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Di Mascher(in)a in mascher(in)a: il volto che ritorna.

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Qualche giorno fa, l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna, attraverso la sua consigliera la psicologa psicoterapeuta Giulia Cavallari, ha cominciato a dirigere l’attenzione su una questione che fin dallo scoppio della pandemia aveva attirato la mia attenzione (e l’ira di qualcuno).

Mesi fa, portavo all’attenzione e alla riflessione del lettore, la questione della mascherina sul volto: la barriera (necessaria) che ormai si adagia sul nostro volto, fino a fondersi con esso (l’ipotesi di portare il dispositivo di sicurezza sul volto per pochi mesi, è infatti diventata lentamente certezza che per qualche anno, la mascherina sarebbe rimasta sul nostro viso).

Da professionista che guarda all’umano e all’attuale, mi sono subito chiesta cosa potesse accadere nella percezione del mondo e dell’estraneo/straniero, specie nei più piccoli, in quelli – nuovi nati- che si trovavano ad interagire per la prima volta, con l’altro.

La Cavallari evidenzia come (nonostante la fiducia nella capacità di adattamento dell’essere umano), alcuni potrebbero vivere dei momenti di disagio dovuti alla transizione e alla sensazione di essere scoperti in volto “come quando alla fine dell’inverno si tolgono i capi più pesanti e alcune parti del corpo iniziano ad essere più in mostra”.

Ciò che i colleghi dell’Emilia Romagna evidenziano è la possibilità di poter sviluppare (o intensificare, se già precedentemente sofferenti), ansia sociale; non è infatti inusuale vedere persone sole nella propria auto, chiusi dentro completamente bardati, sigillati, con tanto di mascherina sul volto.

Sembrano infatti aumentate le richieste di supporto psicologico dovute a fenomeni di ansia, panico o irritabilità generalizzata.

Sempre la consigliera dell’Ordine dell’Emilia Romagna, evidenzia proprio il punto che mi sta più a cuore: quello dei più piccoli.

Ricordo di essermi abbandonata a riflessioni molto profonde e piuttosto malinconiche quando, con un nipote nato in piena pandemia, mi sono resa conto che il bambino, fin dalla nascita, si è trovato immerso in un mondo di maschere.. Maschere tutte uguali, per niente incisive, magari bianche; maschere che coprivano celando ogni minima espressione.

I bambini non hanno potuto toccarci in volto; non hanno potuto osservare il giocattolo più bello, plastico, colorato ed emozionale che hanno a disposizione: il volto umano.

Quando mesi fa ho mosso queste piccole riflessioni, sono stata accusata (come ormai è prassi), di inviare messaggi errati.

Il mio lavoro di prevenzione del benessere psicologico mi impone di procedere con l’attività di prevenzione, diagnosi, abilitazione e riabilitazione per la persona, il gruppo, gli organismi sociali e la comunità, ergo.. non potevo non preoccuparmi della questione maschera sulla maschera.

Ho pensato, abbandonandomi all’ironia, che forse chi accusava me (o colleghi) di qualcosa.. altro non stesse facendo che proiettare la propria fragilità dovuta ad un uso massiccio di maschere (e non quella che ci salva dalla diffusione del covid).. ma questa.. è altra storia..

Per concludere i colleghi dell’Emilia Romagna (e anche qui, condivido in pieno), sostengono l’importanza di non forzarsi verso scelte nette, cercando di vivere per forza la vita “come prima”.

In caso di eccessiva ansia è bene ricorrere precocemente al supporto di un esperto psicologo psicoterapeuta; nel frattempo è inutile sforzarsi di uscire troppo se non ci si sente sicuri, così come.. se lo si ritiene opportuno va bene tenere la mascherina anche se le norme vigenti non obbligano più a tenerla in volto (da lunedì 28 giugno), all’aperto.

Per quanto concerne i bambini poi, cerchiamo di aumentare tutte quelle attività a contatto (diretto o meno) che stimolino molto anche la comunicazione non verbale, la mimica degli occhi, il gesto e il tono della voce.

Creiamo un clima caldo e accogliente cercando di non sovrapporre troppe maschere.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

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Chi è il pazzo?

“La domanda che a volte mi lascia confuso è: sono pazzo io o sono pazzi gli altri?”

Albert Einstein
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Chi è il pazzo?

dott. Gennaro Rinaldi

LO SAPEVO GIA’! A CHE SERVE LA PSICOLOGIA?

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Lo so da sempre: la psicologia è semplice senso comune o c’è qualcosa in più?

E’ spesso capitato – da chi scrive o dai suoi colleghi- di leggere o sentire provenire dall’opinione comune, tutta una serie di “idee” in merito ad alcune ricerche o studi condotti dall’ambiente “psy”. La maggior parte dei luoghi comuni si divide tra chi immagina che gli psicologi siano essi stessi i primi ad aver bisogno di una terapia “sicuramente quel dottore è pazzo!” e tra chi suppone che in tutti gli esperimenti condotti, venga fatto uso delle scosse elettriche (che sadici questi psy!). La carrellata di idee, supposizioni e affermazione su questa bizzarra figura che è lo psicologo ahimè, non terminano qui. Un’altra delle ipotesi -per meglio dire bias- che colpisce il senso comune, risiede invece nel pensare che la maggior parte dei fenomeni studiati e indagati, fossero già noti… in sostanza: “lo sapevo già! non c’era mica bisogno della psicologia per sapere ciò!”.

C’è da dire che gran parte dei processi studiati in particolare dalla psicologia sociale sono presenti nella quotidianità delle persone. Il legame con qualcosa di così concreto e vicino alla quotidianità, potrebbe trarre in inganno tanto da far supporre che gli studi condotti, siano in realtà densi di banalità. Questi atteggiamenti che- badate bene- potrebbero essere interpretati come una sorta di difesa o fantasia messa in atto, traggono spunto un pò da quella che è la storia circa l’indagine “dell’animo umano”. In sostanza già nel corso dei secoli, poeti o filosofi hanno provato a definire e descrivere l’essere umano incorrendo, nel tempo, in una sorta di bias che vede “l’uomo” come qualcosa di facilmente e rigidamente etichettabile in una qualche categoria sia essa umana, diagnostica e così via.

Il problema è che già strizzando l’occhio all’etimologia della parola psicologia, scopriamo che la psiche è tutto fuorché “qualcosa” di etichettabile. Psiche significa infatti “soffio vitale” e presso i Greci designava l’anima che in origine veniva identificata con quel respiro. Nella psicologia moderna invece, specie in quella che è la psicologia sociale, si parla maggiormente dello studio scientifico, pertanto di come le persone e i gruppi percepiscono e pensano gli altri, li influenzano e vi si pongono in relazione.

Le difese messe in atto (il lettore mi perdonerà, ma da psicologa non posso non interpretare la chiusura che spesso vedo verso la mia professione, come una meccanismo di difesa) si allacciano con uno dei fenomeni indagati proprio dalla psicologia sociale.

Il filosofo Kierkegaard sostenne che “la vita è prima vissuta e dopo compresa” ed è un pò quello che accade dopo che alcune ricerche vengono diffuse. Si tratta di ciò che prende il nome di “bias della retrospezione” o “fenomeno dell’io lo so da sempre” ovvero la tendenza ad esagerare, dopo che si è verificato un evento, la propria abilità nell’averlo previsto come qualcosa che si sarebbe verificato. Questo fenomeno può avere effetti sorprendentemente nefasti. Siccome le conseguenze degli eventi sembrano spesso predicibili, spesso si commettono errori di comprensione, interpretazione, presa di decisione e scelta del comportamento da mettere in atto.

Ammetto di essermi un pò lasciata andare, e di aver provato a scherzare con il lettore irritando (probabilmente) qualche collega, ma senza rischi e senza tentativi, nella vita si resterebbe statici, fermi su se stessi.

Ecco.. questo è un pò quello che succede nel momento in cui si decide di procedere con un percorso di supporto psicologico o con una psicoterapia. Si sceglie.. si sceglie di non restare più fermi su se stessi e magari.. nonostante il perdurare di iniziali difficoltà o resistenze messe in atto, si decide di rischiare e provare. La passione che continuo a sentire per questo lavoro risiede un pò in tutto questo, nella possibilità offerta dalla psicologia di modificarsi scegliendo se restare se stessi o cambiare forma; nella possibilità di sperimentarsi e sperimentare.

https://ilpensierononlineare.com/2018/09/16/nelle-stanze-della-psicologia-a-colloquio-con-lo-psicologo/

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio.