Cos’è il turismo dark? E quali sono le sue implicazioni psicologiche?
Per turismo dark si intende quel turismo che ha come meta un luogo di morte e cioè quei luoghi dove sono avvenuti disastri, un genocidio, una battaglia, un evento che ha causato la morte di tantissime persone o musei che raccontano questo tipo di storie (ad esempio: Ground Zero, Aushwitz..). Negli ultimi anni è diventato molto in voga e qualche volta sfocia in derivazioni più macabre (come riportato, ad esempio, nella serie televisiva Netflix “Dark Tourist”).
Le motivazioni che spingono questo tipo di turismo, tutt’altro che minoritario, sono complesse e si differenziano dalle motivazioni che spingono al turismo culturale.
Secondo Erik Cohen (studioso del fenomeno all’Università di Tel Aviv) questo tipo di fenomeno turistico è molto antico, infatti il viaggiare e visitare i luoghi delle grandi battaglie, esiste sin dal medioevo, anche se non era comune. Invece a partire da dopo la Seconda Guerra Mondiale il fenomeno è diventato più comune e alla portata di una più vasta platea di persone. Le persone infatti cominciarono a viaggiare verso le spiagge della Normandia (dove avvenne lo sbarco degli alleati); cominciarono a destare interesse le trincee della Grande Guerra e i luoghi legati all’Olocausto.
Ma cosa motiva le persone a visitare questi luoghi?
Sempre secondo Cohen, a seguito delle “indagini” fatte sull’argomento, pare che questi visitatori si aspettino un momento di riflessione e di crescita personale. Vogliono approfondire e capire meglio o ricordare eventi importanti che riguardano la propria famiglia o il proprio popolo.
Spesso questo tipo di visitatori si aspettano e chiedono l’autenticità, e quindi possono rimanere delusi e arrabbiati, se trovano nei luoghi visitati oggetti moderni o servizi indispensabili per gestire al meglio il flusso turistico (tipo toilette, servizi di ristorazione, distributori di bevande..).
L’aspetto dell’ “autenticità del luogo” può essere sostituita, secondo Cohen, dall’autenticità dei vissuti, delle storie e delle emozioni. Bisognerebbe quindi dar spazio al racconto delle storie direttamente dai protagonisti, dalle vittime che attraverso la narrazione del proprio vissuto potrebbero ricreare quell’autenticità attraverso la testimonianza e l’esperienza. Dare la possibilità ai visitatori di entrare nella storia dei popoli e del proprio popolo, arricchendo la memoria storica collettiva, essenziale alla crescita consapevole delle nuove generazioni e della società futura.
“Finisce bene quel che comincia male”
dott. Gennaro Rinaldi
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