quotidianità.
Il termine comunicare anticamente significava mettere in comune. Poi nel corso del tempo il significato si è evoluto in: far conoscere, far sapere, divulgare, diffondere, rendere partecipe di un sentimento; ( comunicare la propria tensione ). Si può comunicare a parole (verbale) con i gesti oppure attraverso le nostre espressioni del viso e la postura del corpo (non verbale). Possiamo persino comunicare stando semplicemente in silenzio.
“Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi meta-comunicazione”
Paul Watzlawick
Questo è il secondo assioma della comunicazione di Paul Watzlawick (“Pragmatica della comunicazione umana“).
Il primo assioma postulato da Watzlawick recità così: “Non si può non comunicare” (ne parlai, tra gli altri, in questo post un po’ di tempo faComunico ergo sum | ilpensierononlineare).
Immagine google
Cosa voleva dire Watlawick con il secondo assioma? In effetti questo enunciato sintetizza in maniera estremamente efficace due caratteristiche essenziali della comunicazione umana. In ogni comunicazione esiste un aspetto che riguarda il contenuto (la notizia contenuta nel messaggio espresso) e un aspetto di “comando” che riguarda essenzialmente il tipo di messaggio che viene espresso (definisce la relazione tra i comunicanti, una “cornice relazionale”).
Watzlawick sostiene che in genere le relazioni sono definite consapevolmente, per quello che sono, solo raramente. Sembra infatti che una relazione più è spontanea e “sana” tanto più l’aspetto relazionale della comunicazione tende a stare sullo sfondo. Nelle “relazione malate” invece l’aspetto “relazionale” prende il sopravvento, perché c’è una continua lotta, tra i comunicanti, per definirlo, ma l’aspetto di “contenuto” passerà in secondo piano e diventerà sempre meno importante.
In tutte le comunicazioni c’è quindi un rapporto molto stretto tra l’aspetto di contenuto (notizia) e quello di relazione (comando). “Il primo (contenuto) trasmette i dati della comunicazione, il secondo il modo in cui si deve assumere tale comunicazione (ad es: Questo è un ordine! – Sto solo scherzando, tranquillo.. questi sono esempi verbali di comunicazione sulla comunicazione) . Le informazioni sulla natura della relazione definiscono e caratterizzano il contenuto del messaggio, sono quindi di un tipo logico più elevato: sono quindi Meta-informazione (Meta-comunicazione – sono informazioni sull’informazione).
Anche il contesto fisico, in cui ha luogo la comunicazione, può definire il livello di “relazione”; sarà diversa una conversazione fatta con degli amici al bar, da quella fatta in famiglia oppure a lavoro. Ovviamente una comunicazione in cui c’è confusione tra il livello di contenuto e di relazione ci possono essere dei problemi e confusione.
Watzlawick infine sottolinea il fatto che la capacità di Metacomunicare nella maniera giusta è la conditio sine qua non della comunicazione efficace ed è strettamente collegata con la capacità della persona di aver consapevolezza di sé e degli altri.
Mi è capitato ieri durante un paio di sedute di terapia e poi ancora stamattina nel mio studio con un’altra paziente, (seppur in maniera diversa) una coincidenza strana. In qualche modo il focus delle terapie, in queste tre sedute, si è incentrato in maniera consistente sugli aspetti comunicativi delle relazioni interpersonali e familiari. Questo intreccio di coincidenze relazionali mi ha sorpreso e mi ha spinto a coinvolgere anche voi in questo fondamentale aspetto della nostra quotidianità.
Il termine comunicare anticamente significava mettere in comune. Poi nel corso del tempo il significato si è evoluto in: far conoscere, far sapere, divulgare, diffondere, rendere partecipe di un sentimento; ( comunicare la propria tensione ). Si può comunicare a parole (verbale) con i gesti oppure attraverso le nostre espressioni del viso e la postura del corpo (non verbale). Possiamo persino comunicare stando semplicemente in silenzio.
Le radici – Immagine personale
In tutti i diversi sistemi relazionali in cui le persone vivono e interagiscono c’è comunicazione. Attraverso la comunicazione e le relazioni le persone nei diversi contesti co-costruiscono ciò che sono.
“Non si può non comunicare”
Watzlawick, Beavin e Jackson (1967)
Questa affermazione implicherebbe il fatto che se siamo coinvolti in una interazione è impossibile sottrarci dal comunicare qualcosa. Ciò implica che bisognerebbe essere più consapevoli di come ci interfacciamo e interagiamo con gli altri e come queste persone con cui comunichiamo rispondono a tali segnali, al significato relazionale di questo processo e alla posizione che occupiamo all’interno della relazione.
Ma le prime esperienze comunicative partono da molto lontano, hanno inizio con le relazioni sociali primarie (i genitori o altre figure significative).
Le nostre prime comunicazioni (genitore-figlio) hanno inizio prima della nascita. E’ quello che potremmo definire dialogo intrauterino madre-figlio. Al 5° mese di gestazione “il feto risponde a stimolazioni pressorie e di temperatura di oggetti posti sulla parete addominale” (Di Sano, Esposito,2001);
Quella tra madre e figlio è una comunicazione costante, infatti il feto “lancia” messaggi alla mamma e lei risponde socializzando e interpretando anche con fantasie sull’evento.
Questa modalità comunicativa e il comportamento che ne consegue inseriscono il feto a pieno titolo nella vita di relazione prendendo parte al dialogo familiare.
Le prime relazioni di attaccamento e i rispettivi stili comunicativi con le figure significative daranno un impronta forte e contribuiranno a formare modelli relazionali della nostra futura vita di relazione e che quindi influenzeranno, nel bene o nel male, i nostro modo di interagire e comunicare con gli altri. Questi modelli vengono chiamati “Modelli Operativi Interni” e sono definiti come “la rappresentazione interna che un individuo ha di se stesso, delle proprie figure di attaccamento e del mondo, nonché delle relazioni che legano tali rappresentazioni tra loro” (Loriedo e Picardi, 2000).