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Educazione sessuale.

Gravidanze Indesiderate e Infezioni Sessualmente Trasmesse.

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Gli adolescenti fanno sesso, accettare che giovani e giovanissimi hanno rapporti sessuali, apre alla questione -spesso- per gli adulti più spinosa, della contraccezione per la prevenzione di gravidanze indesiderate e delle infezioni sessualmente trasmesse.

Per comprendere la questione della contraccezione è utile riportare il modello concettuale five-step process proposto da Byrne (1983) secondo cui l’uso efficace dei contraccettivi sarebbe un comportamento complesso che comprende diverse fasi:

  1. acquisire, elaborare e conservare nella memoria informazioni precise circa il concepimento e le modalità per prevenirlo;
  2. essere consapevoli che avere rapporti sessuali è una possibilità reale;
  3. riuscire ad avere la disponibilità del contraccettivo adeguato;
  4. essere capace di comunicare col partner sia a proposito dell’opportunità che della modalità contraccettiva;
  5. saper utilizzare correttamente il contraccettivo scelto.

Ciascuna di queste fasi prevede l’integrazione di processi cognitivi e affettivi che fanno riferimento sia al contesto socio culturale che al senso di sicurezza.

Gli studi e l’esperienza clinica ci confermano che, accanto ad una buona conoscenza dei rischi insiti nell’attività sessuale, si riscontra spesso una forte resistenza nell’attuare comportamenti sessuali sicuri. In particolare, la sottostima del rischio nei giovani per quanto riguarda la possibilità di contrarre Infezioni o restare incinta, è espressione del sentimento di onnipotenza degli adolescenti, della loro tendenza ad associare la malattia e la gravidanza indesiderata a persone “devianti” e socialmente distanti da sé :

“solo le prostitute o quelli facili, prendono malattie facendo sesso/ No Dottorè.. io mica sono scemo/a, sto sempre attento/a!”

ma anche del loro bisogno di ridurre o addirittura di negare l’ansia associata a questa sfera, così già tanto complessa da gestire.

L’acquisizione della maturità e competenza psicosessuale comporta la capacità di pensare e comprendere il legame esistente tra attività sessuale, procreazione e salute fisica che passa anche attraverso la capacità di “pianificare” quest’ultima. Tuttavia molti adolescenti cominciano ad avere rapporti sessuali prima di aver sviluppato tali competenze e spesso le motivazioni apportate per giustificare le resistenze all’uso dei contraccettivi appartengono proprio alle ansie tipiche di questa delicata fase di vita. Si tratta di timori che vanno assolutamente considerati e contenuti poiché, per la maggior parte dei casi, inerenti l’immagine corporea e la socialità.

Alcuni giovani sono infastiditi dall’idea che la contraccezione possa togliere la spontaneità al rapporto, con particolare riferimento ai metodi quali il profilattico e il diaframma. Le ragazze, nello specifico, temono che la pillola possa interferire con i processi naturali del corpo e portare a spiacevoli controindicazioni fisiche (queste due preoccupazioni appena citate, sembrano travalicare il susseguirsi degli anni presentandosi sempre, nonostante il tempo che passa, come le preoccupazioni maggiormente presentate all’interno dei contesti scolastici).

Altri hanno difficoltà ad accettare la programmazione del rapporto sessuale, soprattutto in concomitanza con le prime esperienze sessuali, dove l’alto contenuto emotivo rende difficile la contemporanea attenzione alla contraccezione.

Per alcuni diventa anche un problema di ordine interpersonale: molti adolescenti sono riluttanti a far conoscere al partner la propria disponibilità al rapporto sessuale: “se porto con me un preservativo, il ragazzo o la ragazza, pensa che io sia uno o una facile! Non posso permettere che questo accada! Io non sono una poco di buono/ io non sono un pervertito!”

predisponendo in anticipo un’adeguata protezione contraccettiva. Resistenze più profonde hanno a che fare, a volte, con una forte ambivalenza nei confronti della gravidanza: infatti alcune adolescenti sono spesso spinte verso la maternità per un inconscio desiderio di confermare la propria femminilità dimostrando che il loro corpo funziona ed è fertile.

L’illusione di invulnerabilità può venire incoraggiata dal fatto che, pur adottando comportamenti a rischio, i giovani non riscontrano immediate conseguenze negative e per questa ragione sono portati a negare la natura rischiosa del loro comportamento.

Diventa centrale, dunque, promuovere una capacità di negoziazione relazionale che si traduce nell’abilità di esprimere e far rispettare con coerenza le proprie scelte e preferenze sessuali, ponendo le basi per un rapporto che si articola su un piano di rispetto reciproco e di accettazione delle diverse scelte di vita.

L’Italia è ancora una volta fanalino di coda; se in alcuni paesi Europei l’educazione sessuale è materia curricolare, in tanti altri paesi è normale che vi sia un team di esperti (psicoterapeuta e ginecologo), pronti a contenere dubbi e incertezze dei bambini e adolescenti (è possibile fare progetti di educazione sessuale a partire dalla scuola primaria).

Contrariamente a quanto la maggior parte dei benpensanti immagini, inserire l’educazione sessuale a scuola non vuol dire spingere i nostri bambini o adolescenti verso comportamenti a rischio o verso ipotetiche perversioni; la validità (studi alla mano) di questi progetti è proprio l’inverso di quello che insegnanti e genitori ci portano, nella maggior parte dei casi, come problema: parlare di sesso non invoglia necessariamente a fare più sesso.

Parlare di sessualità (la sessuologia è molto lontana da quanto il pensiero comune, complice le piattaforme social, ha portato a pensare), apre ad un maggior dialogo con se stesso e l’altro. I ragazzi comprendono come sono “fatti e funzionano”, citando una ragazza che finalmente comprese l’ovulazione; li aiuta a comprendere cosa sia “una relazione sana e non abusante”, citando un ragazzo. I bambini possono comprendere che “M/F” sono due letterine che non identificano necessariamente ciò che senti di essere.

E così via.

La società non è un organismo statico e i nostri ragazzi non vanno più abbandonati ma vanno ascoltati, contenuti, educati e protetti.

La conoscenza protegge: come il preservativo.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

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La raccolta differenziata del corpo 2.0

La ragione del titolo dell’approfondimento odierno, non sarà sfuggita al lettore più fedele.

Nel corso degli anni in cui mi sono abbandonata alla condivisione di questo spazio, con il mio stimato collega, ho spesso portato all’attenzione di chi legge, le tematiche legate al corpo.

Uso e abuso del corpo sono, infatti, frequentemente presenti nelle psicopatologie contemporanee siano esse state esercitate dalla persona in prima persona, che da secondi, che infliggono dolore (fisico o psicologico, poco cambia).

Il caso (che notoriamente non esiste), mi porta ad esporre una ulteriore riflessione. Non tratterò -infatti- oggi una qualche psicopatologia specifica.

L’altro giorno sono stata contattata su WhatsApp da una mia paziente.

La ragazza ha circa 20 anni.

Lì per lì mi sono preoccupata, ovviamente, di contenere il suo disagio, di offrirle una luce di emergenza nel profondo della confusa oscurità.

Rientrata l’emergenza, la mia attenzione si è spostata su un punto: la foto.

Ho visionato la foto profilo della ragazza poiché attratta da qualcosa di stranamente disturbante (termine leggermente improprio ma legato alla percezione di qualcosa di strano).

La ragazza nella foto non è quella con cui parlo nel mio studio, su whatsapp o su skype.

Ma di cosa sto parlando?

Dell’uso atroce dei filtri.

Devo ammettere, lettore, che ho appreso del reale uso e funzione dei filtri, pochissimo tempo fa. Per intenderci…

Per me i filtri erano “seppia, bianco e nero, anticato…”

Di antico forse c’ero solo io che, lontano dalle logiche social, ho (grazie ai miei pazientini) preso visione di cosa siano realmente i filtri cancella connotati.

L’ennesimo inesistente caso, ha voluto che quel giorno, notassi che anche altre 3 pazienti che si presentavano subito sotto, nell’elenco rubrica, avessero foto dai connotati completamente diversi.

La cosa interessante è che queste 4 foto (di 4 ragazze diverse), presentano le stesse caratteristiche: viso leggermente di profilo, sguardo ipnotico semi chiuso con occhio allungato, espressione imbronciata -se non francamente arrabbiata- naso ipersottile all’insù assolutamente non presente in natura, labbra canotto ipergonfie con strane proporzioni; queste labbra mi perplimono molto poiché sono strabordanti e per nulla armoniche. Molte ragazza disegnano l’arco di cupido così tondo e gonfio da farlo esageratamente toccare con la base del naso che fa invidia a Michael Jackson.

Il lettore comprenda: non sto assolutamente deridendo queste ragazze.

Provo a riflettere.

Come dicevo non voglio entrare nella lettura scientifica della cosa.

Voglio portare la mia esperienza.

Conosco il viso di queste ragazze (la loro età va dai 17 ai 23 anni); conosco i segni della loro sofferenza psichica e conosco la bellezza della loro mimica facciale.

Una mimica che è loro, personale, completamente differente per ognuno dei casi specifici.

Conosco la rotondità di alcuni dei loro visi, l’ovale profondamente allungato di altri.

Conosco i loro zigomi scavati dalla carenza di alimentazione, l’acne da scompenso ormonale.

Riconosco nei visi di queste giovani piccole donne, la voglia di resistere senza insistere, alle intemperie della vita.

La capacità di mettersi in gioco, di lamentarsi ogni tanto, ma di darsi -sempre- una possibilità.

Conosco la dolcezza dei loro visi ancora infantili, i kg di make-up con cui cercano di camuffare quel che pensano gli altri non vogliano vedere.

Ed eccoci qui.

Siamo realmente sicuri che questi canoni estetici proposti con un’aggressività crescente, dai nostri social, siano la realtà di cui abbiamo bisogno?

Un corpo segnato, lacerato; un corpo sofferente (lo ripeto, senza entrare in questioni che siano prettamente psicopatologiche), è tuo.

Sminuzzare e smembrare il proprio sé per renderlo aderente ad una moda momentanea, ad un piacere labile di chi vuole consumarti come una bibita rubata al supermercato, è un processo da fermare nel suo stesso nascere.

Esiste pelle e sguardo compatibile, dell’altro, che può essere (ri)conosciuto solo quando avrai accettato che l’unica pelle e l’unico sguardo davvero compatibile, è quello che puoi avere verso te stesso.

Il corpo non è un rifiuto da differenziare, così come non lo è la tua psiche.

#PromozioneDelBenesserePsicologico

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

“Mi fido di te”: che cos’è la fiducia? #psicologia #mentalhealth #fiducia #ilpensierononlineare

“Ti fidi di me?” “Sì, mi fido di te!”

Che cos’è la fiducia? Cosa indica questa parola così piccola e potente? E quando si struttura il senso di fiducia, nell’essere umano? Scopriamolo insieme.

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“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Il vuoto liquido.

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Quando “lavoriamo” con l’adolescente (e con l’adolescenza), dobbiamo tener in mente sempre un punto così piccolo da esser straordinariamente potente e rilevante, mi riferisco al fatto che l’adolescente ha necessità di proiettare sulla figura del terapeuta stesso il senso della perfezione e dell’onnipotenza.

Diviene quindi importante esser capaci di saper conservare questo tesoro che proviene dall’infantile, questo nucleo di onnipotenza buona, (un tempo collocato nella madre), cercando però di non confondersi con esso cedendo all’illusione di sentirsi “l’oggetto buono onnipotente salvifico”, ma bisogna sviluppare -insieme- quella capacità di costruire un oggetto che ridia speranza e fiducia.

Viviamo -lo dico spesso- in un tempo molto complesso dove le contraddizioni guidano la nostra esistenza privandola di consistenza; è il tempo delle incertezze, dei confini inesistenti, dei limiti varcati pur senza più un divieto (reale o immaginario) che lo impedisca.

I giovani non possono più sfidare l’autorità; non riescono più a capire i confini di ciò che (per loro) sarà “giusto o sbagliato”.

Viviamo, tuttavia, anche nel tempo dell’evoluzione tecnologica e scientifica che ci ha resi sempre più protesi tecnologiche; orpelli tenuti tra le nostre mani diventano sempre più le nostre stesse mani e i nostri stessi sentimenti.

Ed ecco un altro punto: i giovani sono alessitimici; non riescono più a comprendere le emozioni, non sanno dare un nome alle sensazioni che sentono e non sanno più cosa provano (se, provano…).

Questo malessere è evidente a noi clinici nella nostra pratica dove, la sofferenza psichica è elicitata sotto forma di sintomi narcisistici, depressivi e disturbi d’identità.

Freud (1929) evidenziava al centro del disagio della civiltà del suo tempo, un nesso tra l’inibizione della pulsione e la colpa inconscia; ciò invece che pare caratterizzare il malessere attuale avrebbe a che fare più con un eccesso di pulsionalità e con la scomparsa dei limiti che rendono labili i confini e rafforzano proprio le fantasie di onnipotenza: “io posso tutto!”:

La società dei consumi promuove l’illusione di una libertà individuale (illimitata), puntando a una ricerca -illimitata- del piacere che diviene il valore assoluto.

Ne deriva un crescente senso di vuoto interiore (perché il piacere costante e la libertà continua diviene, nell’ambito del vivere sociale, pura chimera), favorendo il persistere del fallimento “sono un fallito! sono inutile! sei un fallimento!” favorendo una sofferenza che passa per e attraverso il corpo che parla al posto del soggetto.

I pazienti che vediamo nei nostri studi hanno difficoltà a sentire e dire le proprie emozioni e mostrano una difficoltà ancora più spaventosa: sembrano (de)storificati; uomini, donne, ragazzi e ragazze, persino bambini incapaci di raccontare la propria storia personale.

Umani attori di una storia che non gli appartiene e, nella maggior parte dei casi, nemmeno lo sanno.

Si tratta di persone impoverite, incapaci di simbolizzare che sperimentano continuamente la drammatica esperienza del vuoto.

Perché mi piace il lavoro con gli adolescenti?

Perché l’adulto in divenire, l’adolescente, vive quell’assurda condizione punto di intersezione dei vari movimenti intrapsichici, interpersonali e intergenerazionali; è uno snodo della vita del soggetto che ben si sposa e riflette (stando e restando impastato) nel caotico vivere che è la nostra società liquida.

Società liquida per una identità liquida.

Essendo l’adolescenza il periodo per eccellenza dei cambiamenti fisici e identitari, dove i confini corporei e psichici sono tratteggiati, l’adolescente è maggiormente esposto a restare vittima dell’indistinzione identitaria.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.