“Non sono mai “io” che decido il “mio” desiderio, ma è il desiderio che decide di me, che mi ustiona, mi sconvolge, mi rapisce, mi entusiasma, mi inquieta, mi anima, mi strazia, mi potenzia, mi porta via.”
Massimo Recalcati
Quante volte abbiamo dovuto rinunciare ad un desiderio barattando un po’ della nostra possibilità di raggiungerlo per un po’ di sicurezza?
Quante volte abbiamo ceduto al desiderio e ci siamo fatti rapire dalla “Passione” che ci spingeva a soddisfarlo?
In questa tappa del nostro viaggio ritorneremo a viaggiare nelle intricate maglie delle relazioni umane ed in particolare ci soffermeremo sulla relazione genitore figlio e su uno dei mestieri più complessi: il mestiere del genitore.
Molto interessanti saranno i riferimenti al pensiero di Massimo Recalcati a riguardo.
Buon ascolto..
Genitori e figli – Uno sguardo alla genitorialità attraverso il pensiero di Recalcati – In viaggio con la Psicologia – Spreaker PODCAST
“Dottore ho la sensazione che le mie parole non abbiano suono, che siano mute, trasparenti.. i miei genitori, praticamente da sempre, mi parlano addosso. Ho la sensazione che non mi ascoltino. Quando ero più piccolo facevo un sogno ricorrente: ero a casa, nella mia stanza, mi sentivo in pericolo, ero in pericolo, urlavo. I miei genitori accorrevano subito e aperta la porta della mia camera mi guardavano, fermi sull’uscio della porta. Chiedevo aiuto, spiegavo concitato la mia paura, volevo che mi aiutassero, che venissero da me. Non mi capivano, non mi ascoltavano, spegnevano la luce e chiudevano la porta. Il buio mi terrorizzava e puntualmente mi svegliavo”
Le parole prendono senso solo quando valorizzate dall’ascolto. L’ascolto presuppone la comprensione. Se ascolto e comprendo posso accogliere il senso delle parole dell’altro e posso riconoscerle. L’ascolto è anche accoglienza. L’ascolto riconosce la parola dell’altro e la valorizza ricoprendola di significato.
Quando non c’è ascolto si svalorizza il significato della parola dell’Altro. Si crea un vuoto di significato che genera ferite profonde in chi vuole essere ascoltato.
“Aprire vuoti nelle teste, aprire buchi nel discorso già costituito, fare spazio, aprire le finestre, le porte, gli occhi, le orecchie, il corpo, aprire mondi, aprire aperture impensate prima.”
Aprirsi alle nuove opportunità, aprire varchi di possibilità, spazi e strade da percorrere. Varcare i confini e scoprire nuovi “mondi”. Muoversi, conoscere, arricchirsi..
“L’odio è una forma di violenza senza conflitto, perché nel conflitto esiste una dialettica possibile. Il conflitto organizza, per certi versi, la violenza in modo simbolico. Nel nostro tempo, invece, siamo di fronte alla violenza senza conflitto.”
Potremmo definire l’odio come una decisa ostilità accompagnata da un senso di ripugnanza, rifiuto e desiderio di nuocere.
Secondo Freud l’odio come relazione dei confronti di un “oggetto”, è più antico dell’amore e scaturisce da un rifiuto primordiale che l’Io narcisistico oppone al mondo esterno che può essere una sorgente di stimoli non graditi.
L’odio nasce essenzialmente da sensazioni primordiali, poco mentalizzate, spesso derivanti da stimoli esterni percepiti come pericolosi. L’odio spesso e volentieri non è pensato ed è frutto di ignoranza e incoscienza. Quello che Recalcati definisce come odio senza conflitto.
L’odio potrebbe aver senso solo in risposta ad un pericolo reale e imminente, ma come dice Recalcati viene poi veicolato e trasformato in conflitto, perché acquista un senso ed è simbolizzato.
La vita umana ha la necessità di incontrare le mani nude di una madre, “le mani che salvano dal precipizio dell’insensatezza” *.
“Le cure materne, diversamente da quello che accade in ogni ambito della nostra vita individuale e collettiva, non sono mai anonime, generiche, protocollari, standard; non si dirà mai abbastanza dell’importanza della cura materna che non è mai cura della vita in generale, ma sempre e solo cura di una vita particolare. “
Il ruolo della madre è in continua evoluzione e rincorre i tempi della iper-modernità. Le cure materne sembrano quasi entrare in contrasto con la velocità “maniacale del (nostro) tempo“. Ma la cura materna, come dice Recalcati, non si misura con il numero delle ore dedicate ad i figli, ma piuttosto con la presenza della parola e del desiderio; “la presenza senza parola e senza desiderio può essere ben più deleteria di un’assenza che magari sa anche donare (poche) parole ma giuste” *. Quello che sembra essere insostituibile ed estremamente necessario, nel discorso della cura materna, è la testimonianza che può esistere “una cura che ami il particolare più particolare del soggetto” *.
“Solo se lo sguardo della madre non si concentra a senso unico sull’esistenza del figlio la maternità può realizzare appieno la sua funzione”
“Quello che accumuna tutte le storie d’amore è il sentimento dell’impossibile. Noi non possiamo fonderci con chi amiamo, non possiamo mai fare uno, siamo sempre esposti alla libertà dell’Altro. L’amore non è coincidenza, empatia, unificazione, identificazione, assimilazione. E’ il contrario. E qui il suo tormento, ma anche la sua bellezza.”
Massimo Recalcati
Immagine Personale – Forio – Isola d’Ischia
Il sentimento dell’impossibile può, attraverso un’ alchimia, essere possibile.
Dottoressa Buongiorno. Ho incontrato questa donna: è la persona giusta nel momento sbagliato. Sono sposato da 11 anni con la fidanzata della vita; la donna che è sempre stata al mio fianco ma qualcosa non va. Non so spiegare il motivo del mio malessere, il mio sconforto, il mio dolore, i miei pensieri. Sono qui perchè ho bisogno di verbalizzare questa sofferenza che mi porto dietro. Sono legato a mia moglie, non so più se la amo sono onesto. Ho incontrato “lei” all’improvviso.. è stato impatto puro, un boom improvviso.. na botta di quelle che non scordi. Avevo dimenticato il piacere di desiderare di sapere qualcosa di qualcuno; il piacere di leggere un messaggio al mattino, l’attesa.. la speranza.. la curiosità di conoscere un mondo intero. E’ bella, bellissima.. ma non è neanche quello il discorso (che comunque io ne sia attratto non lo nascondo) è proprio che lei è un mondo intero.. un fascino che io subisco a cui non so dire no. Mia moglie ha una storia complessa e difficile, le ho chiesto di venire con me in terapia per capire tante cose di noi. Anche lei ha un lavoro importante come il mio, siamo sempre più estranei ed io ho bisogno di capire che fine ho fatto prima io, come uomo… Non so più chi sono. Se penso al nostro matrimonio esce fuori sempre e solo lei, i suoi problemi, i suoi disagi.. la depressione.. Io mi sento perso. Non so più – a momenti- nemmeno perchè mi sono sposato e questa cosa mi fa stare male. Non dovevamo amarci per sempre?
F., chiede un incontro per capire come muoversi in seguito ai suoi problemi coniugali. Di solito è la donna a fare richiesta per i primi incontri di consultazione per cui quando la richiesta arriva da un uomo, l’interesse clinico è sempre un pò più alto.
F., un affascinante uomo di 46 anni, arriva presso lo studio presentandosi in anticipo rispetto all’ora stabilita. Il presentarsi con largo anticipo – nonostante le normative vigenti che impediscono di sostare negli ambienti- già fa comprendere l’enorme desiderio di F., di avere un confronto il prima possibile. Appare pacato ma dentro di sé, qualcosa si muove senza sosta.
F., entra e si siede. Non mostra movimenti “nervosi”, ma sembra molto tranquillo e a suo agio; dà in sostanza la sensazione di sapere dove si trovi e cosa si aspetta da questa situazione.
E’ venuto da solo, anche se spera di convincere la moglie a venire prossimamente (cosa che accadrà, ma non prima della quarta seduta) per dirsi in un terreno libero dal pregiudizio; uno spazio neutro in cui tutti possono dire tutto senza urlare a vuoto o piangere per notti intere; uno spazio in cui ognuno può abbandonare le proprie maschere ed essere l’attore protagonista della propria vita: non più solo una comparsa.
F. racconta dell’incontro improvviso con questa ragazza, incontro della donna perfetta per lui, una perfezione che lo spaventa e al contempo lo tiene vivo.
Nel racconto della propria storia coniugale emerge un piccolo particolare, è come se la storia che F, racconta, non sia la sua.. c’è una sorta di separazione tra ciò che viene detto e ciò che lui prova. Quando la moglie raggiungerà il marito in terapia, l’idea di partenza sarà sempre più chiara: i due non hanno una storia comune.
La coppia è sposata da 11 anni e fidanzata da sempre; condividono una vita intera fin da ragazzini, hanno fatto esperienze.. eppure i racconti sono vuoti.
Una coppia senza storia.
Quando capitano coppie incapaci di raccontarsi, incapaci di dirsi nonostante tutti gli anni trascorsi insieme il dubbio sul reale motivo della condivisione del tempo che è stato insieme, emerge con forza e prepotenza rischiando di distruggere come una potente onda tutto quel che c’è intorno. Molte coppie per paura decidono di bloccare la falla ormai aperta usando un qualsiasi materiale a disposizione e accontentandosi di aver riparato quella falla (seppur in modo balordo), si stampano un sorrisone e vanno via.
Altre coppie si distruggono, decidendo di diventare macerie in cui però, poi, uno diventa pala per l’altro e con questa pala, a turno, ci si aiuta sfruttando quel mucchietto di macerie che sarà riconvertito in sabbia, cemento per nuovi mattoni con cui costruire un nuovo e saldo edificio.
Ci sono poi le coppie che si dicono addio; quelle in cui non c’è materiale, pala, colla o altro che possa aiutare a tenere insieme un edificio che non è mai esistito, se non nella fantasia di uno dei due (o entrambi).
Cos’è che tiene insieme le coppie, allora.. o meglio.. cosa potrebbe tenere insieme una coppia (no, non è una domanda a cui pretendo di dare una risposta, ma un riflessione che spesso facciamo in studio, tra colleghi dopo che abbiamo visto una coppia e ultimamente, ne vediamo sempre più…).
Cos’è la storia di una coppia? Chiedere ad una coppia di raccontare la sua storia, è qualcosa di troppo romantico/romanzato? Possibile, ma l’amore porta ab origine il marchio del romanzo… il romanzo di quella che “dovrebbe” essere la storia della coppia e -pertanto – la storia familiare dei partecipanti in gioco (famiglia d’origine e futura famiglia costruita sulla base di tutta una serie di narrazioni che si incroceranno, lungo il cammino).
Come in ogni storia ci sono gli antagonisti, i protagonisti, le difficoltà, le stagioni, le peripezie e le varie pozioni da poter utilizzare. C’è il coraggio, il cavaliere (nero o bianco), il principe o una principessa che si riscoprono poi non così affini come la narrazione vuole.
C’è la resilienza, il comprendere che la storia che -non- abbiamo scritto ci modifica, ci fa resistere e trasformare diventando linfa per una nuova pianta che ha gettato una piccola talea altrove, pronta a germogliare in una nuova primavera.
C’è la speranza, la sorpresa di scoprirsi diversi, di capire che la storia che stavamo scrivendo ha un lieto fine che però, non ci appartiene.
C’è la delusione per rendersi conto che si stava combattendo da soli, come Don Chisciotte e che i mulini a vento erano solo sfide personali.. e come il cavaliere furioso, occorre dirigerci sulla luna per recuperare il senno.
C’è lo sconforto. C’è la paura.
C’è una piccola luce in lontananza: luce di speranza e passione. Luce che puoi decidere di spegnere definitivamente o di rimpinguare gettando legna inizialmente un pò a caso, per vedere che succede poi in maniera sempre più forte e vigorosa.
Ci saranno incendi. Vampate di calore incessante e forte.
Sarà tempo per riprendere la propria storia integrando tutti i nuovi personaggi e lasciando quelli vecchi in un altro capitolo; un capitolo di cui avremo compreso la morale e che sarà chiuso.
Sarà tempo per il tempo, quello nostro, quello personale.. quello in cui non ci sarà più spazio per la persona giusta al momento sbagliato.. ma sarà il tempo per la persona e il momento giusto.