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Divento il paziente.

Mi capita spesso di fare un gioco, nel mio studio. Il termine gioco non ha qui valenza chiaramente ludica, indica invece l’esercizio di un’azione che metto in atto.

Lascio il mio posto e mi siedo dall’altro lato della scrivania dove fino a poco prima, c’era il paziente.

Il cambio di prospettiva a cui mi abbandono, comprende anche l’assunzione della postura del paziente stesso; mi siedo e osservo, guardo quel che il paziente vede.

Guardare, non indica un’azione legata al puro atto estetico della cosa; guardare, vedere e sentire come (e non allo stesso identico modo del paziente, sostituendomi al suo stesso sentire), mi offre la possibilità si sintonizzarmi maggiormente con il vissuto emotivo, affettivo e cognitivo del paziente stesso.

Il lettore mi permetta qualche doverosa precisazione.

Il gioco cui mi riferisco, è qualcosa da non fare in assenza di un conduttore specifico (lo psicologo) o in solitudine (il materiale psichico è qualcosa con cui evitare il self service). So che l’uso self, dei contenuti psichici è spaventosamente dilagante. Ci si affida senza il minimo dubbio a molti di coloro che per passione dicono di maneggiare “la psiche”, ed io qui, porgo al lettore una domanda:

“Ti faresti operare al cuore da un soggetto che per estrema passione, legge di medicina magari anche da anni, ma che non ha la minima idea ma -soprattutto- competenza medica, di una sala operatoria e degli strumenti della sala operatoria stessa?”

Perché, allora, ci si affida a queste persone?

Le risposte sono molteplici ma non saranno trattate da chi scrive, in questa sede.

Voglio solo ricordare a chi legge, che tu sei la persona più importante. Tu sei, vuol dire la tua psiche che è molto più importante del tuo corpo, del tuo lavoro o della tua casa.

Abbi sempre rispetto di te stesso e, anche solo per toglierti un dubbio, affidati sempre ad un esperto e mai a chi, pretende di spiegare senza realmente sapere.

Tornando al cambio di prospettiva, oggi sarò per voi Federica.

Disclaimer:

Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi). Ogni informazione personale è stata pertanto opportunamente camuffata.

Mi chiamo Federica e sono sotto peso, il mio corpo di vetro è talmente leggero e tagliente che mi sembra di poter tagliare la sedia; le mie anche sono trasparenti e sporgenti, sento che sto per disintegrarmi. Ho problemi di tiroide anche se i medici ancora non sanno bene di quale tipo e ho l’anemia.

Ho male ovunque, i miei muscoli sono aggrovigliati; intersezioni di mille incroci complessi che creano nodi duri, attraversano il mio corpo creando accumuli impossibili da sciogliere perché non si capisce a chi (o cosa) dare la precedenza.

Oggi mi sono vestita troppo pesante, questa felpa extralarge di lana mi fa sudare ma almeno così, visto che è molto corta, posso portare fuori i miei piccoli addominali (ok.. lo so.. sono ossa sporgenti, ma a me piace).

Non ho tolto le cuffiette così mentre la Doc parla, posso continuare a sentire i mille messaggi whatsapp che continuano ad arrivare senza sosta, lo sai.. oggi devi essere sempre connesso altrimenti non esisti e io… non voglio scomparire (Cazzate!! io voglio scomparire ed essere solo un ricordo evanescente, ecco perché non mangio!).

Ho cominciato da poco, da quando vengo qui dalla doc a scoprire le emozioni e sì a 19 anni ho cominciato ad abbracciare mamma, da quando ho capito che sta per morire.

Le emozioni mi fanno schifo! Sono spaventose e mangiano da dentro.

Odio sentirmi mangiare avidamente da qualcosa che io non controllo e non posso controllare allora ho deciso di non mangiare più le cose che vengono da fuori visto che quelle da dentro, mi sminuzzano velocemente.

Avevo un ragazzo però adesso sto con Lucia anche se mi piace sia Marco che Letizia.

Mi sento svenire, il mio cuore batte fortissimo: sudo, tremo sono rossa poi bianca cadaverica in viso.

Non respiro.

Aiuto, qualcuno mi sente?

Mi piace venire dalla doc, anche i miei amici dicono che sono rinata da quando vengo qui, perché finalmente sto usando queste emozioni spaventose.

Mi piacciono tantissimo le lenticchie con le carote, perché mamma non me le cucina mai?

Perché non mi fa mangiare come quando ero piccola?

Forse stasera un pezzettino di pane, lo mangio.

(Quando avrò la forza di rialzarmi dal mio svenimento).

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

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Fantasmi: genitori e figli.

Photo by Aidan Roof on Pexels.com

L’isola del tempo (senza tempo) ovvero la stanza d’analisi in cui si viene a creare (e ad agire) la relazione paziente/terapeuta, non è fatta dai soli elementi che concorrono a formare il setting materiale e immateriale; anche il corpo dell’analista stesso diviene luogo di agito e per agire.

Il controtransfert corporeo (che interessa il corpo dell’analista) consente di arrivare alla comprensione (possibile) del fantasma fondamentale.

Gli adolescenti vivono in quella condizione che li fa costantemente oscillare tra il desiderio di relazione e la paura dell’intrusività, tra desiderio di contatto e difese che si ergono come barricate difficili da far crollare, erette per evitare di subire il controllo dell’oggetto (Super-Io perverso).

La qualità del legame con oggetti genitoriali inaffidabili e abusanti modellano e influenzano le successive relazioni. Accade, ad esempio, che i conflitti con i genitori si riattualizzino nella seduta con l’analista rievocando o rivivendo quelli più arcaici.

(Ecco perché la terapia è qualitativamente e quantitativamente molto diversa dalla semplice chiacchierata che chiunque è convinto di poter offrire come supporto, al disagio della persona).

Modalità relazionali genitoriali che non riconoscono l’identità e l’indipendenza del figlio, producono una violazione del figlio stesso, tale da indurre traumi che ostacoleranno la costruzione di una relazione in cui si riesce ad esprimere in maniera sana (e intima) i propri bisogni di cure.

Il movimento del bambino verso l’oggetto sarà così tanto compromesso da produrre difese autistiche, narcisistiche oppure le basi per un falso sé, fino a giungere all’identificazione con l’aggressore e un’introiezione del senso di colpa.

(Attenzione quindi a parlare di traumi o aggressioni, presunte o reali, con troppa facilità).

Quale il possibile destino dell’adolescente?

Ripetere il trauma (che sarà rimesso in scena anche durante la seduta).

“Il vincolo perverso che transferalmente si può ricreare offre l’occasione di liberarsi dalla ripetizione, consentendo il progressivo affrancarsi dalle aree traumatiche” (Cinzia Carnevali, Paola Masoni, 2021).

Cosa può accadere nel setting?

Nell’incontro del qui e ora, si può ripetere il trauma del là e allora; questi adolescenti possono instaurare un legame (con l’analista) che oscilla tra intimità patologica (simbiotica e perversa), collusiva, difese narcisistiche oppure esplosioni di rabbia.

E’ necessario, spesso, dimenticare la linearità del pensiero non essere statici e rendere il setting elastico al pari di una rete di contenimento dei circensi; un setting morbido al cui interno l’analista è capace di farsi usare (Winnicott, 1969) fino a (ri)vivere sulla propria pelle le modalità intrusive e aggressive subite dagli adolescenti durante l’infanzia.

La salute mentale è fondamentale.

Non improvvisiamoci.

Crediamoci.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

#RiconoscimentoDelDisagioPsicologico

Ipocondria e Adolescenza

Il corpo ha una dimensione simbolica e una anatomica. L’immagine e la percezione del nostro corpo è inscritta nel nostro cervello, ma non è detto che questa immagine che vediamo riflessa nei nostri occhi sia l’immagine reale concreta.

Spesso l’immagine che noi abbiamo del nostro corpo può distanziarsi anche di molto dalla percezione che possono avere gli altri di noi. Ciò può accadere spesso durante l’adolescenza, quando il corpo è la via naturale per la scarica delle emozioni, delle pulsioni, delle angosce e della sessualità. Questa condizione può creare caos e confusione nell’adolescente.

L’adolescente si trova nella condizione di perdere il proprio corpo infantile e la “quiete” che lo caratterizza, per ritrovarsi ad avere a che fare con tutta una serie di cambiamenti che caratterizzano un corpo nuovo e “turbolento”.

Simbolicamente quel cambiamento significa perdere la sicurezza e la tranquillità di un corpo ormai conosciuto. I genitori erano i garanti di questa quiete apparente.

Quindi il passaggio dall’infanzia, alla preadolescenza e all’adolescenza, prelude ad una perdita del controllo e di integrazione dell’immagine corporea e della percezione del corpo. Questa condizione può ingenerare anche preoccupazioni per la propria salute, che se eccessive possono portare ad idee e sintomi legati all’ipocondria.

Ipocondria e Adolescenza
Photo by Teddy tavan on Pexels.com

I sintomi legati ai cambiamenti che un adolescente affronta possono essere “fraintesi” e amplificati. Un adolescente insicuro e preoccupato per alcuni malesseri può male interpretarli e arrivare a farsi portare in ospedale, ad esempio. Queste manifestazioni ipocondriache sono spesso legate a periodi particolari e sono quindi passeggere, ma se non si interviene in tempo informando i giovani e le famiglie sulla reale natura dei loro sintomi, allora si può instaurare un circolo vizioso e un attitudine dell’adolescente all’amplificazione di malesseri normali, alimentando la sua insicurezza.

Il rischio è quello che si inneschi un clima ipocondriaco, dove (ad esempio) figlio e genitore, alimentano a vicenda le proprie ansie e le proprie paure. Questo meccanismo potrebbe essere interpretato come un modo inconscio del genitore di prolungare il tempo necessario alla figlia/o per distaccarsi, crescere e quindi diventare indipendente.

Tale passaggio evolutivo è necessario, ma spesso percepito come “doloroso”: il proprio bambino o la propria bambina non saranno più come un tempo, saranno quasi estranei e sconosciuti; il vissuto del genitore diventa allora quello si chi perde il controllo e ha timore così di poter esporre a pericoli i propri figli.

Dal punto di vista dei figli, il sintomo ipocondriaco, può rappresentare la paura di uscire dalla protezione dei genitori, da quel luogo sicuro, comodo e affrontare da soli le proprie responsabilità e le relazioni extrafamiliari.

L’ipocondria può inoltre rappresentare, “..una forma di ripiegamento sul corpo – ciò che ognuno ha di concreto, di immediatamente disponibile e di controllabile – quando l’ambiente esterno è percepito come estraneo, difficile, non accogliente..” (Anna Oliverio Ferraris).

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Adolescenza tra serrature relazionali, paura di restar soli e libertà – PODCAST

In questa tappa del nostro viaggio, questa volta, voleremo bassi e scenderemo un po’ più in profondità per provare a perlustrare, per quanto sia possibile, il mondo “oscuro” e inesplorato dell’adolescenza.
Buon ascolto..

Adolescenza, tra serrature relazionali paura di restar soli e libertà – Podcast – In viaggio con la Psicologia
Podcast – Spotify

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Giovani e futuro

“Il nichilismo è alle porte: da dove viene costui, il più inquietante fra tutti gli ospiti? […] Nichilismo: manca il fine, manca la risposta al “perché”?. Che cosa significa nichilismo? – che tutti i valori supremi perdono ogni valore”.

Friedrich Nietzsche
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Riflettendo sulle nuove generazioni, desta molta attenzione il loro modo di interagire con il loro mondo. Un mondo dove l’illimitato diventa necessità e il denaro, la tecnologia e la ricerca di visibilità, alimentano una corsa a-finalizzata e senza senso.

Se manca il fine, se mancano gli obiettivi e i desideri, il futuro non sarà più una promessa. Il futuro sarà quindi molto più opaco, impensabile. Non sarà più inteso e percepito come “possibilità”, non agirà più come “motivazione”; e se accade ciò mancherà la risposta del perché si è al mondo.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Possibili ipotesi di intervento con l’adolescente violento.

Photo by Artem Podrez on Pexels.com

L’adolescenza si presenta come un momento nella vita del soggetto in cui il processo di soggettivazione tocca – per certi versi- il punto massimo; è quindi in questa fase della vita che avviene ciò che possiamo indicare, citando Meltzer (1981), “rifondazione del mondo”.

Proprio la caratteristica intrinseca nella fase adolescenziale stessa (non essere adulto né più un bambino), rende piuttosto complesso pensare e attuare una possibile ipotesi di intervento. Unitamente a ciò, accade inoltre che maggiormente le richieste di “aiuto” non siano poste direttamente dall’adolescente in questione, quanto piuttosto da un adulto (il genitore, un nonno, la scuola o il tribunale). Ciò tuttavia non vuol dire che l’adolescente non senta o avverta una qualche forma di disagio, ma anzi:

“L’adolescente avverte in pieno la tensione trasformativa in atto nella sua personalità, e di conseguenza percepisce e soffre dentro di sé la compresenza conflittuale di due componenti antitetiche mescolate: tante nuove scoperte ed esigenze adulte, confusivamente frammiste ai residui delle istanze e dei bisogni infantili (..) Comprendere appieno questa realtà particolare è premessa indispensabile non solo per lo studio psicodinamico dell’adolescenza, ma anche e soprattutto per la scelta di una strategia psicoterapeutica che permetta di entrare in contatto con l’adolescente in crisi, superandone le forti resistenze difensive”. Longo M., 1997.

Una volta ricevuta la richiesta (sia essa stata effettuata dall’adulto o direttamente dall’adolescente), il clinico si appresta ad accogliere il ragazzino o la ragazzina. In realtà, già nel corso della prima telefonata o del primo contatto, così come Carla Candelori (2013) evidenzia, occorre fare una rapida valutazione del caso, in quanto anche se quasi sempre la richiesta viene effettuata dai genitori, può accadere che la domanda venga fatta da parte degli adolescenti stessi, soprattutto se più grandi oppure tardo adolescenti.

Se la richiesta però è giunta da parte dei genitori, sarebbe d’uopo cercare nel corso dell’iniziale telefonata, farsi un’idea della situazione, per decidere se eventualmente incontrare loro prima del colloquio con la figlia/o.

Dare o meno uno spazio di ascolto (precedente) ai genitori, è scelta del clinico; tuttavia dare questo spazio è una opportunità che successivamente tenderà a non essere ripetuta (salvo l’emergere di problematiche piuttosto gravi) per evitare di alimentare le fantasie dell’adolescente in merito alla violazione della segretezza.

E’ infatti possibile che l’adolescente si formi la fantasia di un clinico complice dei genitori (e ricordiamo, ancora una volta, che il nostro adolescente oscilla tra bisogno/desiderio di dipendenza e indipendenza). Per tale motivo, uno dei possibili interventi che attualmente viene utilizzato, consiste nel lavoro di gruppo e questo perché:

“il legame intersoggettivo cura. Uno dei principali contributi della psicoanalisi è stato capire che il gruppo mobilita processi psichici e delle dimensioni della soggettività che non mobilitano, o non allo stesso modo né con la stessa intensità, i dispositivi cosiddetti individuali”. Kaes, 1999).

Abbiamo cominciato a conoscere un po’ più da vicino il lavoro con l’adolescente. L’argomento sarà oggetto di ulteriori approfondimenti.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Cosa sta succedendo a mia figlia?

Un caffè (freddo) con i dottori – Rubrica settimanale –

Disclaimer:

Coloro che inviano la mail, acconsentono alla resa pubblica di quanto espressamente detto. Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi). Le fonti di invio delle mail sono molteplici (non legate al solo wordpress).

Per la rubrica “Una caffè freddo con i dottori”, ho scelto di rispondere ad una mamma di una ragazzina di 13 anni e di un bambino di 6 anni. La sua primogenita è figlia del suo primo compagno. Adesso lei convive felicemente con il padre del secondogenito, ma qualcosa in sua figlia sta cambiando e il cambiamento probabilmente è legato al legame della ragazzina con suo padre, oramai quasi del tutto assente. Ecco la sua lettera:

“Buongiorno, sono una mamma di una ragazza di 13 anni e di un bimbo di 6. Il mio secondo genito è arrivato dal mio attuale compagno, mentre il papà della mia bimba ci ha lasciate quando lei era ancora neonata (aveva 5 mesi). Non è mai stato presente nella sua vita è sempre stato fin ad oggi un padre completamente assente. Ad oggi i loro incontri, che nei primi tempi avvenivano un paio di volte al mese, si sono ridotti a massimo 3 volte l’anno e durante questi incontri le aspettative di mia figlia vengono puntualmente tradite. Quando mia figlia era più piccola era molto semplice (almeno in apparenza) gestire questa essenza. Poi sia io che il papà insieme al nonno (mio padre) facevamo di tutto per non farle mancare nulla. Infatti sembrava andasse tutto bene: giocava, si divertiva, aveva una sacco di amiche. Ma oggi la situazione è totalmente cambiata. Vedo mia figlia trascorrere dei momenti in cui soffre della mancanza del padre e più volte stesso lei mi ha fatta partecipe della sua sofferenza. Mi ha chiesta tante volte perché il padre non la chiamasse e non la cercasse più spesso. Le ho spiegato che non è assolutamente colpa sua! Le ho detto che alcuni adulti a volte scelgono di voler vivere liberi, come se fossero giovani, senza il peso delle responsabilità degli adulti. Ma il problema che più mi affligge in questo periodo, è che la osservo mentre interagisce e parla con le amiche, (anche in questo periodo di vacanze al mare) e noto che tende ad isolarsi. Non ride mai con loro, parla pochissimo, sembra che non si emozioni. Questa cosa mi fa paura perché vedo che poi si sente esclusa e non cerca la spensieratezza delle altre amiche. Non so come aiutarla. Provo a spronarla a lasciarsi andare ma è passiva, bloccata, apatica.
Vedo che si sente non all’altezza delle sue amiche, come se cercasse sempre qualcosa che le manca. Non ha problemi a scuola e studia danza da quando aveva sei anni. Sia a scuola che a danza è bravissima e non mi ha mai dato problemi.”

Photo by Elina Fairytale on Pexels.com

Cerchi di guardare con gli occhi di sua figlia. Lei da madre ha compreso che c’è qualcosa che non va e sta provando ad aiutare sua figlia. Però noi adulti cadiamo spesso in un errore ingenuo e bonario, ma umano, che è quello di ridurre il nostro giudizio su ciò che accade ai bambini e ai ragazzi, alla nostra “visione adulta” delle cose. Lei più volte ha scritto “vedo..”, quindi probabilmente le sue sensazioni seppur giuste, non colgono appieno il punto di vista di sua figlia. Spesso capita di “proiettare” le nostre preoccupazioni e le nostre paure, senza che ce ne accorgiamo. Provi a vedere al di là delle sue paure, spinga lo sguardo più in là; è certa che sua figlia si senta esclusa dalle amiche, che non si senta alla loro altezza? Quanto è sicura che le sue amiche siano spensierate e felici? E che lei non si sia confidata con qualche amica?

Sua figlia sta vivendo una fase della vita “critica”. Si trova tra la fine di un ciclo (essere bambini) e all’inizio di un nuovo ciclo (adolescenza) in cui l’aspetto forse più importante riguarda principalmente il “definirsi”. Se volessimo fare un paragone, scomodando l’arte scultorea, sua figlia si ritrova a dover cominciare a dare una forma definitiva ad un pezzo di marmo che fino a questo momento della sua vita ha ancora forme indefinite. Come ogni buon artista sua figlia in questo momento ha bisogno di modelli riconoscibili e ben definiti da cui trarre l’ispirazione giusta per finire la sua scultura.

Probabilmente in questo momento della sua vita lei sente l’esigenza di attingere alle proprie origini (la ricerca del padre) e a quella storia che ha caratterizzato la sua e la vostra vita. Se volessimo metterci nei suoi panni, comprendere le ragioni e le motivazioni dell’allontanamento del padre potrebbero essere fondamentali per dare un senso alla sensazione di perdita e di mancanza che lei ha.

Potrebbe essere un occasione dare a lei e darvi, come famiglia, l’opportunità di affrontare insieme le vostre preoccupazioni e attingere positivamente alle vostre risorse per superare questa impasse.

Una terapia familiare affiancata ad incontri individuali dedicati a sua figlia potrebbero essere una soluzione.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi