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Con-tatto fisico ed emotivo: l’opera di René Spitz 

Pensi sia più importante il contatto fisico/emotivo nei confronti del bambino oppure credi che possano bastare le sole cure igieniche, per esempio?

Non di rado i genitori sostengono di adempiere correttamente a tutte le cure necessarie, nei confronti dei loro bambini, e questo è assolutamente vero!

Cosa potrebbe allora mancare o essere deficitario, all’interno di una relazione calda, con i nostri bambini?
Scopriamo le straordinarie ricerche di René Spitz.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

Disturbo Da Dismorfismo Corporeo (BDD) 

Una paziente non usciva più dalla propria casa perché era convinta di essere un mostro, di essere deforme, nonostante questa deformità fosse assente dal suo viso.

Un’altra paziente non riusciva a lasciare un microscopico specchio tenuto sempre tra le sue mani con cui doveva controllare, continuamente, che tutto fosse sotto controllo.

Abuso di make-up, abbigliamento strano, che cosa c’entra tutto questo con il BDD – Disturbo Da Dismorfismo Corporeo, disturbo sottostimato, tornato alla ribalta in seguito alle dichiarazioni fatte dal cantante Marco Mengoni che ha ammesso di averne sofferto.

Si tratta di un disturbo inserito all’interno del DSM5 nei disturbi ossessivo-compulsivi che si caratterizza per un’eccessiva e persistente preoccupazione per alcuni difetti fisici corporei. Questi difetti fisici possono essere presenti ma minimi, oppure totalmente assenti.

Scopriamo insieme, anche attraverso l’esperienza clinica, cos’è il BDD e come riconoscerlo.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

“Come fate?”

“Ho una domanda da farvi -Docs- ma voi, dopo che sentite tutti i problemi della gente, non vi sentite male? No davvero.. me lo chiedo sempre perché io, per esempio, quando parlo con qualche mia amica che ha qualche problema, dopo mi sento.. ceh.. mi sento proprio male. Come fate?”

Durante un colloquio in co-conduzione, una ragazzina di 11 anni -straordinariamente intelligente- ha posto questa domanda.

La sua curiosità mi ha profondamente commossa, cosa che le ho prontamente riferito, perché uno spostamento del genere nei panni dell’altro è cosa assai rara.

Potrei argomentare in molte maniere e modi ma preferisco tenere la realtà che va sempre accolta, amata e protetta, per me e per chi ha vissuto quel momento.

Non fermiamoci mai a ciò che “passa” online sui nostri giovani.

Conosciamoli -davvero- mantenendo il giudizio fuori dal nostro incontro che altrimenti, diventa scontro.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

Famiglia e separazione.

L’approfondimento odierno intende trattare un tema complesso e attuale. Nei nostri studi entriamo sempre di più in contatto con quelle che sono state delle famiglie e che adesso, nel tempo presente, si presentano come luoghi battaglia; terra di nessuno esposta all’astio, violenza e aggressività.

E’ sempre devastante incontrare lo scontro della fine di un amore ma ancor di più è devastante osservare le lacrime di bambini e ragazzini che se si fingono forti -nelle mura domestiche- dove avvengono le battaglie, crollano senza sosta tra le mura della stanza d’analisi.

Analizziamo allora cosa accade quando si passa dalla nascita del primo figlio alla separazione.

La nascita del primo figlio implica la creazione di un nuovo sottosistema (quello genitoriale) così come la creazione di nuovi legami di attaccamento e la ridefinizione dei rapporti con la propria famiglia d’origine.

Le coppie in cui i partner non hanno completato il proprio processo di individuazione dalla famiglia di origine e quindi non hanno sviluppato la capacità di ascolto e di accettazione dell’altro come persona né la capacità di cooperazione, molto probabilmente non riusciranno a “fare spazio” (emotivo, affettivo o relazionale) per il nuovo membro della famiglia.

Si tratta di coppie che sembrano bloccate in uno spazio fusionale in cui non c’è spazio per il figlio. In queste coppie, l’unico modo per riconoscere l’altro (il bambino) che diviene un elemento esterno alla fusionalità che tiene legati i membri della diade è “creare” una frattura tra i due partner per ricreare una nuova coppia fusionale: quella genitore-bambino.

Il figlio può quindi essere amato, conosciuto e riconosciuto solo dopo che è stato fatto fusionalmente proprio da uno dei due genitori.

In questo caso si può arrivare all’allontanamento fisico e emotivo dal partner essendo impegnati nella relazione fusionale con il proprio figlio: ecco che in questo caso si giunge alla separazione.

Una delle configurazioni maggiormente riscontrabili comporta che dopo la separazione, uno dei due partner rientri nella famiglia d’origine.

Questa scelta di solito è sostenuta da motivi di ordine pratico ma può essere interpretata come il simbolo della scarsa capacità del singolo di organizzare la propria vita personale.

In questa delicatissima fase, le famiglie d’origine vengono di solito altamente coinvolte nella nella vita dell’uno o altro partner tanto che spesso proprio la famiglia d’origine diviene il sostituto del partner perduto (i nonni accudiscono il figlio in luogo dell’ex partner insieme al figlio/a).

Le famiglie d’origine, inoltre, entrano a gamba tesa nel conflitto coniugale schierandosi con il proprio figlio e contro l’ex (di converso l’ex spesso accusa per esempio gli ex suoceri come i responsabili della fine del proprio rapporto coniugale).

E’ in questo momento che arriva la richiesta di separazione.

Nelle situazioni conflittuali parliamo di chiasma familiare quando il figlio è al centro di dinamiche relazionali disfunzionali quali la triangolazione e la coalizione tra le due famiglie.

Il minore della famiglia separata a relazione chiasmatica, occupa un ruolo particolare perché da un lato è simbolo dell’unione indissolubile tra le due famiglie (di fatto impossibile) dall’altro l’elemento scatenante del conflitto. Il figlio è al centro del chiasma e ciascuna famiglia ne reclama l’appartenenza al proprio clan. Ne consegue che nel corso del suo sviluppo, il bambino non potrà integrare in un’unica rappresentazione le sue radici e la sua storia a discapito del suo senso d’identità e della percezione della sua continuità.

Cosa accade quando la famiglia si separa durante l’adolescenza?

L’adolescente è impegnato dei due principali compiti di sviluppo ovvero individuazione e separazione dalla propria famiglia, ne consegue che durante questa fase del ciclo di vita si vivano continui lutti, separazioni, abbandoni e identificazioni.

Contemporaneamente i genitori, come coniugi, sono impegnati nella ridefinizione della relazione di coppia e, come individui, nell’elaborazione della crisi dell’età di mezzo.

L’adolescenza dei figli accresce, nei coniugi, il senso di perdita delle loro possibilità procreative.

Questa fase della vita familiare è delicata perché si tratta di attraversare un lutto intergenerazionale che comporta il distaccarsi da quella struttura familiare che era funzionale all’infanzia dei bambini per affrontare proprio la separazione/individuazione che ora i figli adolescenti richiedono. In questa fase così caotica si situa spesso la separazione dei coniugi tanto da comportare una doppia separazione per la famiglia.

I genitori impegnati nella fine del loro rapporto personale, sono meno inclini e propensi ad accogliere le richieste di un adolescente spaesato che ha -invece- proprio in questo momento bisogno più che mai di attenzioni; accade allora che non di rado questi adolescenti abbandonati arrivino ad attuare condotte devianti o comportamenti sintomatici che vengono poi usati da uno dei due ex partner per ottenere qualcosa in fase di separazione “E’ colpa tua se Marco ha gli attacchi di panico! voglio più soldi per pagare la terapia!”

Le famiglie con adolescenti dovrebbero presentare una maggiore demarcazione dei confini per permettere i processi di svincolo tra genitori e figli ma, in caso di separazione, i confini possono diventare confusi così tanto da impedire lo svincolo.

Il genitore affidatario può “sedurre” il figlio (per esempio promettendogli cose e viziandolo) così da portare il ragazzo alla collusione a discapito dell’altro genitore. Queste dinamiche diventano più probabili quando il figlio resta solo con un genitore formando una famiglia monogenitoriale dove l’altro è praticamente assente.

La famiglia monogenitoriale.

Frequentemente in caso di separazione1 il figlio è affidato alla madre. Tendenzialmente accade che il padre ha magari una nuova compagna e decide, volontariamente, di non voler vedere più i propri figli2. In altri casi assistiamo a quella che prende il nome di sindrome di alienazione genitoriale (Gulotta,1998), per cui il genitore affidatario mette progressivamente in atto una serie di comportamenti volti a svalutare e denigrare l’altro genitore.

Altre volte può accadere che la madre, rimasta sola, viva la difficoltà nella gestione dell’autorità che prima era rivestita dal padre ora assente. Altre volte accade invece che si arrivi a una relazione troppo invischiata tra figlio e madre giungendo il figlio a vivere una relazione con la madre (sul piano prettamente simbolico) come se fosse il suo partner.

In altri casi l’adolescente svolge il ruolo di parental child dove tramite una inversione di ruoli il figlio gestisce i propri fratelli oppure deve consolare la madre depressa.

Anche il ragazzino che appare più forte e che si sente utile in una situazione del genere, vive una difficoltà e arresto nel proprio sviluppo psicoemotivo.

Continua.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

1Tratterò il tema dell’affido del minore in maniera non troppo approfondita poiché non si tratta dello specifico oggetto d’analisi dell’approfondimento. In linea del tutto indicativa e statistica, riferirò alla configurazione più nota ovvero quella che comporta l’affido del minore alla madre. Voglio sottolineare che non condivido questa scelta come la più idonea sempre e a tutti i costi. Come credo che i padri non siano sempre del tutto tutelati.

2 C’è da dire che prima della pandemia erano maggiormente gli uomini che lasciavano la propria famiglia in luogo della costruzione di una nuova “vita”. Nei nostri studi dal 2020 in poi, stiamo assistendo a una inversione quasi, dei ruoli. Molte donne decidono sempre più di lasciare la propria famiglia abbandonando anche i propri figli. E’ qualcosa di cui va preso atto.

L’inconscio va in scena: l’uso delle marionette in terapia

Racconti terrorizzanti, angoscianti, spaventosi.

Racconti eccentrici, avvincenti, pericolosi…

L’approfondimento di oggi ci porta ad indagare un campo di indagine affascinante e complesso. Nel corso di un supporto psicologico può accadere che il bambino, l’adolescente o il giovane adulto, possa vivere una difficoltà nel verbalizzare un certo tipo di contenuti. In questo caso è possibile utilizzare degli strumenti che aiutino la persona ad elicitare, a cacciar fuori, il contenuto inconscio terrorizzante, spaventante, a cui non si riesce a dare un nome.

Scopriamo l’uso delle marionette in terapia.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

Paure e Bambini – PODCAST

Questa tappa del nostro viaggio sarà faticosa e forse un po’ scomoda, ma ci permetterà di osservare da vicino aspetti molto importanti della vita emotiva dei bambini e dei ragazzi preadolescenti alle prese, negli ultimi tempi, a quanto pare, con una delle emozioni più difficili da affrontare: la paura.
E più nel particolare la paura della morte.


Perché ci sono alcuni bambini che hanno paura di morire?

Buon Ascolto..

La paura di morire nei bambini – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
La paura di morire nei bambini – In Viaggio con la Psicologia – Spotify Podcast

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

I servizi della giustizia minorile.

Photo by Matt Jerome Connor on Pexels.com

L’approfondimento che propongo oggi al lettore concerne un difficile campo di analisi; la difficoltà non è solo in chi si trova ad operare nello specifico settore (la giustizia minorile), quanto soprattutto in chi da “osservatore esterno”, si trova a dover analizzare il difficile ambito caratterizzato dai minori che per un dato motivo si trovano ad incontrare e ad entrare nel circuito della giustizia.

Esporrò di seguito le realtà e le proposte di intervento che si sono rese possibili in conseguenza al cambiamento del quadro normativo avviato dal nuovo codice di procedura penale per i minorenni. Questo processo di cambiamento ha comportato una ridefinizione dell’assetto organizzativo e gestionale dei servizi dell’amministrazione della giustizia minorile.

Il sistema dei servizi della giustizia minorile rappresenta, infatti, l’area di supporto all’implementazione delle linee, delle strategie politiche e, più specificatamente, delle decisioni prese dall’Autorità giudiziaria nell’ambito della competenza penale. Ai preesistenti servizi (come l’Ufficio di servizio sociale e l’Istituto penale) si affiancano nuovi servizi, come il Centro di prima accoglienza, la Comunità educativa, i Centri diurni polifunzionali, titolari della nuova filosofia dell’azione penale e di tutte le misure penali in area esterna, che rappresentano l’attuale tendenza di politica preventiva in Italia (Mastropasqua, Scaratti, 1998).

Che cos’è e che funzione svolge l’Ufficio di servizio sociale?

L’Ufficio di servizio sociale costituisce il servizio che accompagna il ragazzo nel suo percorso penale (dall’inizio alla fine). Opera sulla base di un mandato istituzionale che ne prevede l’immediata attivazione dal momento in cui, a seguito di denuncia, un minore entra nel circuito penale. Il nuovo codice prescrive l’attivazione del suo intervento nei confronti del minore entro 96 ore dall’inizio del suo stato d’arresto e di fermo. L’Ufficio cura -inoltre- il progetto educativo del minore in misura cautelare non detentiva, gestisce la misura della sospensione del processo e della messa alla prova e segue complessivamente tutte le misure alternative e sostitutive. Svolge altresì compiti di assistenza in ogni stato e grado del procedimento e predispone la raccolta di informazioni utili per l’accertamento della personalità del minore su richiesta del P.M.

E l’Istituto Penale?

L’Istituto penale (spazio originariamente preposto all’esecuzione della misura cautelare detentiva e della pena), vede una sua ridefinizione organizzativa più funzionale ad un’azione educativa sempre più integrata con i servizi della giustizia minorile e del territorio.

Centro di prima accoglienza, Comunità educativa, Centri diurni polifunzionali.

Centro di prima accoglienza: (CPA) è una struttura filtro che ospita i minori arrestati e fermati (per un massimo di 96 ore) in attesa dell’udienza di convalida. Si tratta di un servizio finalizzato ad evitare l’impatto con il carcere e che si connota strutturalmente come una casa dove gli operatori minorili accolgono, informano, sostengono il minore e avviano una prima prefigurazione del progetto educativo, se il minore resterà nell’area penale.

Le altre nuove tipologie organizzative, comunità e centri diurni polifunzionali, rappresentano servizi di supporto all’intervento in area penale esterna e vedono attualmente prevalere la formula del convenzionamento o della cogestione con le forze del privato sociale.

Centro polifunzionale di servizi: indica una struttura situata nei territori di competenza dei diversi centri per la giustizia minorile. Tale centro si compone di diversi servizi: Servizio di prima accoglienza, Servizio sociale, Servizio diurno polifunzionale, Servizio comunità, Servizio controllo rafforzato. Appare ipotizzabile, per il prossimo futuro, che i primi due servizi evolveranno coerentemente con gli sviluppi dell’innovazione in corso. Il servizio diurno rappresenta, invece, l’espressione più immediata dell’obiettivo di garantire continuità con l’esterno. Tale struttura, infatti, non è riservata esclusivamente agli autori del reato, ma si rivolge ad un’utenza mista che accede alle attività proposte tramite invio del territorio (scuole, parrocchie, servizi sociali territoriali ecc.). Gli ultimi due servizi, costituiscono quelli più direttamente organizzati in forma istituzionale secondo modalità contenitive, diversamente articolate sulla base delle caratteristiche del ragazzo, della sua posizione giudiziaria o problematicità presentate.

Il servizio di controllo rafforzato sostituisce l’Istituto penale ma, sostanzialmente, ne ripropone la logica per tutti quei casi che non possono accedere ad ipotesi meno strutturate.

I servizi comunità si differenziano, al loro interno, fra comunità filtro, con funzioni di accoglienza, inserimenti comunitari a medio e lungo termine e comunità protette, rivolte a quei ragazzi per i quali risulta inadeguato o prematuro il collocamento presso strutture territoriali.

La nuova articolazione dei servizi e la complessità della proposta organizzativa (sempre più orientate ad un’apertura al territorio di appartenenza del minore a rischio e/o che delinque) richiede la valorizzazione della multidisciplinarietà e la specializzazione delle figure che si occupano del ragazzo, l’interazione con i servizi e le professionalità del territorio, ma soprattutto la fluidità sia di circolazione interno-esterno, sia di passaggio del minore fra strutture e servizi.

Si fa presto a dire “delinquenti” ma non è mai tardi per attivare una rete di prevenzione e supporto sociale dove, tramite un lavoro d’equipe multidisciplinare: si fa.

Questi sono i nostri ragazzi: figli, amici, fratelli, sorelle -piccole madri e padri talvolta- che meritano di essere accolti, contenuti e reindirizzati.

Anche quando entrano, per qualsiasi motivo, nel circuito penale.

Qualcuno da qualche parte ha fallito, cerchiamo di non fallire -ancora- noi.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio