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Disturbi Dissociativi: Fuga Dissociativa (Fuga Psicogena)

Per fuga psicogena (o fuga dissociativa) si intende un improvviso allontanamento dai luoghi familiari, con un restringimento della coscienza e una successiva amnesia e quindi incapacità a ricordare il proprio passato.

Uno dei primi casi di fuga dissociativa della letteratura scientifica, è descritto in una tesi di laurea dal dottor Tissiè alla fine dell’Ottocento.

Tissiè scriveva:

“Viaggiava ossessivamente, straniato, spesso senza documenti d’identità e a volte senza identità, senza sapere chi fosse o perché viaggiasse, e a conoscenza solo della sua prossima tappa. Al momento del “ritorno” non aveva idea di dove era stato, ma sotto ipnosi riviveva fine settimana perduti, anni perduti”

Buona visione!

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“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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La Sindrome di Cotard ( o “sindrome del cadavere che cammina”)

“Suggerirei il nome “deliri nichilistici” (delirio di negazione) per descrivere la condizione dei pazienti cui faceva riferimento Griesinger, in cui la tendenza alla negazione era spinta al suo grado estremo. Se si chiedesse loro il nome o l’età, essi non avrebbero né l’uno né l’altro – sono forse mai nati?

Non erano nati. Chi era il loro padre o la loro madre? Essi non hanno né madre né padre, moglie o figli. Hanno mal di testa o dolore allo stomaco o in qualsiasi altra parte del corpo? Non hanno testa né stomaco e qualcuno addirittura non ha corpo.

Se gli si mostra un oggetto, una rosa o un altro fiore essi rispondono ” questa non è una rosa, non è per niente un fiore”.

In alcuni casi la negazione è totale. Nulla esiste più, neppure loro stessi”

Jules Cotard (1882)

Questa condizione è tipica della depressione psicotica e quelli che Cotard descrive come deliri nichilistici sono spesso bizzarri, drammatici e grandiosi. Il mondo per queste persone è come se fosse scomparso, morto, spento, privo di vitalità.

Più sono preminenti i deliri nichilistici più la forma di depressione è grave.

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La sintomatologia legata alla Sindrome di Cotard può probabilmente essere spiegata a livello neurologico, da una disconnessione tra le aree del cervello legate alle aree sensoriali e il sistema limbico (area del cervello in cui vengono elaborate le emozioni e la memoria).

L’impossibilità di provare emozioni e di “sentire” nel modo giusto le sensazioni provenienti dalle varie aree sensoriali del corpo, porta alla delirante convinzione che tutto intorno a sé è morto, privo di vita e tutto ciò che è dentro (organi, sangue e parti del corpo) inesistente. La persona affetta da Sindrome di Cotard si sente come fosse morta, si sente letteralmente marcire, svuotata di tutto e privata del resto. Un genitore, ad esempio, può addirittura pensare e riferire che suo figlio sia privo di vita, nonostante sia presente nella stanza del colloquio.

La Sindrome di Cotard è una patologia abbastanza rara ed è anche conosciuta come “Sindrome dell’uomo morto” o “Sindrome del cadavere che cammina“.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Le parole fanno male..

In una recente ricerca neuroscientifica è stato dimostrato che quando un bisogno o una richiesta non viene riconosciuta o ascoltata, si genera un profondo disagio sia psicologico che fisico.

Questa indagine sperimentale è stata realizzata dalla Fondazione Giancarlo Quarta Onlus di Milano. I ricercatori hanno evidenziato che le persone a cui è stato negato un bisogno, attivano nel loro cervello, le stesse aree che si attivano generalmente quando si prova un dolore fisico.

L’indagine ha potuto quindi dimostrare che quel malessere che si prova quando altre persone feriscono la nostra sensibilità con le parole, ad esempio, attiva le stesse aree cerebrali e network neuronali che si attivano quando si prova dolore fisico.

Le parole e gli atteggiamenti ostili e non supportivi, riescono a “ferire” ed infierire proprio come un dolore fisico.

Una “ferita psichica” viene quindi percepita proprio come una “ferita fisica”.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Pillole di Psicologia: Agire – Agieren – Acting Out

Agieren (Agire) è un termine utilizzato da S. Freud per indicare il tentativo del paziente a non misurarsi, per paura, con i suoi conflitti inconsci cercando soluzioni sul piano di realtà.

Il termine in tedesco è di origine latina ed è impiegato da Freud come il termine abreagieren (abreazione), in senso transitivo, e allude al fatto di “mettere in atto” (desideri, pulsioni, fantasmi).

Oggi è più comune sentir parlare di “agito”, nella sua traduzione inglese “acting out“.

Fenichel farà in seguito una formulazione più precisa di acting out e lo definisce come “un agire che inconsciamente diminuisce la tensione interna e comporta una scarica parziale degli impulsi tenuti a freno; la situazione presente, connessa in qualche modo associativo con il contenuto rimosso, viene usata come occasione per la scarica delle energie rimosse..”.

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Oggi la nozione di acting out è usata anche al di fuori della Psicoanalisi.

Infatti ci si riferisce all’acting out nello studio delle strutture caratteriali degli individui, intese come modelli abituali di reazione che si sviluppano come risultato del conflitto tra esigenze istintuali e mondo esterno frustrante.

In genere tali modelli hanno origine all’interno del sistema familiare e vengono conservati nel corso della vita, come modello tipico di reazione ad una situazione frustrante.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Misofonia – Il rumore che fa impazzire

La misofonia (odio per i rumori) è una insopportabile intolleranza nei confronti di determinati rumori, spesso legati a persone vicine. Il termine fu impiegato per la prima volta nel 2000 da Pawel e Margaret Jasrteboff, neuroscienziati del Dipartimento di Otorinolaringoiatria della Emory University, negli Stati Uniti.

In particolare la misofonia descrive un avversione verso alcuni rumori, che può comportare anche un vero e proprio stress psicologico e l’utilizzo di strategie di prevenire o evitare questi rumori, associati a situazioni particolari o a persone.

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Questi rumori, per le persone misofone, sono così tanto insopportabili che possono provocare una reazione di avversione immediata, che associa stress, fastidio, disgusto, cui si aggiunge collera progressiva, fino a giungere anche ad un eccesso di violenza.

In genere, l’eccesso di violenza viene “disinnescato” nel momento stesso in cui il rumore cessa.

Questo odio per i rumori, a chi ne soffre in maniera acuta, può letteralmente rovinare la quotidianità. Perché chi ne soffre può letteralmente perdere il controllo delle proprie emozioni, fino a cedere a reazioni eccessive ed insolite. Quindi chi ne soffre ha paura di perdere il controllo e abbandonarsi a reazioni esagerate.

La misofonia non figura ancora nel DSM, al momento e non è collegata direttamente a disfunzioni dell’udito (iperacusia, acufeni..). Alcuni studi e misurazioni ottenute tramite risonanza magnetica funzionale hanno però rivelato un’iperattivazione (in persone misofone sottoposte alla visione di video con rumori “fastidiosi”) nella corteccia uditiva e nell’amigdala.

Infine, si è osservata anche una probabile correlazione e un legame della misofonia con vissuti traumatici.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Megalomania – Pillole di Psicologia

Per Megalomania intendiamo la tendenza della personalità di sopravvalutare se stessa e “le proprie capacità in assenza di un opportuno vaglio critico”. (Psicologia – Umberto Galimberti)

La Megalomania può quindi essere una caratteristica della personalità di una persona, ma può spesso presentarsi in forma di Delirio in presenza di una diagnosi di schizofrenia a sfondo paranoico o nelle forme maniacali, dove la persona vive una sensazione di strapotere e ipervalutazione ingiustificata delle proprie capacità mentali e delle proprie risorse personali.

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Per Sigmund Freud la Megalomania nasce a spese della libido oggettuale che viene sottratta al mondo esterno, investendo l’Io in una forma esasperata di narcisismo.

Molto interessante, in tal senso, anche l’effetto di una nota distorsione cognitiva, che potrebbe confondersi o legarsi alla megalomania, l’Effetto Dunning – Kruger, che può portare le persone ad una sopravvalutazione delle proprie capacità perché nasce da un pregiudizio cognitivo legato alla presunta “superiorità illusoria” personale e quindi dall’incapacità di riconoscere la propria impreparazione e mancanza di capacità.

Per approfondire ne parlo qui: L’Effetto di Dunning – Kruger – Illudersi di essere esperti.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

L’Effetto Dunning – Kruger – Illudersi di essere “esperti”

“L’ignoranza genera fiducia più spesso della conoscenza”

Charles Darwin

L’Effetto Dunning – Kruger descrive in Psicologia una Distorsione Cognitiva, a causa della quale persone con poca esperienza o per nulla competenti in un campo o una specifica materia tendono a sopravvalutare le proprie conoscenze, abilità e competenze, autovalutandosi a torto, esperti in materia.

Spesso queste persone, sicure delle proprie capacità, si mostrano supponenti, nei confronti degli altri.

Questa specifica distorsione cognitiva deriva da un’illusione interna e personale delle proprie reali capacità e competenze e una errata percezione esterna delle capacità delle persone realmente competenti della materia in questione.

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«l’errore di valutazione dell’incompetente deriva da un giudizio errato sul proprio conto, mentre quello di chi è altamente competente deriva da un equivoco sul conto degli altri».

David Dunning – Justin Kruger

L’Effetto Dunning – Kruger nasce da un pregiudizio cognitivo legato alla presunta “superiorità illusoria” personale e quindi dall’incapacità di riconoscere la propria impreparazione e mancanza di capacità.

Sembra possibile che queste persone abbiano difficoltà nell’autoconsapevolezza della metacognizione e quindi non riescono a valutare correttamente il loro livello di competenza.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Picacismo: psicopatologia in pillole.

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Il termine deriva dal latino pica, gazza, un volatile onnivoro.

Picacismo indica il comportamento dei bambini che durante il primo anno di vita tendono a mettere tutto in bocca: ogni oggetto è commestibile. Il protrarsi del comportamento è frequente in bambini che presentano ritardo o che vivono in ambienti caratterizzati da profondo degrado o altamente deprivanti.

Nell’adulto il picacismo è indicativo di un atteggiamento regressivo (modalità di soddisfacimento orale) e ricorre frequentemente nelle condotte degli schizofrenici.

Il picacismo rientra nei disturbi del comportamento alimentare; di solito ciò che il picacista mangia non provoca danni, ma talvolta può causare complicanze, come l’occlusione del tratto digerente o l’avvelenamento.

I medici tendono a diagnosticare il picacismo a soggetti che hanno superato i 2 anni e che hanno consumato, per almeno 1 mese, cose che non sono commestibili.

Ricordiamo che in alcune parti del mondo, mangiare cose non commestibili fa parte della tradizione culturale, come nel caso della medicina popolare, dei riti religiosi o di pratiche diffuse. Alcuni abitanti della Georgia Piedmont, ad esempio, mangiano regolarmente argilla.

Tendenzialmente sono le carenze nutrizionali del picacista ad allarmare familiari o egli stesso ed è per questo motivo che la persona chiede aiuto.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.