Archivi tag: Psicologia e Sviluppo

Dov’è la Biglia? Test della Falsa Credenza

Che cos’è la capacità metarappresentazionale?

E quando si sviluppa la teoria della mente? Quando siamo, in sostanza, capaci di capire che l’altro può avere sentimenti o emozioni che non necessariamente sono come quelle che sentiamo e viviamo noi?

E’ possibile che il nostro comportamento sia orientato da una falsa credenza?

Scopriamolo con il nostro approfondimento.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Con-tatto fisico ed emotivo: l’opera di René Spitz 

Pensi sia più importante il contatto fisico/emotivo nei confronti del bambino oppure credi che possano bastare le sole cure igieniche, per esempio?

Non di rado i genitori sostengono di adempiere correttamente a tutte le cure necessarie, nei confronti dei loro bambini, e questo è assolutamente vero!

Cosa potrebbe allora mancare o essere deficitario, all’interno di una relazione calda, con i nostri bambini?
Scopriamo le straordinarie ricerche di René Spitz.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

L’inconscio va in scena: l’uso delle marionette in terapia

Racconti terrorizzanti, angoscianti, spaventosi.

Racconti eccentrici, avvincenti, pericolosi…

L’approfondimento di oggi ci porta ad indagare un campo di indagine affascinante e complesso. Nel corso di un supporto psicologico può accadere che il bambino, l’adolescente o il giovane adulto, possa vivere una difficoltà nel verbalizzare un certo tipo di contenuti. In questo caso è possibile utilizzare degli strumenti che aiutino la persona ad elicitare, a cacciar fuori, il contenuto inconscio terrorizzante, spaventante, a cui non si riesce a dare un nome.

Scopriamo l’uso delle marionette in terapia.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

Ricordi Psy (tra un colloquio e un altro).

Photo by THIS IS ZUN on Pexels.com

Nei colloqui tenuti nel corso dell’anno che va da Settembre 2021 a Settembre 2022, ho avuto modo di constatare un dato, per certi versi interessante, per quanto concerne le relazioni d’amicizia portate avanti dai nostri giovani.

La maggior parte (se non la totalità, mi verrebbe da dire) dei ragazzi tra gli 8 e i 20 anni, lamenta una difficoltà/impossibilità nell’entrare in relazione con i propri coetanei al fine di instaurare una solida relazione di amicizia; amicizia che sia scevra da pregiudizi o doppi fini.

Le difficoltà che questi ragazzi evidenziano, sembrano essere legata innanzitutto al luogo fisico in cui incontrare i presunti amici; già prima della pandemia era quasi impossibile trovare dei luoghi di aggregazione (sembrano essere spariti i pomeriggi nelle piazze del paese; girovagare nel parco pubblico; mangiare una pizza o vedere un film a casa di amici; semplicemente girare quasi senza sosta camminando in centro solo per puro gusto di condivisione del momento).

Le scuole sembrano aver perso il potere-collante, essendo (nei racconti dei ragazzi) diventate quasi fabbriche il cui unico scopo è puntare all’obiettivo nel più breve tempo possibile (avere una media alta e terminare il programma entro le rigide scadenze). Tutto questo si riversa sul clima generale della classe spesso divisa poiché, non di rado, i ragazzi vengono messi l’uno contro l’altro creando una spietata (e inutile, direi) competizione.

Quando questi giovani riescono, finalmente, ad entrare in empatia con qualcuno, cominciano i problemi legati alle differenze. C’è in atto un processo interessante, nella nostra contemporaneità. L’umano si illude di essere finalmente libero e lontano dalle etichette: “sono fluido, il sesso è libero, siamo tutti uguali”, ma non si rende conto che così facendo, ha già chiuso -ancora prima di nascere- l’esperienza, in un’etichetta.

Per dire di essere liberi ci si dice sono “così, così e così…” chiudendo la prospettiva nel suo stesso generarsi.

Ho avuto la fortuna di fare un liceo in cui l’estrazione sociale era davvero varia. Non ho potuto fare gli studi classici (all’epoca la mia pluripremiata carriera pianistica era in corso) e decisi, sulla passione già presente per la psicologia (meno, all’epoca, quella per i bambini) di studiare al liceo socio psico pedagogico.

Per fortuna feci quella scelta; il liceo classico era pieno di figli di papà; quel posto mi sarebbe stato strettissimo.

Nella mia classe dalle iniziali 28, arrivammo ad essere 18 (tutte bocciate al primo anno).

Tra le 18 adolescenti, in corso d’opera terminammo con 2 ragazze madri, una sposata e alla maturità altre 2 incinte.

La varietà umana era incredibile (anche nelle altre classi), così -per mia fortuna- ho potuto incontrarmi e scontrarmi non solo con dei professori imbarazzanti ma, con persone diverse.

Monica era una ragazza bocciata pertanto più grande di me, di un anno.

Monica fumava più di una donna di 40 anni, infatti nonostante un corpo invidiabile il suo viso era già fin troppo segnato. Il trucco era sempre fin troppo presente sul viso di Monica così come (e questo era spesso motivo di richiamo da parte dei prof.) l’uso di tacchi a spillo per venire a scuola; l’uso di quelle scarpe le aveva, inoltre, già provocato deformazioni dei piedi.

Monica era una ragazzaccia; per niente propensa allo studio, aveva già una relazione lunghissima con un ragazzo non scolarizzato e piuttosto ignorante.

La cosa interessante di Monica è che il suo unico scopo era cazzeggiare e trovare qualcuno con cui litigare o fare filone a scuola, salvo poi -durante i tirocini- mettersi vicino ai bambini disabili mostrando una improvvisa e sconosciuta dolcezza.

Tra Monica e me c’era uno strano rapporto.

Sono sempre stata l’unica a fungere da collante tra le persone tanto che la mia professoressa di sociologia diceva “non ho mai visto una persona più diplomatica di te, Giusy!” e questa capacità (di cui io mica ero consapevole), faceva sì che parlassi senza problemi con chiunque in tutta la scuola.

Monica aveva il suo temperamento ed io il mio… (diplomatico sì, esplosivo nemmeno a dirlo).

Un giorno -non ricordo bene per quale motivo- Monica mi aggredì; fatto sta che nacque un litigio che è diventato storia…

Come il seguito del litigio stesso…

Una decina di minuti dopo il litigio, Monica venne a sedersi sulle mie gambe e giocando con i miei capelli mi disse che profumavo tantissimo (questa cosa mi ha sempre fatto sorridere; in classe mi chiamavano profumino e questa cosa, è rimasta anche nel tempo presente).

Qualche giorno dopo la classe partì per la gita di 5 giorni a cui io non andai (preferii farmi un viaggio a Vienna post maturità) e Monica, di ritorno disse “perché non sei venuta Giusy! tu sei pazzerella come me, sai come ci divertivamo!”

Dai racconti dei miei paziente, quello che è accaduto a me poteva diventare, oggi, o un atto di gravissimo bullismo o un atto in cui intrudevano i genitori creando qualcosa di ancora più violento.

Quasi sicuramente, invece che rinsaldare un’amicizia, oggi, dopo un litigio del genere si viene perseguitati fuori la scuola per essere picchiati ancora una volta.

Molti anni dopo stavo uscendo dall’Asl.

Nel corridoio scorgo una figura non troppo alta che porta un jeans strettissimo, dei tacchi altissimi e scomodissimi, un giubbino di pelle cortissimo e che ha una nuvola di fumo intorno a sé.

Nel mentre mi giro sento dire “Giusy! Io sentivo un profumo nel corridoio!”

Era Monica.

I saluti iniziali, i sorrisi, gli abbracci poi “sono venuta per la psicologa, sai ho 2 bambini sto andando al manicomio.. Quello … non è proprio un padre presente, eh sì.. ci siamo sposati subito dopo la maturità”

Monica… se ti serve la psicologa dobbiamo andare sopra!

Ah… ecco perché questa valigetta gialla! Io lo sapevo Giusy, secondo te perché ci sedevamo tutte addosso a te.

Perché tu curi.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Il vuoto liquido.

Photo by Paula Schmidt on Pexels.com

Quando “lavoriamo” con l’adolescente (e con l’adolescenza), dobbiamo tener in mente sempre un punto così piccolo da esser straordinariamente potente e rilevante, mi riferisco al fatto che l’adolescente ha necessità di proiettare sulla figura del terapeuta stesso il senso della perfezione e dell’onnipotenza.

Diviene quindi importante esser capaci di saper conservare questo tesoro che proviene dall’infantile, questo nucleo di onnipotenza buona, (un tempo collocato nella madre), cercando però di non confondersi con esso cedendo all’illusione di sentirsi “l’oggetto buono onnipotente salvifico”, ma bisogna sviluppare -insieme- quella capacità di costruire un oggetto che ridia speranza e fiducia.

Viviamo -lo dico spesso- in un tempo molto complesso dove le contraddizioni guidano la nostra esistenza privandola di consistenza; è il tempo delle incertezze, dei confini inesistenti, dei limiti varcati pur senza più un divieto (reale o immaginario) che lo impedisca.

I giovani non possono più sfidare l’autorità; non riescono più a capire i confini di ciò che (per loro) sarà “giusto o sbagliato”.

Viviamo, tuttavia, anche nel tempo dell’evoluzione tecnologica e scientifica che ci ha resi sempre più protesi tecnologiche; orpelli tenuti tra le nostre mani diventano sempre più le nostre stesse mani e i nostri stessi sentimenti.

Ed ecco un altro punto: i giovani sono alessitimici; non riescono più a comprendere le emozioni, non sanno dare un nome alle sensazioni che sentono e non sanno più cosa provano (se, provano…).

Questo malessere è evidente a noi clinici nella nostra pratica dove, la sofferenza psichica è elicitata sotto forma di sintomi narcisistici, depressivi e disturbi d’identità.

Freud (1929) evidenziava al centro del disagio della civiltà del suo tempo, un nesso tra l’inibizione della pulsione e la colpa inconscia; ciò invece che pare caratterizzare il malessere attuale avrebbe a che fare più con un eccesso di pulsionalità e con la scomparsa dei limiti che rendono labili i confini e rafforzano proprio le fantasie di onnipotenza: “io posso tutto!”:

La società dei consumi promuove l’illusione di una libertà individuale (illimitata), puntando a una ricerca -illimitata- del piacere che diviene il valore assoluto.

Ne deriva un crescente senso di vuoto interiore (perché il piacere costante e la libertà continua diviene, nell’ambito del vivere sociale, pura chimera), favorendo il persistere del fallimento “sono un fallito! sono inutile! sei un fallimento!” favorendo una sofferenza che passa per e attraverso il corpo che parla al posto del soggetto.

I pazienti che vediamo nei nostri studi hanno difficoltà a sentire e dire le proprie emozioni e mostrano una difficoltà ancora più spaventosa: sembrano (de)storificati; uomini, donne, ragazzi e ragazze, persino bambini incapaci di raccontare la propria storia personale.

Umani attori di una storia che non gli appartiene e, nella maggior parte dei casi, nemmeno lo sanno.

Si tratta di persone impoverite, incapaci di simbolizzare che sperimentano continuamente la drammatica esperienza del vuoto.

Perché mi piace il lavoro con gli adolescenti?

Perché l’adulto in divenire, l’adolescente, vive quell’assurda condizione punto di intersezione dei vari movimenti intrapsichici, interpersonali e intergenerazionali; è uno snodo della vita del soggetto che ben si sposa e riflette (stando e restando impastato) nel caotico vivere che è la nostra società liquida.

Società liquida per una identità liquida.

Essendo l’adolescenza il periodo per eccellenza dei cambiamenti fisici e identitari, dove i confini corporei e psichici sono tratteggiati, l’adolescente è maggiormente esposto a restare vittima dell’indistinzione identitaria.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

“BOOM!”

Michele* ha 18 anni. Giunge in consultazione su insistenza della madre che prelevandolo -letteralmente- di peso, lo porta presso il mio studio.

“Prelevandolo di peso”, vuol dire che Michele è stato seduto con la forza, innanzi a me e -con la stessa forza materna- è stato obbligato almeno al primo colloquio con me.

Michele è stato forzato al nostro incontro perché è un delinquente. Non ci sono mezzi termini ma, la facilità delle etichette che società o politica possono dare, direbbero senza girarci troppo intorno che Michele “è un caso perso. Delinquente senza speranza; braccia per la criminalità”.

Com’è Michele?

Molto alto e dal corpo curato. Tutte le parti dell’epidermide che sporgono sono tatuate come una cartina geografica che il ragazzo fatica a tenere insieme. I riferimenti alla malavita sono lapalissiani, così tanto da essere, per me, assolutamente secondari (almeno per il momento).

La barba biondissima che vira quasi al rossiccio rende questo diciottenne molto più adulto ed è evidente fin da subito l’ambivalenza del ragazzo.

(I colloqui saranno tenuti sempre in lingua madre, porterò all’attenzione del lettore una traduzione di questi, in italiano).

Sono venuto solo perché mi ci ha portato mamma, io faccio quello che cazzo mi pare ma almeno mo questa si sta un poco zitta. Che devo dire mo? Come funziona?

Mi fate qualche domanda?

Che devo dire?

(L’iniziale colloquio è stato portato avanti con la presenza della madre di Michele, una donna completamente disintegrata. Successivamente Michele è tornato per molto tempo da me, di nascosto. Non ha mai voluto dire alla madre o agli amici di questo percorso).

Dottorè sono stato al nord, a ******

Dicono che qua siamo tutta criminalità e camorra…. ma non avete idea di quello che ho visto! Se continuo così divento io il re! Mi compro la città!

Mi sono fatto di ogni cosa!

(I colloqui diventano sempre più articolati perché Michele sarà spesso sotto l’effetto di sostanze più o meno legali. Mai troppo fatto da perdere completamente il contatto con la realtà ma con un esame di realtà** che -al contempo- appare sempre più compromesso).

Perché non ti sei mai fatta di niente tu? Ja Dottorè e che sei una principessa veramente allora?

BOOM!

(Michele comincia, durante i nostri colloqui, a salutarmi prima di andare via -oppure a farlo mentre sta parlando di qualcosa- a fare BOOM! mimando una pistola alla tempia).

Tanto la mia fine sarà BOOM!

Michele evidenzia e ripete sempre di conoscere il suo destino: “essere un re con un trono non troppo lungo”***. Sa che il suo comportamento e la vicinanza a certe “associazioni”, non gli garantiranno una vita troppo lunga.

Un giorno Michele mi guarda con una improvvisa luce diversa, meno esaltata e più velata, triste e lugubre:

Doc… io, vi devo dire una cosa. Però non ora.. cioè.. non lo so. Vabbè mo me ne vado, facciamo che ci vediamo non lo so, quando ci vediamo.

(Michele allora per la prima volta, mi viene vicino e portandomi le dita alla tempia mi esclama BOOM! ridendo).

Sono passate un paio di settimane e Michele non è più tornato in consultazione. Presa da una strana sensazione passo sotto il quartiere del ragazzo.

Michele è deceduto una settimana fa, fuori regione.

La madre disgregata ha appreso che il figlio aveva portato avanti, in segreto, il percorso di supporto psicologico ma non da me, ma da un diario che Michele teneva custodito sotto il materasso del suo letto di bambino.

Molte cose crediamo di sapere sui nostri giovani, specialmente su quelli che facilmente etichettiamo come psicopatici senza speranza alcuna.

Molte cose pensiamo di sapere da dietro i nostri pc, dove facilmente ci si inventa esperti, politici, educatori.

La certezza (non più ipotesi, ora) diviene che ogni giorno falliamo miseramente come società.

Michele andava supportato maggiormente e non solo da me, che in un piccolo centro polispecialistico fatto da professionisti volontari, non ho potuto portare avanti un programma che prevedesse un’attivazione della rete di supporto sociale e familiare maggiore.

Ho fallito?

Non lo so.

Stiamo fallendo?

Michele era un mondo contorto, confusamente infantile e straordinariamente resiliente. Una pennellata di nero, ma anche il nero… ha le sue sfumature.

*Nome di fantasia. Tutti i dati sensibili sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi)

**Per esame di realtà, si intende la capacità di differenziare se stessi e la propria vita interiore da quella delle altre persone e differenziare e mettere in relazione ciò che si pensa, percepisce e crede da ciò che viene consensualmente definito reale.

***Definizione data dal ragazzo

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

Psicologia e bambini. La Gelosia tra fratelli e sorelle.. – PODCAST

In questa tappa del nostro viaggio faremo un interessante immersione sotto la superficie dell’apparenza e del pregiudizio.

Andremo a fondo della questione “Gelosia” e scandagliando bene il fondale avremmo probabilmente la possibilità di rinvenire elementi importanti che ci aiuteranno a comprenderne il significato di questo sentimento nei bambini e magari riconsiderarlo in positivo quando possibile..


Buon Ascolto..

Psicologia e bambini. La Gelosia tra fratelli e sorelle.. – In viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
Psicologia e bambini. La Gelosia tra fratelli e sorelle.. – In viaggio con la Psicologia – Spotify Podcast

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi