“Torna oggi, mercoledi 25 maggio alle 18,30, la diretta di Pallone & Psiche.
Tanti ma veramente tanti gli argomenti che tratteremo in compagnia dei dottori psicologi (e amici) Giusy Di Maio & Gennaro Rinaldi del bellissimo blog di Psicologia Il Pensiero Non Lineare.
Il programma andra’ in onda in diretta streaming e “on demand” sui canali Facebook (clicca qui), YouTube (clicca qui) e Twitch (clicca qui e cerca ciucciomaglianapoli) de Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli.
Potrete interagire con noi inviandoci i vostri commenti.”
Il sogno più dolce, pare essere più vivido, colorato e pieno di luce.. l’urlo liberatorio all’ultimo minuto, poi quella luce negli occhi di Fabian, di Insigne, di Elmas, di Spalletti..
Quella corsa sotto la curva, l’esplosione di gioia mista a rivalsa e a rabbia, per dei risultati che non raccontavano la verità di motivazioni e obiettivi di una squadra vittima solo della sfortuna e dei blocchi mentali legati ad un’autostima decrescente.
Spalletti negli ultimi interventi ha usato parole dirette e precise, nei confronti dei propri ragazzi, del gruppo. Ha preso posizione in pubblico, proteggendo il gruppo dagli attacchi esterni. Ma, ancora più importante, ha lanciato un messaggio preciso alla sua squadra, che più o meno è stato questo: “ Voi avete grandissime risorse e potenzialità, siete più di quanto gli altri hanno visto. Io credo in voi e credo nell’obiettivo più grande. Sono qui con voi e non vi lascerò da soli. Siamo forti!”
Per allenare e motivare gli atleti, gli allenatori d’esperienza e con mentalità vincente, adottano un approccio che favorisce le relazioni e incita i singoli calciatori all’autonomia. Ciò che davvero conta è il tipo di rapporto che il mister costruisce con i propri calciatori
Spalletti allenatore del Napoli – immagine google
La filosofia dell’allenatore “sergente di ferro” ha miseramente fallito con la scorsa gestione tecnica. Anche le ultime ricerche in Psicologia dello Sport hanno confermato che l’approccio più “vincente” è basato suo uno stile di coaching basato su un rapporto diretto con i calciatori e sull’ascolto.
Nel professionismo ad alto livello funziona meglio attingere alle dinamiche psicologiche delle interazioni sociali e alle motivazioni personali.
Secondo la teoria dell’autodeterminazione di L. Deci e M. Ryan (1985), gran parte del nostro comportamento è guidato da motivazioni interiori e non da spinte esterne. Inoltre, in base a diverse ricerche effettuate i due autori hanno potuto identificare tre requisiti: competenza, relazione e autonomia, che portano all’autodeterminazione e sono essenziali per il benessere psicologico degli atleti.
In poche parole i giocatori migliorano la propria competenza costantemente grazie alle capacità e all’esperienza dell’allenatore. Se l’atleta ha la sensazione di non poter imparare qualcosa dal coach, la relazione tra lui e il coach non funziona.
Il lavoro dell’allenatore vincente passa anche dalla relazione, gran arte del suo lavoro, infatti, consiste nel sviluppare dei rapporti e nel potenziare le motivazioni intrinseche. Il segreto è concentrarsi sugli aspetti positivi del gruppo e sulla costruzione dei rapporti interni, il motto dovrà essere “cura della relazione”.
Un ottimo allenatore, rivolgendosi alla propria squadra, dice sempre qualcosa di positivo.
Le persone hanno bisogno di sapere che sei dalla loro parte, prima di accettare quello che hai da dire.
Infine, bisogna che l’allenatore sostenga l’autonomia dei propri giocatori. È importante che i giocatori si sentano sostenuti, autonomi e responsabilizzati nelle proprie scelte di campo, sempre con il supporto del proprio mister che li incoraggia, suggerisce e indica soluzioni possibili.
Insomma, il nuovo corso di Spalletti, assomiglia tanto ad un corso potenzialmente fruttuoso, nonostante le innumerevoli difficoltà che abbiamo vissuto.
Quindi pazienza.. mettiamoci passione e supportiamo la squadra!
Gennaro Rinaldi, Psicologo Psicoterapeuta – Giusy Di Maio, Psicologa Clinica
“Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”
Eccoci con il nostro appuntamento con la rubrica Pallone & Psiche, rubrica in collaborazione con Giulio Ceraldi (https://ciucciomaglianapoli.com/ )
Lo stadio è quasi vuoto. Bucato. Immagina: hai tutti I riflettori puntanti addosso, sudi.. cerchi di mantenere il ritmo del respiro costante… Il cuore fa “bum..bum..bum..” sei lì.. con un piede ancora fuori e uno quasi sul rettangolo verde che profuma di sfida.
Alzi lo sguardo, giri il volto e nulla (o quasi): gli spalti sono “bucati”.
Il pubblico è -quasi- assente.
Cosa sta succedendo? Con il termine mancanza si indica qualcosa che non c’è, qualcosa di negativo; si indica al contempo qualcosa che -certo non c’è- ma potrebbe esserci. Questo spazio di mancanza, in termini psicologici, può essere colmato soltanto dal desiderio.
La mancanza permette -in sostanza- la nascita del desiderio.
Che c’entra quanto detto con il nostro rettangolo verde dei desideri, della sfida, dei sogni?
Il momento storico che stiamo vivendo è molto complesso; tale complessità affonda le sue radici in qualcosa che era presente già prima della pandemia. Lo stesso calo degli spettatori allo stadio, era materia già nota.
Le scuse (che poi mica sono tanto tali.. Mezzi di trasporto inefficienti/insufficienti vi dice niente?) per giustificare l’assenza dagli spalti del desiderio, si sono sempre sprecate.
A tutti sarà capitato di buttare qualche parola poco elegante quando era ammassato nella metropolitana per andare allo stadio, quando era in fila ai mille controllo ai tornelli, quando aveva la borsa tastata per scoprirne all’interno strani contenuti…
Però -siamo onesti- quando vedevamo quel verde brillante (che nessuna televisione ipertecnologica può rendere al 100%) del rettangolo, misto all’odore dello sport, le magliette dei calciatori, la cazzimma nello sguardo dell’atleta, il tifo di chi ti è vicino, ma quanto ci dimenticavamo di tutto il resto?
Sembra un po’ la descrizione che fanno le donne di certi parti: tanta sofferenza per arrivare a un momento di estremo godimento e gioia: la nascita.
Ed è qui, allora, che forse nasce un tifoso vero.
Nasce nel contatto, nella presenza e nella vicinanza alla sua squadra.
Nasce -forse- un tifoso nell’attestazione del suo desiderio, nel riprendersi quello spazio che si deve e che deve; uno spazio lì, a seguito della sua squadra di cui lui ha bisogno per sognare e di cui lei, la squadra, ha bisogno per lottare, per spingere, per esserci.
Perchè se come diceva lo psicoanalista francese Jacques Lacan, Il desiderio emerge in relazione al desiderio dell’Altro, il desiderio di quel riconoscimento che ci fa dire “io ci sono”, allora il tifoso e la squadra hanno bisogno di quel reciproco riconoscimento che li attesta come presenza in quel registro del reale (e non più dell’immaginario o del simbolico), dove si poteva solo -forse- immaginare.
I tifosi (e la squadra) hanno bisogno di presenza.
La presenza..
Si.. la presenza..
Esserci, significa diventare protagonisti dell’evento che si vive; significa prendersi la responsabilità della presenza e dell’essere in qualche modo attori attivi dell’evento che viviamo.
La presenza implica invece, in chi è attore agonista protagonista dello spettacolo sportivo, la responsabilità delle proprie azioni sportive.
Probabilmente è un retaggio antico, legato alle prime relazioni conosciute, quei legami affettivi con i nostri genitori, con la nostra famiglia d’origine.
Noi ricerchiamo sin dall’infanzia legami autentici e relazioni rassicuranti. Guardiamo ad essi come riferimenti e li utilizziamo per crescere. In tal senso l’aspetto cognitivo ed emotivo legato alle rassicurazioni, al senso di protezione, alla motivazione, all’autostima, al riconoscimento, alle gratificazioni è quello che più ricerchiamo negli altri; come facevamo da piccoli.
I tifosi con la loro presenza, rappresentano in qualche modo quei legami originari: rappresentano una sorta di famiglia adottiva allargata, che ama e vuole bene i suoi figli; che li supporta, che li coccola, che li incita, ma che allo stesso tempo può giudicarli e a volte punirli.
Allora perché i tifosi (famiglia adottiva dei calciatori) sembra si siano disamorati dei propri figli adottivi?
“L’assenza” di un genitore, nei riguardi dei propri figli, è spesso legata a conflitti emozionali interiori, spesso profondi e complessi, così intensi e dolorosi che sovvertono quel sentimento d’amore per i propri “figli”, fino a farlo diventare indifferenza.
L’amore e la passione sono sentimenti forti e implicano un grande investimento energetico. Freud le chiamerebbe pulsioni di vita. Ma per investire sul proprio oggetto amore, bisogna necessariamente dare in pegno qualcosa di sé.
“Chi ama diventa umile. Coloro che amano hanno, per così dire, dato in pegno una parte del loro narcisismo.”
(Sigmund Freud)
Giusy Di Maio, Psicologa Clinica – Gennaro Rinaldi, Psicologo Psicoterapeuta
“Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”