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Amore (?).

Così un altro anno è passato e un anno dopo, ancora, mi ritrovo come psicologa clinica -donna- a dover (ri)scrivere della violenza su/contro le donne.

L’argomento è complesso perché parte da un percentuale infinitesimale di banalità (il lettore capirà -mi auguro- leggendo) e da un forte pregiudizio padre/figlio/fratello di una cultura che si fa qui personale, nel senso di legata strettamente alla persona.

Quest’anno vorrei fare una riflessione un po’ più aperta e di pancia; lo scorso anno mi ero dedicata alle spiegazioni più tecniche (tipo i fattori di rischio che possono aumentare la possibilità di commettere uxoricidio), ma al momento mi preme fare un discorso più “vicino”; meno statistico.

“Loro non lo sanno”, è un periodo (non giorni, non settimane) ma un periodo lunghissimo, che parlando con alcuni colleghi ripeto sempre questa frase “loro non lo sanno”. Facendo colloqui clinici, incontrando le persone, facendo progetti (quindi non disquisendo sull’umanità senza frequentarla, parlarci o conoscerne almeno vagamente i sottesi meccanismi psichici), mi sono resa conto che la stragrande maggioranza delle cose che paiono ovvie, loro non le sanno.

Parliamo tanto, nel caso della violenza sulle donne, dell’importanza delle radici culturali di certi comportamenti poi incorriamo in bias allucinanti. Ne vuoi uno su tutti? Al sud il maschio padrone uccide più del libero nord.. Peccato che statistiche alla mano si uccida maggiormente nelle regioni del nord.

Si parla di donne e violenza sulle donne, vero, ma in una maniera completamente errata. La tv che tanto ci ha riempito di immagini si scarpette rosse (col tacco, mi raccomando.. altrimenti che donna sei.. al massimo puoi essere femmina).. conferisce un’aura quasi di fiaba a quella che non solo è un’emergenza seria, ma una psicopatologia a tutti gli effetti.

L’Amore non uccide. L’amore non lega. L’amore non soffre, spezza, blocca. L’amore non toglie il respiro, non crea ansia, disagio panico o stress. L’amore non è proprietà, né possesso; l’amore non è gelosia che circonda impedendo ogni possibilità di attracco a navi straniere. L’amore non colpisce, non ferisce.

L’amore non è uno stravaso di sangue: un livido.

L’amore è mare in tempesta, sì, ma che rincoglionisce di piacere, di speranza e di desiderio; crea immagini nella mente e accompagna, cullando e accogliendo l’altro in sé e sé nell’altro aprendo ad una specularità in cui ognuno riflette e si riflette permettendo anche all’esistenza altra (il mondo circostante) di riflettersi.

Il sangue pulsa e scoppia, sì.. ma non in conseguenza di un colpo magari mortale, ma a causa di una certa passione.

Cercare di romanzare quella che è una patologia psichica strettamente legata a problemi di attaccamento, all’esser cresciuto in ambienti emotivamente deprivanti (e così via) sta portando all’effetto contrario: molti si sono stancati di sentir parlare di femminicidi.

Ho spesso letto, in giro, oppure parlando con persone del fatto “eh..ma ora sono tutti femminicidi? tanto se le cercano le cose, le donne”.

Ovviamente… una donna che accetta una relazione con un uomo abusante (vorrei ricordare che nessuno diventa un mostro dalla sera alla mattina e che non voler vedere certi comportamenti, non giustifica il non essersi accorte di nulla) ha -per forza di cose- parimenti problemi (di attaccamento, di insicurezza, di dipendenza) e così via.

Allora che si fa?

Si fa che si portano avanti percorsi volti al supporto e al benessere psicologico della popolazione. Si fa che si fa comprendere ai giovani piccoli, piccolissimi, che qua né l’uomo né la donna è superiore e che la proprietà non esiste.

Si fa che si insegna il rispetto, sì, ma prima di e per sé stessi.

Si fa che io sono donna, libera professionista, e non voglio essere agevolata o aiutata perché donna né voglio essere sminuita perché donna.

Si fa che un uomo, per accarezzare il mio corpo deve accarezzare la mia mente e in nessun caso abuserà del mio corpo e quindi della mia mente.

Si fa che io ho imparato a volermi bene e che se anche tu, donna, ti vuoi bene, anche chi ti sta vicino ti vuole bene e ti rispetta.

Scarpe rosse (col tacco) o meno.

https://wordpress.com/posts/ilpensierononlineare.com?s=amore+cosa%3F

#Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2021

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Pillole di Vittimologia: Chiamarlo amore non si può.

In questi giorni mi è capitato di mettere in ordine il materiale utilizzato durante la conduzione/osservazione di alcuni progetti.

“Chiamarlo amore non si può” è stato un progetto attivato sul territorio di competenza dell’ASL in cui, all’epoca, mi trovavo.

Il progetto era indirizzato alle scuole primarie coinvolgendo tutto il personale scolastico, i genitori e i bambini, attuando un lavoro su due fronti: con i genitori e il personale scolastico il lavoro prevedeva una metodologia attiva fatta di lezioni frontali, focus group e discussioni mentre con i bambini, il lavoro prevedeva l’uso di modalità attive/interattive procedendo con l’uso di giochi, favole, e così via.

Il punto centrale del post non è la descrizione del progetto (se non un suo accenno), quanto porre in evidenza una delle cose che mi colpì: la giovane età a cui il progetto, era destinato.

La violenza sulle donne e sui bambini vittima di violenza assistita, è una questione di diritti umani universali, negati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dal 1995 pone in evidenza come tale questione non sia da sottovalutare e che vada posta attenzione – mondiale- a uno dei fattori eziologici e di rischio più importanti per tutta una serie di patologie che interessano la popolazione femminile: la violenza.

La Convenzione di Istanbul, 2011, si propone di prevenire la violenza riconoscendo la violenza sulle donne come una forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione; la Convenzione -inoltre- si preoccupa di proteggere i bambini testimoni di violenza domestica e (tra le altre cose) richiede la penalizzazione delle mutilazioni genitali femminili.

Guardo all’attualità.. all’impossibilità di veder riconosciuti tanti diritti realmente basilari per l’essere umano e capisco che c’è davvero tanto.. ma tanto da fare!

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Amore… Cosa?

Immagine Personale.

Dal punto di vista prettamente descrittivo e/o statistico, vi sono tutta una serie di fattori e caratteristiche del reo, che aumentano o sono indicative della possibilità di incorrere in reato.

Tra i fattori di rischio la cui presenza aumenta la possibilità di commettere uxoricidio, abbiamo: fatti o eventi accaduti nella vita del soggetto; tratti di personalità e circostanze in cui è avvenuto il fatto.

I fattori di rischio possono incidere in duplice modo ovvero: direttamente (incidendo sui pensieri omicidi e sulla possibilità di commetterli) e indirettamente (attraverso una diminuita capacità cognitiva e/o decisionale che porta l’autore a non riuscire ad inibire il pensiero distruttivo ed evitare di fare, invece, del male alla vittima).

Socialmente svantaggiato: gli uxoricidi analogamente ai maltrattanti e agli uomini che commettono altra tipologia di omicidi, sono spesso socialmente svantaggiati oppure hanno problemi economici o sono disoccupati.

Vittime di abuso infantile: l’omicida, similmente al maltrattante, può da piccolo aver subito o aver assistito ad abuso all’interno del contesto familiare di provenienza. Ciò che accade è una trasmissione transgenerazionale; una sorta di cultura della violenza che viene usata come unico mezzo “relazionale” all’interno della famiglia stessa.

Precedenti comportamenti violenti all’interno della relazione: é molto raro che vi siano casi di uxoricidio che non siano stati preceduti da minacce, aggressioni fisiche e/o sessuali. Questi uomini hanno alle spalle un bagaglio di relazioni fallite, andate male che avevano un alto tasso di conflittualità. Si tratta inoltre di soggetti che hanno forti idee preconcette e rigide circa i rapporti uomo-donna e i rispettivi ruoli da mantenere.

Proprietà: Quando all’interno di una relazione subentra tale parola “tu sei mia proprietà”, si sta facendo uso di gelosia, possessività e controllo esclusivo di una donna che non è più vista come tale, ma come possesso esclusivo. Sia i maltrattanti che gli uxoricidi, potrebbero attuare questo “diritto sul possesso” vietando ad esempio alla donna, di andare in palestra, di andare dal parrucchiere o anche di fare la spesa da sola.

Possesso di armi: detenere in casa un’arma aumenta la possibilità che l’assassino le usi durante le aggressioni. Merzagora-Betsos, Pleuteri (2005) hanno evidenziato che nei casi di omicidio-suicidio, quando sono gli uomini ad uccidere le donne, l’uso dell’arma da fuoco rappresenta oltre la metà dei modi utilizzati per commettere il crimine, inoltre nel 65% dei casi è anche il modo usato per commettere il suicidio.

Precedenti penali: gli autori di uxoricidio hanno precedenti penali che di solito riguardano violenza domestica o anche altri crimini come consumo o spaccio di sostanze stupefacenti. Un dato tuttavia legato all’Italia concerne il fatto che circa il 30% degli uxoricidi, non ha precedenti penali a carico o passati; tuttavia alcuni uxoricidi potrebbero essere stati maltrattati o essere stati già maltrattanti senza che vi siano denunce pregresse.

Disturbi di salute mentale, disturbi di personalità: gli uxoricidi sono spesso affetti da disturbi mentali o di personalità. Dalle ricerche condotte emerge che gli uomini che uccidono la propria partner, erano affetti da disturbo border di personalità, personalità passivo aggressiva o depressione maggiore.

Abuso di sostanze: le ricerche mostrano che nel 50% dei casi gli uxoricidi hanno problemi legati all’abuso di alcool, mentre nel 15% dei casi un passato da abuso di sostanze. Altro dato mostra come nel 20 e 50% dei casi, l’autore del crimine fosse sotto l’influenza di alcool nel momento in cui ha commesso il crimine.

Come abbiamo avuto modo di vedere insieme, andando a conoscere le caratteristiche del reo (che è bene ricordare si compenetrano alle caratteristiche presenti, dall’altro lato, nella vittima) difficilmente un uomo arriva ad essere maltrattante e/o violento senza che vi siano delle avvisaglie o caratteristiche pregresse. Dobbiamo pertanto provare a smettere di avere un atteggiamento compiacente e tollerante dinanzi a comportamenti che con l’amore non hanno nulla in comune.

Un uomo aggressivo non è innamorato: è “malato”.

Un uomo geloso e controllante non è innamorato: è “malato”.

Una donna compiacente non è innamorata: è “malata”.

Una donna che accetta la gelosia morbosa e un uomo altamente controllante, non innamorata: è “malata”.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.