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Le storie che ci appartengono – Psicologia della Famiglia – PODCAST

“Noi pensiamo per storie perchè siamo costituiti da storie, immersi in storie, fatti di storie”

Gregory Bateson

Le “tappe” del nostro “Viaggio nella Psicologia” che vi propongo oggi, ci faranno vivere per qualche minuto come personaggi di storie. Storie che partono da antichi miti. Perché in qualche modo noi tutti siamo parti attive nel racconto della nostra storia.

Narrazioni che partono da lontano e che in qualche modo condizionano il nostro presente e il nostro futuro.

Nel primo episodio vi parlerò più in generale del mito e della sua importanza per i contesti sociali, per le comunità, i gruppi e per i singoli individui.

Nel secondo episodio invece vi parlerò più nello specifico del “mito familiare” e dell’importanza che ha assunto nella comprensione dello studio del funzionamento psicologico delle famiglie dal punto di vista della Psicologia Sistemico Familiare e quindi dell’importanza che assume per ogni persona.

Buon Ascolto..

In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast

Storie miti e narrazioni transgenerazionali (puoi cliccare sul link per ascoltare l’episodio o potete trovarlo e ascoltarlo nella playlist del nostro podcast In Viaggio con la Psicologia. )

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“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Giornata Mondiale dell’Infanzia e Adolescenza. Il Diritto dell’Infanzia e dell’Adolescenza alla Salute Mentale

“Curare in modo sistematico, intelligente e paziente le infanzie infelici potrebbe essere determinante per la prevenzione di quei disturbi che recano un contributo fondamentale alla psicopatologia più tradizionalmente psichiatrica dei disturbi di personalità, alle dipendenze gravi da sostanze, da gioco e da sesso e alla criminalità giovanile e adulta. Quello che serve è evidentemente uno scatto culturale o uno scatto di civiltà.”

Luigi Cancrini – “La cura delle infanzia infelici (2012)

Nel Mondo a causa della povertà, dei conflitti e della crisi climatica più di 400 milioni di bambini vivono in aree di conflitto. Tra i 10 ei 16 milioni non possono tornare a scuola perché costretti a lavorare o a sposarsi. A causa dei matrimoni troppo precoci 22.000 bambine e ragazze muoiono a causa di gravidanze e parti.*

A causa della carenza di condizioni sanitarie, igieniche e alimentari bambini in diverse parti del mondo rischiano di perdere la vita.*

In Italia la situazione non è assolutamente rosea. Quasi un milione e quattrocentomila bambini vivono in una condizione di povertà assoluta. Ovviamente questa condizione di precarietà inficia gravemente pure sulla condizione psicologica dei bambini e dei ragazzi.

La condizione di precarietà in cui versano i minori in Italia è anche frutto di politiche spesso disinteressate alla condizione dei minori e ai loro diritti e quindi alla loro salute mentale.

L’impatto della pandemia e delle crisi (climatica, energetica, guerra), ha solo peggiorato la situazione.

Quest’anno l’attenzione di questa giornata, grazie all’UNICEF è in particolare rivolta al benessere psicologico e la salute mentale dei minori.

“Nel mondo il suicidio è la quinta causa di morte per i giovani tra i 15 e i 19 anni, la seconda causa in Europa: parliamo di quasi 46.000 adolescenti che si tolgono la vita ogni anno – più di uno ogni 11 minuti. Quasi la metà di tutte le problematiche legate alla salute mentale inizia entro i 14 anni di età e il 75% di queste si sviluppa entro i 24 anni: la maggior parte dei casi però non viene individuata nè presa in carico. “

UNICEF ITALIA

Oggi più che mai l’attenzione alla salute psicologica deve diventare un presupposto essenziale per garantire un futuro più sereno alle nuove generazioni.

Il dolore, la sofferenza psicologica, ripetuti traumi e relazioni familiari complesse, maltrattanti, malate o violente, possono avere conseguenze devastanti per i bambini e per i ragazzi a livello psicologico ed emotivo.

Photo by cottonbro studio on Pexels.com

Vissuti traumatici, maltrattanti e distorti possono indurre cicatrici difficili da rimarginare. Se queste ferite non vengono curate il prima possibile possono portare a patologie psicologiche e mentali spesso gravi come disturbi di personalità e antisociali.

Purtroppo le ferite psicologiche subite negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, (anni fondamentali per lo sviluppo emotivo, dell’identità, per la formazione dell’autostima, dell’immagine corporea, per la formazione dei valori, del senso di sé e del rispetto degli altri) sono spesso le più profonde e quelle più difficili da guarire.

I traumi legati alle figure di attaccamento sono quelli più gravi, perché minano un elemento fondamentale che lega le relazioni e la sicurezza dell’individuo: la fiducia verso una figura di riferimento che istintivamente deputiamo alla protezione, all’accudimento alla rassicurazione. Questa ferita mina la sicurezza interna e la fiducia verso gli altri e verso se stessi.

La speranza è che la nostra società si liberi da questo meccanismo di difesa del “diniego” (che ne condiziona quello “scatto di civiltà” di cui parlava Cancrini), per cui nega che la questione della Salute Psicologica possa essere un problema, solo perché non accetta la possibilità che la mente si possa ammalare proprio come il corpo.

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza passano anche dal diritto a poter avere l’accesso a servizi che garantiscono loro il Benessere Psicologico.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

*Dati e numeri diffusi da Save the Children

Copioni familiari

“Nascere è come venire catapultati in un libro già popolato di personaggi e di storie, è come stabilire un contatto con una realtà le cui regole sono già parzialmente scritte. La nostra presenza creerà delle modifiche alla trama, anche al finale, ma non saremo mai in grado di separarci dalle pagine che precedono la nostra entrata in scena e saremo inevitabilmente influenzati da queste pagine di cui siamo figli.”

Maurizio Andolfi
Copioni familiari – ilpensierononlineare – Youtube shorts

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

La Sindrome di Peter Pan

Tutti i bambini crescono, meno uno. Sanno subito che crescono, e Wendy lo seppe così. Un giorno, quando aveva tre anni, e stava giocando in giardino, colse un fiore e corse da sua madre. Doveva avere un aspetto delizioso, perché la signora Darling si mise una mano sul cuore ed esclamò, -Oh, perché non puoi rimanere sempre così!- Questo fu quanto passò fra di loro circa l’argomento, ma da allora Wendy seppe che avrebbe dovuto crescere. Tu sai questo quando hai due anni. Due anni sono l’inizio della fine.

Peter Pan

La Sindrome di Peter Pan è probabilmente una delle sindromi psicologiche più conosciute e discusse, anche al di fuori delle sedi cliniche e didattiche.

In realtà, pur essendo universalmente riconosciuta, la sindrome di Peter Pan non è presente nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM V).

Il termine è entrato nell’uso comune dopo la pubblicazione nel 1983 di un libro di Dan Kiley, intitolato The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown Up.

Sostanzialmente quella di Peter Pan descrive una condizione psicologica che caratterizza una persona che si rifiuta o è incapace di crescere, di pensarsi e diventare adulta e quindi di accettare di assumersi le responsabilità legate al passaggio alla fase successiva del proprio ciclo di vita.

C’è quindi un rifiuto verso il “mondo adulto”, perché lo si ritiene ostile. “Peter Pan” si rifugia spesso nel suo mondo e in comportamenti e atteggiamenti molto vicini al mondo dei giovani e dei bambini.

fonte: web

“Mi manderete a scuola?” chiese Peter Pan.
“Sì”
“E poi in ufficio?”
“Credo di sì”
“E presto sarò un uomo?”
“Molto presto”
“Ma io non voglio andare a scuola e imparare cose serie” disse stizzito “Io non voglio diventare un uomo. Oh mamma di Wendy, se un giorno dovessi risvegliarmi e accorgermi di avere la barba!”

Peter Pan

Una persona con la Sindrome di Peter Pan non vuole crescere. E per fare in modo di bloccare il tempo resta ancorato alla sua fase egocentrica, narcisistica ed immatura tipica dei bambini.

Peter Pan teme gli impegni e le responsabilità e sfugge ad essi con tutte le sue forze, spesso anche con strategie elaborate. Hanno, inoltre, una idea tutta loro di libertà; infatti tutto ciò che implica un loro impegno o responsabilità viene considerato come qualcosa che può minare seriamente la loro libertà personale.

Generalmente questa sindrome è molto più presente nel genere maschile, ma non si escludono anche casi di donne affette da tale sindrome.

Ci sono dei comportamenti o dei segnali caratteristici e riconoscibili per riconoscere un Peter Pan? In effetti si..

Ad esempio, chi ha la sindrome di Peter Pan accetta raramente di convolare a nozze, di convivere e comprare casa con il proprio partner. Ha difficoltà ad andare a fondo nei problemi perché potrebbero compromettere la relazione e la sua libertà.

Peter Pan può apparire come una persona molto affascinante, intraprendente, divertente ed estroversa, ma in realtà dietro questa facciata si nasconde, in genere, un manipolatore molto resistente ai cambiamenti.

Infine, Peter Pan è spesso incapace di godersi le cose, si può legare con grande passione a oggetti e cose materiali, ma se ne può liberare velocemente, senza una ragione particolare.

I segnali che fanno pensare alla Sindrome di Peter Pan non devono essere sottovalutati, perché a lungo andare possono cronicizzarsi e aggravarsi. Ovviamente questa condizione può compromettere seriamente la vita e il quotidiano, sia di chi ne soffre sia di chi vive insieme a Peter Pan.

Un aiuto Psicologico è in questi casi necessario e consigliabile.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Chiusura – Una persona al di là del muro – PODCAST

In questa tappa del nostro viaggio saremo alle prese con una piccola scalata, quindi ci armeremo di strumenti adatti ad una arrampicata perché dovremo scavalcare un muro. Un muro fatto di insicurezze, riservatezza, timidezza, isolamento, tristezza, chiusura..

La chiusura è un atteggiamento caratteristico di alcune persone portatrici di un disagio psichico; è caratterizzato da estrema riservatezza, diffidenza, isolamento e quindi una grande difficoltà ad instaurare relazioni interpersonali.


Buon Ascolto..

Chiusura – Una persona al di là del muro – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
Chiusura – Una persona al di là del muro – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Il bambino che non sorrideva: Disturbi dell’infanzia – la storia di Bruno.

Photo by Kat Jayne on Pexels.com

In generale siamo portati a pensare che l’infanzia sia un periodo piuttosto sereno e spensierato; un periodo della vita fatto di cose semplici, caratterizzato dall’assenza di pensieri, problemi o difficoltà.

L’idea dei bambini “vivi”, leggeri e spensierati cozza fortemente con Bruno (nome di fantasia), uno dei tanti bambini seguiti.

Il bambino triste.

Bruno arriva presso il consultorio accompagnato da sua madre; il bambino ha 9 anni. Sua madre, una trentottenne dai movimenti meccanici e rigidi, ma veloce e confusa nell’eloquio mostra il desiderio di voler comprendere perché suo figlio non sia mai stato un bambino allegro.

Nel racconto della storia di Bruno, sua madre (un fiume così tanto in piena tanto da correre più volte il rischio di strozzarsi con la propria saliva) dice di non avere ricordi del figlio sorridente:

non ricordo di aver mai visto Bruno ridere- Dottoressa- inoltre lui sta sempre male. Mal di testa, mal di pancia, stanchezza.. Per i primi due anni in cui ha frequentato la scuola, Bruno non era felice ma nemmeno troppo triste.. poi all’improvviso ha iniziato a stare sempre male. Se non va a scuola e resta a casa, si sente in colpa perché poi non sa cosa stanno facendo in classe e deve chiamare qualcuno per avere ogni minima informazione su quanto fatto in classe; se va a scuola dopo un’ora mi arriva la chiamata a casa e devo andare a riprenderlo perché ha vomitato e sta male.

Se suo padre oppure io tardiamo un po’, che ne so, perché siamo andati a fare la spesa (e lui resta con la nonna) ha crisi di pianto e chiede di continuo dove siamo perché ha letteralmente paura, che siamo morti!. Quando resta in casa Bruno non fa niente.. N I E N T E! E’ stanco -dice- e resta immobile seduto su una sedia a guardare il nulla; al massimo piange.

Sono qui perché oltre a non mangiare, non dormire e a piangere, Bruno per la prima volta, l’altro giorno, ha detto di voler morire!”.

Bruno è un bambino tenerissimo; è piccolo, magrolino e con dei bellissimi lineamenti angelici. Il colore dei suoi capelli è simile a quello del miele quando osservi il barattolo mettendolo alla luce del sole ed emergono in quel liquido viscoso, mille bollicine e colorazioni differenti della stessa tonalità di base; gli occhi sono grandi, immensi e castani. Il corpo è piccolino (molto si più di un altro bambino della stessa età) ed è vestito in tuta rossa e blu.

Quello che mi colpisce di Bruno sono questi occhi così immensi da sembrare vuoti. Ricordo di quando durante una lezione di Psicologia Dinamica, la professoressa (analista infantile), raccontò del senso di impotenza, di vuoto e spaesamento che gli occhi fissi e vuoti dei bambini, hanno.

Ecco.. quel giorno mi sono scontrata con la possibilità che uno sguardo vuoto possa costruire una distruzione.

Bruno non gioca, a stento risponde alle tue domande. E’ un bambino spettro, sembra appoggiato al suo esile corpo del quale, non mostra minimo interesse. L’aspetto angelico conferisce maggior enfasi a questa immagine di un bambino e di una infanzia vuota.

Circa il 2% dei bambini soffre di disturbo depressivo maggiore. Analogamente a quanto accade nei disturbi d’ansia, i bambini piccoli non possiedono alcune delle abilità cognitive (come il senso reale del futuro) che contribuiscono a causare la depressione clinica. Accade però che in periodi particolari della propria vita (o anche in caso di forti predisposizioni biologiche), anche bambini molto piccoli, possono manifestare disturbi dell’umore o una persistente tendenza alla tristezza. La depressione nel bambino, può essere scatenata da eventi negativi (in particolare perdite importanti) o cambiamenti (ad esempio di scuola o della casa), rifiuti (reali o percepiti come tali) o abusi (reali o fantasticati).

I sintomi possono essere i comuni sintomi fisici (mal di testa, pancia) irritabilità o disinteresse per giochi e giocattoli.

Bruno per molte sedute non troverà interessanti le marionette, starà lontano dai colori.. Non racconterà storie (a stento risponderà alle domande). Per molti martedì Bruno è stato assente mostrando inizialmente malessere per poi giungere ad un equilibrio in cui “tu non mi chiedi più niente e io non piango”.

Il patto è durato per un bel pò.

Un giorno Bruno entra aprendo la porta (è stata sempre la madre ad aprire la porta e a farlo sedere sulla sedia). All’improvviso ho come avvertito nell’aria una piccola piccola presenza di movimento.

Il bambino triste e impenetrabile aveva fatto qualcosa; aveva per un attimo abitato il suo esile corpicino.

Quel giorno Bruno mi fa una domanda personale: rispondo, e tutto torna in silenzio. Comincia a mostrare una parvenza di interesse per la marionetta a forma di lupo: colgo al balzo l’interesse e il piacere per la marionetta e comincio a prestare voce e corpo al personaggio.

Il piccolo movimento d’aria diventa d’improvviso una scintilla che squarcia il reale. Una piccola stanza umida diventa un bosco incantato con tanto di ruscelli, alberi e mele parlanti. Bruno resta un bambino “triste”, lascia fare a me molto del lavoro “di creazione”, ma comincia passo passo (un pò come pollicino al seguito dei piccoli sassolini), a seguire un percorso che è sempre lui, con il suo ritmo, a delineare.

Nei lunghi mesi in cui è venuto al consultorio, Bruno non ha mai sorriso.

Poco prima di terminare il suo percorso, il bambino, mi ha guardato negli occhi.

Bruno un giorno ha preso un pastello: il suo primo pastello, in mano, ed era del colore più felice che si possa immaginare.

Il giallo…

“come la tua gonna!”

Disse.. Accennando un timidissimo sguardo e una parvenza di sorrisino misto a vergona.

Quello resta, ancora oggi, uno degli sguardi più belli che mi sia mai stato rivolto.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy DI Maio.

Dottoressa sono un mostro: La famiglia del dolore celato

Photo by Engin Akyurt on Pexels.com

Rubrica Settimanale.

Disclaimer:

Coloro che inviano la mail, acconsentono alla resa pubblica di quanto espressamente detto. Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi). Le fonti di invio delle mail sono molteplici (non legate al solo wordpress).

La storia che decido di condividere oggi non è delle più semplici. Sono stata un po’ in dubbio sul procedere o meno e alla fine, in accordo con la diretta interessata, ho deciso di fornire una versione dei fatti che potesse rendere l’idea di quanto accaduto. E’ una donna a contattarmi una sera (molto tardi).

Ho accolto subito la richiesta perché ho percepito un dolore forte e visibile; un dolore capace di attraversare lo schermo nello stesso momento in cui ne stavo “soltanto” leggendo la descrizione.

Il dolore è sempre una condizione altamente personale, che va contestualizzata e compresa.

Buona Lettura.

“Buonasera Dottoressa,

mi scuso per l’orario di invio mail ma sono stata molto titubante sul procedere o meno con questa richiesta. Sono in una sorta di spirale da cui non riesco più ad uscire e non credo esista aiuto per me, per la mia condizione. Sono una donna sposata da un po’, insieme a mio marito decidemmo anni fa di adottare un bambino perché per cause che sono state definite psicogene, non siamo riusciti a concepire una vita. Abbiamo entrambi un ottimo lavoro, siamo ben inseriti nel contesto sociale; non abbiamo problemi economici né “riconosciute” problematiche di salute. Mirko, nostro figlio, è ormai prossimo all’adolescenza e sta avendo diversi problemi comportamentali, nonostante ciò a noi ha voluto subito bene e non è mai stato aggressivo con noi.

Ora che rileggo ciò che ho scritto, rido.. Piango mentre rido perché sono tutte cazzate.. cazzate che mi racconto ogni giorno per stare bene.

Mio marito ha un vita parallela da non so quanto tempo (l’ho scoperto per caso durante la quarantena; lei non è nemmeno chissà quanto più giovane e bella di me.. lui è proprio innamorato di lei: cosa ha lei che io non ho? perché?)

Io sono sotto cura farmacologica da sempre; non ho mai voluto parlare dei miei problemi perché la mia azienda ha bisogno di una me che sia ricettiva e pronta (specie con questa crisi senza fine) e Mirko..

Mirko è un delinquente! Sto maledicendo il giorno in cui abbiamo deciso di adottarlo! quanto siamo stati stupidi.. noi e questa storia dei “figli sono di chi li cresce”.

Lo so.. sono un mostro.. Ma a quanto sembra non ho via di uscita, evidentemente merito tutto questo: merito i tradimenti, le corna, i silenzi.. merito di non avere un figlio che sia mio.. Merito di stare male.. merito di avere crisi isteriche, di pianto, di vergogna; merito le parestesie..

Credo che la mia vita sia inutile.

Sto seriamente pensando a compiere quel famoso gesto lì.. quello pensato tante volte nella vita.”

“Gentile (..)

leggo di te e del tuo dolore che sbatte con forza su di me, in questa prima sera d’estate. Sei una donna coraggiosa, e ti ringrazio per questo coraggio che mostri mettendo in gioco te stessa attraverso il tuo sentire e la tua sofferenza.

(..)

Leggo dell’apparenza che circonda la tua vita; quel sottile velo che tiene ma non contiene la realtà dei fatti che è -invece- ben più complessa. Tuo marito ha una vita parallela con una donna che – a tuo dire- non ha e non è niente di più di quanto hai o sei tu. Soffri nel non comprendere il motivo della sua relazione; soffri nel non comprendere perché lui ami un’altra donna..

Una donna che – ne sei certa- è meno di te. Allora perché?

Dici che per cause psicogene, non siete riusciti a generare una vita e che questa vita l’avete acquistata (parola della donna usata durante la consultazione), convinti del fatto che per essere genitori non serva portare in grembo, dentro di sé, una vita.

Racconti poi dei farmaci, dell’autolesionismo, delle parestesie e le tue numerose crisi.. Dell’efficienza lavorativa e di quel piccolo punto di buio che si sta allargando a macchia d’olio rischiando di avvolgere tutto il tuo essere: la faccio finita.

(Rifletto a lungo, durante la lettura della lunghissima mail. Ho come la sensazione di vedere (..) innanzi ai miei occhi. La immagino mentre forte e decisa racconta poi il crollo, le lacrime, le urla.. i pugni sul corpo.. le domande senza risposta. Il dolore puro).

C’è un sottovalutare la condizione dell’adozione e questo ho potuto constatarlo durante i corsi che la mia collega psicoterapeuta teneva (sia corsi adozione che la valutazione delle competenze genitoriali).

La gravidanza non è mai solo una gravidanza fisica; esista un’altra (e paradossalmente più importante) gravidanza che è quella psicologica. I 9 mesi di gestazione sono mesi che vanno pensati, immaginati e sentiti soprattutto nella mente. Prima dell’arrivo del bambino reale (banalmente anche quando siamo giovani e pensiamo ad un figlio) creiamo uno spazio che, nel momento della venuta del bambino, troverà un “già lì”, uno spazio di accoglimento pieno già di proiezioni genitoriali che.. il (povero) nuovo nato potrà o meno confermare “somiglia a te.. no a me.. farà il dottore.. ma quando mai ha i piedi da ballerino..”

Il bambino attraversa, è vero, il corpo materno; il bambino si fa spazio tra le viscere materne e analogamente si farà strada nella mente della madre e del padre, richiedendo loro un grandissimo sforzo: il riposizionamento di quanto in loro è stato (ed è) il narcisismo, l’edipo, l’amore, l’odio, l’aggressività (..)

L’infertilità “psicogena” attesta una condizione molto forte, nel registro del reale: Io non sono pronto. Io non voglio. Io non so se sono Io.

La condizione di Mirko è difficile; tutti i bambini adottati prima o poi (anche nelle adozioni meglio riuscite quindi non si tratta di mancato rispetto verso la famiglia adottiva), cercano le proprie radici. Questi bambini vivono sulla pelle la condizione della propria frattura identitaria: sono come talee che non riescono ad attecchire nonostante l’estremo nutrimenti, l’acqua e la cura che ricevono.

Manca loro il contatto con la terra che li ha generati.

La donna di questa mail è attualmente in cura farmacologica seguita dalla sua psichiatra (che ha deciso di lavorare in equipe mostrandosi molto aperta verso la psicoterapia); la donna segue una psicoterapia con il Dott. Rinaldi (alternando anche incontri di coppia, tenuti sempre dal Dott. Rinaldi, insieme a me) e Mirko sta procedendo con una consultazione psicologica con me.

La famiglia è seguita da un team che è qui per loro; un team che gli ricorda che nessuno è un membro isolato preda e vittima del suo sentire. Nessuno ha certamente il diritto di tirare giù, nella sua spirale l’altro, ma il lavoro sulla comunicazione resta sempre il fulcro.

La donna ha saputo – infatti- opportunamente contenuta in un setting stabilito, cosa il marito ha trovato nella sua amante; Mirko ha pianto perché sente essergli stata negata la possibilità di sapere “chi è”; la donna ha smesso di avere ideazioni suicidarie.

Questa famiglia è per me la famiglia del dolore celato.

Ma il dolore prima o poi trova valvola di sfogo e come la pressione della caldaia può decidere se farsi abbassare o salire a dismisura.. fino.. ad esplodere.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Adolescenti Ipocondriaci – Podcast

In questa tappa del nostro viaggio daremo una breve definizione di ipocondria e cercheremo di capire quanto la sintomatologia ipocondriaca può condizionare la vita dei ragazzi e delle famiglie, fino ad innescare tutta una serie di reazioni potenzialmente patologiche per tutti.
Come si può interpretare il sintomo ipocondriaco negli adolescenti?
Buon Ascolto…

Adolescenti Ipocondriaci – Podcast – In viaggio con la Psicologia
Adolescenti Ipocondriaci – Podcast – In viaggio con la Psicologia – Spotify

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi