Tutti i bambini crescono, meno uno. Sanno subito che crescono, e Wendy lo seppe così. Un giorno, quando aveva tre anni, e stava giocando in giardino, colse un fiore e corse da sua madre. Doveva avere un aspetto delizioso, perché la signora Darling si mise una mano sul cuore ed esclamò, -Oh, perché non puoi rimanere sempre così!- Questo fu quanto passò fra di loro circa l’argomento, ma da allora Wendy seppe che avrebbe dovuto crescere. Tu sai questo quando hai due anni. Due anni sono l’inizio della fine.
Peter Pan
La Sindrome di Peter Pan è probabilmente una delle sindromi psicologiche più conosciute e discusse, anche al di fuori delle sedi cliniche e didattiche.
In realtà, pur essendo universalmente riconosciuta, la sindrome di Peter Pan non è presente nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM V).
Il termine è entrato nell’uso comune dopo la pubblicazione nel 1983 di un libro di Dan Kiley, intitolato The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown Up.
Sostanzialmente quella di Peter Pan descrive una condizione psicologica che caratterizza una persona che si rifiuta o è incapace di crescere, di pensarsi e diventare adulta e quindi di accettare di assumersi le responsabilità legate al passaggio alla fase successiva del proprio ciclo di vita.
C’è quindi un rifiuto verso il “mondo adulto”, perché lo si ritiene ostile. “Peter Pan” si rifugia spesso nel suo mondo e in comportamenti e atteggiamenti molto vicini al mondo dei giovani e dei bambini.
fonte: web
“Mi manderete a scuola?” chiese Peter Pan. “Sì” “E poi in ufficio?” “Credo di sì” “E presto sarò un uomo?” “Molto presto” “Ma io non voglio andare a scuola e imparare cose serie” disse stizzito “Io non voglio diventare un uomo. Oh mamma di Wendy, se un giorno dovessi risvegliarmi e accorgermi di avere la barba!”
Peter Pan
Una persona con la Sindrome di Peter Pan non vuole crescere. E per fare in modo di bloccare il tempo resta ancorato alla sua fase egocentrica, narcisistica ed immatura tipica dei bambini.
Peter Pan teme gli impegni e le responsabilità e sfugge ad essi con tutte le sue forze, spesso anche con strategie elaborate. Hanno, inoltre, una idea tutta loro di libertà; infatti tutto ciò che implica un loro impegno o responsabilità viene considerato come qualcosa che può minare seriamente la loro libertà personale.
Generalmente questa sindrome è molto più presente nel genere maschile, ma non si escludono anche casi di donne affette da tale sindrome.
Ci sono dei comportamenti o dei segnali caratteristici e riconoscibili per riconoscere un Peter Pan? In effetti si..
Ad esempio, chi ha la sindrome di Peter Pan accetta raramente di convolare a nozze, di convivere e comprare casa con il proprio partner. Ha difficoltà ad andare a fondo nei problemi perché potrebbero compromettere la relazione e la sua libertà.
Peter Pan può apparire come una persona molto affascinante, intraprendente, divertente ed estroversa, ma in realtà dietro questa facciata si nasconde, in genere, un manipolatore molto resistente ai cambiamenti.
Infine, Peter Pan è spesso incapace di godersi le cose, si può legare con grande passione a oggetti e cose materiali, ma se ne può liberare velocemente, senza una ragione particolare.
I segnali che fanno pensare alla Sindrome di Peter Pan non devono essere sottovalutati, perché a lungo andare possono cronicizzarsi e aggravarsi. Ovviamente questa condizione può compromettere seriamente la vita e il quotidiano, sia di chi ne soffre sia di chi vive insieme a Peter Pan.
Un aiuto Psicologico è in questi casi necessario e consigliabile.
“Alcuni temono che la felicità sia un bene molto lontano, quasi irraggiungibile, motivo per cui corrono a più non posso nella speranza di avvicinarla, senza mai rendersi conto che più corrono e più se ne allontanano.”
LUCIANO DE CRESCENZO
Tempo fa una giovane donna mi contattò per un appuntamento. La sua insistenza era legata ad un’urgenza apparentemente impossibile da contenere.
Venne il giorno dell’appuntamento. Ricordo la luce grigia di un pomeriggio autunnale che faticava ad attraversare la finestra dello studio. Un pomeriggio opaco, bagnato e trafficato.
Photo by Samuel Theo Manat Silitonga on Pexels.com
Nonostante le difficoltà legate al traffico, la giovane donna si presenta puntuale. Il suo saluto è veloce, il suo sguardo è sfuggente. Accenna un sorriso e farfuglia qualcosa che stento a capire.
Lei anticipa la mia domanda con una risposta: “Mi scusi, a volte parlo tra me e me, ad alta voce” (ride).
“Dottore credo di non essere mai stata felice. Non voglio più essere quella eterna infelice, quella triste. Da un po’ di tempo questa condizione mi sta stretta, prima invece me la tenevo stretta. “
“Quindi presumo stia già facendo qualcosa per cambiare le cose?”
“Si, sono una che si mette subito in gioco e ho provato da subito a fare qualcosa per sentirmi meglio per mandar via questa tristezza. Pensi che ho cambiato tre fidanzati in due anni, lascerò a breve l’ennesimo posto di lavoro e cambierò tra tre mesi casa per la seconda volta in tre anni. Cominciai tre anni fa accettando un lavoro all’estero, poi mi sono resa conto dopo qualche mese che non era quella la vita che volevo, anche se guadagnavo molto bene. Adesso sono poco più di due anni che “non trovo pace” (sorriso sarcastico e triste)”
“Insomma, ha fatto di tutto per cambiare le cose e per stare meglio, ma è cambiato poco o nulla della sua condizione emotiva iniziale..”
“Si.. da qualche settimana sento di essermi persa.. mi sento stanca di rincorrere..”
“..di rincorrere se stessa..”
“Ecco..” (i suoi occhi diventano rossi e scorrono sulle guance due lacrime)
“Credo sia arrivato il tempo di fermarsi e ascoltarsi, forse quello che cerca è molto più vicino di quanto pensa..”
“Noi crediamo di conoscerci, eppure, ad onta, dei nostri sforzi, non ci conosciamo affatto; crediamo di conoscere i nostri simili, eppure non li conosciamo, perché noi non siamo un oggetto, e neppure i nostri simili lo sono. Più penetriamo nel nostro intimo, o nell’intimo di un altro essere più la meta ci sfugge. “
Qualche tempo fa, durante un primo colloquio con un giovane di circa 20 anni, fui quasi spiazzato dalla sua richiesta, che era molto dissimile dalle richieste d’aiuto e d’intervento che di solito accogliamo.
Il ragazzo, sin dalla prima telefonata per la richiesta dell’appuntamento, non palesava nessun problema evidente. Generalmente è il contrario. La maggior parte delle persone tende, anche brevemente, a raccontare il presunto sintomo o problema.
Il ragazzo in questione invece fu molto spiccio.
Il giorno dell’appuntamento si presentò sorridente e apparentemente impaziente.
Si guardò intorno.. e sospirò. Poi accogliendo il mio invito ad accomodarsi sulla sedia disse:
“Lo sa?”
“Cosa?”
“Aspettavo da tanto questo momento. Non sono mai stato da uno Psicologo o da uno Psicoterapeuta. E non mi aspettavo fosse così..”
“Vedo che non sei affatto ansioso, sembri quasi impaziente.. (dico sorridendo) cosa ti aspettavi?”
“Non so.. un lettino, un ambiente scuro, poltrone in pelle, quadri strani, una scrivania gigante di legno, quelle col vetro sopra..”
“Non sembri deluso”
“No, infatti. Sono contento sia così.. in fondo dentro di me sapevo che era solo ciò che immaginavo, ma in realtà speravo di trovare qualcosa di diverso.”
“Meno male, non devo cambiare lo studio (rido)”
Ridendo aggiunge: “Immagino vuole sapere perché ho chiesto un appuntamento”
“Sono molto curioso..”
“Al momento non ho nessun problema in particolare. Diciamo che di problemi ne ho avuti, forse anche tanti, ma in passato. Adesso sento invece il bisogno di approfondire la mia conoscenza. Voglio sapere più di me stesso. Vorrei che lei mi aiutasse a capire come sono, perché sono io e se posso migliorarmi”
Quello fu l’inizio di un percorso di psicoterapia molto bello e affascinante.
Quella relazione psicoterapeutica coglieva il senso più intimo e primitivo della meta e dell’obiettivo di una psicoterapia.
Esplorare l’umano non è così facile come sembra.
Lo Psicologo e lo Psicoterapeuta, in tal senso, sono “guide esperte” e “addestrate”, consapevoli dei rischi e dei pericoli spesso invisibili o addirittura ignorati da chi si propone e si “atteggia” a mentore e improbabile “esperto di cose”.
Un giorno arrivarono allo studio un ragazzo e sua madre. Il ragazzo aveva poco più di 20 anni, la madre molto giovanile, sicura e eccessivamente gioviale, esordisce dicendo:
“Dottore piacere, lui è mio figlio T. . Finalmente! Non vedevo l’ora di venire a questo appuntamento.“
“Il piacere è mio signora, come mai era così ansiosa di vedermi?”
“Non lo vede?”
“Cosa devo vedere?”
“Mio figlio.. lo vede? (lo indica con lo sguardo, mentre il figlio si mostra annoiato e contrariato, abbassando lo sguardo e sbuffando) “Lo vede !? E questo è ? Sta sempre così.. dorme, mangia e gioca con la playstation. Non esce, non vuole cercarsi un lavoro, è fermo a casa da due anni, da dopo il diploma. Non parla, mugugna.. poi è sfaticato! Ma cosa gli manca? Ha tutto quello che vuole, sono sempre presente. Non lo so, non esce, eppure ce li ha gli amici. Pensate che teneva pure una fidanzata.. era accussì bellell..“
“Questo è quello che vede lei di suo figlio.. io vedo qualcos’altro. T. tu ti vedi come ti vede tua madre?”
Impariamo a conoscerci abbastanza per poterci definire e non permettiamo agli altri di farci definire per come vogliono vederci.
“La psicoterapia ha luogo là dove si sovrappongono due aree di gioco, quella del paziente e quella del terapeuta. La psicoterapia ha a che fare con due persone che giocano insieme.”
Donald Winnicott
La Psicoterapia è un gioco di relazioni, di parole, di emozioni. Un gioco molto serio.
“Dottore ho un peso sullo sterno, sento di non riuscire a respirare profondamente, ma non ho niente ho parlato con il mio medico curante e con il medico a lavoro. Non so che sta succedendo. Non ce la faccio più. Ho una bella famiglia, un lavoro decente, non ho problemi economici, ma ho un angoscia costante che mi accompagna tutti i giorni da qualche mese ormai. Sono spento, sempre con la testa tra le nuvole, nervoso e stanco.. sono stanco, stanco perché ho troppi pensieri che mi ossessionano la mente. Sono stanco dottore, ma non so perché.. “
“Mi ha detto che ci sono dei pensieri che la “ossessionano”. Cosa pensa? Cosa le torna in mente? Sembra così potente da prendere il sopravvento su tutto il resto.”
” Ehm.. non credo sia importante, non è nulla di che, però ci penso sempre. Dottore io ho un segreto.. mi è successa…
Chi è depresso spesso è incapace di provare emozioni; comprende che queste esistano negli altri, le accetta, ma non capisce perché gli altri facciano difficoltà a comprendere lui. Lo stato “soporifero” indotto dall’apatia, rende quasi del tutto incapaci di empatia. L’apatia e l’incapacità a desiderare, diventano ostacoli troppo difficili da superare in solitudine e senza l’aiuto di qualcuno.
In una intervista su Fanpage, in cui presenta il suo nuovo album, il noto artista napoletano Nino d’Angelo fa un passaggio molto interessante sulla depressione (una patologia molto diffusa e purtroppo in aumento) e sull’importanza della Psicoterapia e quindi della Psicologia per superare la malattia.
“La depressione bisogna farla capire alla gente, è una malattia patologica. Non si cura così, da sola, bisogna andare dallo psicologo e farsi curare. Tu puoi essere pure il più grande cantante, la depressione prende anche quelli che vivono bene e hanno i soldi. Noi siamo arrivati alla depressione perché abbiamo perso dalle tasche il desiderio: se non desideriamo, ci dobbiamo deprimere per forza. La vita bella è desiderare, quando ti manca il desiderio non sei niente.”
Nino d’Angelo – tratto dall’intervista su MusicFanpage.it – (25 ottobre 2021)
Nino d’Angelo – foto web (La_Presse)
La vita psichica mantiene in vita il corpo e lo sfama; il desiderio è vita psichica.