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La proposta di Carlo.

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Carlo è un bambino intelligente: intelligentissimo.

Avere 12 anni ed essere così intellettivamente vispo, attento, veloce e preciso può essere una condanna nel tempo presente. Una società che si basa sempre di più sulla velocità -certo- ma poco sull’accuratezza delle cose (fonti, idee, pensieri, basti pensare allo strabordante fenomeno della fake-news); o ancora una società che pare voglia abolire genesi e sostanza dei pensieri, può essere un luogo condanna per questi bambini.

Come fa un qualcosa che non ha contenuto (il tempo presente) a contenere?

Carlo giunge in consultazione portato dalla zia. La scuola non riesce a “tenere” il bambino attento, seduto e rispettoso delle regole…

Il profitto di Carlo è talmente alto che i professori hanno smesso di mettergli i voti; quando viene interrogato la professoressa esce dall’aula perché “è inutile che controlli. Tu già sai”; quando il ragazzino prova a sollevare domande o a difendere qualcuno in classe, partono le note.

Se infatti mancano i rinforzi positivi, le punizioni non mancano mai.

Carlo ha una collezione incredibile di rimproveri, note, richiami di ogni tipo; i tutori vanno un giorno sì (e anche l’altro) perché i professori “non ce la fanno”..

Ma Carlo li mette in una strana situazione mai successa: è un genio dal caratteraccio (almeno a detta loro).

Quando vedo Carlo per la prima volta, scopro un ragazzino completamente diverso da quello descritto sulla scheda anamnestica.

Mi colpiscono questi incredibili occhi verdi perché oltre a brillare intensamente, sono palesemente coscienti delle cose. E’ strano vedere un ragazzino (più bambino, in realtà) che ha degli occhi così tanto adulti; il messaggio sembra essere “ma che vi sfiancate a fare… tanto il mondo va così”.

“Oppositivo… è oppositivo.. ragazzo oppositivo.. aggressivo… violento.. oppositivo”

Mi aspettavo un antisociale -rido- e mi ritrovo un bambino genio.

Per nulla oppositivo, dotato di grande ironia (la qualità più bella), collaborativo e attivo anche nel setting. Carlo non mi fa ripetere nemmeno mezza volta una cosa che la fa (tenuto conto della situazione, nemmeno in maniera svogliata).

Ride molto si muove -vero- ma non in maniera convulsa.

Cosa chiediamo -allora- noi a Carlo?

Parlando della scuola emerge solo una cosa: “i professori mi annoiano”

Faccio un gioco con Carlo: è stato eletto ministro dell’Istruzione e spetta lui varare una nuova riforma scolastica. Cosa fa il Ministro Carlo?

“I professori devono ridere; non devono solo spiegare e assegnare compiti, spiegare e assegnare. Non devono solo punire ma devono essere più simpatici. Non devono fare paragoni tra gli studenti e non devono dire agli studenti che se vanno male a scuola non faranno mai niente nella vita. La scuola deve essere luogo di divertimento; ci deve piacere stare insieme e dobbiamo stare tutti bene, insieme. I professori sono obbligati alla risata e si devono pure vestire colorati!”

Il Ministro Carlo ha firmato la sua proposta di legge.

E’ la prima legge (per quanto concerne la scuola) sensata che vedo, nella mia vita.

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio

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Crescita creativa: fidarsi e affidarsi.

La crescita è un processo piuttosto complesso che reca la sua complessità nell’etimologia stessa del termine.

Crescere deriva infatti dal latino e dalla stessa radice di “creare”: cresco, quindi creo.

Diventando più grande, sviluppo (si spera in meglio ovvero nella migliore delle loro possibilità), le mie qualità.

Crescendo, creo la versione migliore di me.

La crescita non è soltanto un processo legato all’accrescimento -ad esempio- delle parti del proprio corpo (altezza, peso, forma), ma indica un processo (creativo) che si situa al confine tra l’ambiente e l’organismo.

Tra me e l’ambiente (fisico) e il campo psicologico in cui sono immerso, si situa quel processo creativo che permette crescita, sviluppo e creazione del mio Io.

Crescere è un atto di fiducia; ci si fida e affida a sé stessi certo, ma anche (e soprattutto) al prossimo.

I genitori che chiedono una consultazione per i propri bambini, portandoli in studio come fossero pezzi di un puzzle da riunire/comporre, perdono la fiducia nei propri bambini.

Il disagio va riconosciuto e accolto ma va -per prima cosa- rispettato.

Troppi genitori pensano ai figli come “giocattoli rotti”, dimenticando che l’elicitazione di un disagio è una richiesta silenziosamente urlata che merita ora, dal genitore, fiducia.

Il genitore deve -ora- fidarsi e affidarsi; fidarsi del proprio bambino e del terapeuta; affidarsi al terapeuta.

Crescere è un atto di creazione costante e continuo, spesso discontinuo vero… ma è pur sempre un movimento che non si arresta con il raggiungimento dell’età adulta.

Se ci pensiamo bene anche il corpo non resta mai nella forma fisica raggiunta “ad una certa età”, ed ecco che anche le esperienze che quotidianamente viviamo, continuano ad avere influenza su di noi: sulla nostra psiche.

E allora più che ai puzzle (che non ho mai sopportato perché non trovo il piacere di far combaciare in forme e pezzi prestabiliti una figura prestabilita), ritorniamo alla possibilità di essere come i semi.

Piantiamo da qualche parte il nostro seme, la nostra essenza, che attecchirà in un terreno che avrà costantemente bisogno di cure, nutrimento e attenzione.

Crescere è il nostro atto creativo quindi -rivoluzionario- perché la creazione ha sempre con sé una piccola quota di rivoluzione.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Il bambino che non sorrideva: Disturbi dell’infanzia – la storia di Bruno.

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In generale siamo portati a pensare che l’infanzia sia un periodo piuttosto sereno e spensierato; un periodo della vita fatto di cose semplici, caratterizzato dall’assenza di pensieri, problemi o difficoltà.

L’idea dei bambini “vivi”, leggeri e spensierati cozza fortemente con Bruno (nome di fantasia), uno dei tanti bambini seguiti.

Il bambino triste.

Bruno arriva presso il consultorio accompagnato da sua madre; il bambino ha 9 anni. Sua madre, una trentottenne dai movimenti meccanici e rigidi, ma veloce e confusa nell’eloquio mostra il desiderio di voler comprendere perché suo figlio non sia mai stato un bambino allegro.

Nel racconto della storia di Bruno, sua madre (un fiume così tanto in piena tanto da correre più volte il rischio di strozzarsi con la propria saliva) dice di non avere ricordi del figlio sorridente:

non ricordo di aver mai visto Bruno ridere- Dottoressa- inoltre lui sta sempre male. Mal di testa, mal di pancia, stanchezza.. Per i primi due anni in cui ha frequentato la scuola, Bruno non era felice ma nemmeno troppo triste.. poi all’improvviso ha iniziato a stare sempre male. Se non va a scuola e resta a casa, si sente in colpa perché poi non sa cosa stanno facendo in classe e deve chiamare qualcuno per avere ogni minima informazione su quanto fatto in classe; se va a scuola dopo un’ora mi arriva la chiamata a casa e devo andare a riprenderlo perché ha vomitato e sta male.

Se suo padre oppure io tardiamo un po’, che ne so, perché siamo andati a fare la spesa (e lui resta con la nonna) ha crisi di pianto e chiede di continuo dove siamo perché ha letteralmente paura, che siamo morti!. Quando resta in casa Bruno non fa niente.. N I E N T E! E’ stanco -dice- e resta immobile seduto su una sedia a guardare il nulla; al massimo piange.

Sono qui perché oltre a non mangiare, non dormire e a piangere, Bruno per la prima volta, l’altro giorno, ha detto di voler morire!”.

Bruno è un bambino tenerissimo; è piccolo, magrolino e con dei bellissimi lineamenti angelici. Il colore dei suoi capelli è simile a quello del miele quando osservi il barattolo mettendolo alla luce del sole ed emergono in quel liquido viscoso, mille bollicine e colorazioni differenti della stessa tonalità di base; gli occhi sono grandi, immensi e castani. Il corpo è piccolino (molto si più di un altro bambino della stessa età) ed è vestito in tuta rossa e blu.

Quello che mi colpisce di Bruno sono questi occhi così immensi da sembrare vuoti. Ricordo di quando durante una lezione di Psicologia Dinamica, la professoressa (analista infantile), raccontò del senso di impotenza, di vuoto e spaesamento che gli occhi fissi e vuoti dei bambini, hanno.

Ecco.. quel giorno mi sono scontrata con la possibilità che uno sguardo vuoto possa costruire una distruzione.

Bruno non gioca, a stento risponde alle tue domande. E’ un bambino spettro, sembra appoggiato al suo esile corpo del quale, non mostra minimo interesse. L’aspetto angelico conferisce maggior enfasi a questa immagine di un bambino e di una infanzia vuota.

Circa il 2% dei bambini soffre di disturbo depressivo maggiore. Analogamente a quanto accade nei disturbi d’ansia, i bambini piccoli non possiedono alcune delle abilità cognitive (come il senso reale del futuro) che contribuiscono a causare la depressione clinica. Accade però che in periodi particolari della propria vita (o anche in caso di forti predisposizioni biologiche), anche bambini molto piccoli, possono manifestare disturbi dell’umore o una persistente tendenza alla tristezza. La depressione nel bambino, può essere scatenata da eventi negativi (in particolare perdite importanti) o cambiamenti (ad esempio di scuola o della casa), rifiuti (reali o percepiti come tali) o abusi (reali o fantasticati).

I sintomi possono essere i comuni sintomi fisici (mal di testa, pancia) irritabilità o disinteresse per giochi e giocattoli.

Bruno per molte sedute non troverà interessanti le marionette, starà lontano dai colori.. Non racconterà storie (a stento risponderà alle domande). Per molti martedì Bruno è stato assente mostrando inizialmente malessere per poi giungere ad un equilibrio in cui “tu non mi chiedi più niente e io non piango”.

Il patto è durato per un bel pò.

Un giorno Bruno entra aprendo la porta (è stata sempre la madre ad aprire la porta e a farlo sedere sulla sedia). All’improvviso ho come avvertito nell’aria una piccola piccola presenza di movimento.

Il bambino triste e impenetrabile aveva fatto qualcosa; aveva per un attimo abitato il suo esile corpicino.

Quel giorno Bruno mi fa una domanda personale: rispondo, e tutto torna in silenzio. Comincia a mostrare una parvenza di interesse per la marionetta a forma di lupo: colgo al balzo l’interesse e il piacere per la marionetta e comincio a prestare voce e corpo al personaggio.

Il piccolo movimento d’aria diventa d’improvviso una scintilla che squarcia il reale. Una piccola stanza umida diventa un bosco incantato con tanto di ruscelli, alberi e mele parlanti. Bruno resta un bambino “triste”, lascia fare a me molto del lavoro “di creazione”, ma comincia passo passo (un pò come pollicino al seguito dei piccoli sassolini), a seguire un percorso che è sempre lui, con il suo ritmo, a delineare.

Nei lunghi mesi in cui è venuto al consultorio, Bruno non ha mai sorriso.

Poco prima di terminare il suo percorso, il bambino, mi ha guardato negli occhi.

Bruno un giorno ha preso un pastello: il suo primo pastello, in mano, ed era del colore più felice che si possa immaginare.

Il giallo…

“come la tua gonna!”

Disse.. Accennando un timidissimo sguardo e una parvenza di sorrisino misto a vergona.

Quello resta, ancora oggi, uno degli sguardi più belli che mi sia mai stato rivolto.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy DI Maio.