
Mi ricordo di quando all’Università, profondamente colpita dalla (già nota) professoressa di dinamica, decisi di chiederle la tesi di laurea. Contemporaneamente a tale desiderio (quasi nello stesso lasso di tempo) decisi che “no! non ero in grado di poterle chiedere la tesi, perchè sicuramente avrei fatto una brutta figura!”, pertanto.. rinunciai a malincuore e mi diressi verso un altro professore.
Quante volte nel corso della nostra vita ci troviamo di fronte a sfide, dilemmi o occasioni e proprio noi, ci trasformiamo nel nostro principale nemico.
Questo fenomeno è noto nell’ambito della psicologia sociale con il nome di “autosabotaggio o self-handicapping”.
Buona lettura
p.s- la storia della mia tesi prosegue con una più sicura dottoressa che per la laurea magistrale si diresse con più coraggio – finalmente- dalla professoressa di cui prima. Il lavoro portato avanti è stato denso di soddisfazioni; ma la soddisfazione più grande fu sentirsi dire “si vede che ha tanta passione, lo leggo dal modo in cui scrive e da come ne parla”. Questo porterebbe l’argomento sull’aspetto narcisistico della questione.. ma per questo.. dovrete attendere ancora un pò…
Autosabotaggio come giubbotto di salvataggio.
Spesso accade che le persone tendano a sabotare le proprie opportunità di successo creando impedimenti e ostacoli che rendono meno probabile il raggiungimento di tale successo. Non si tratta di essere autolesionisti o autopunitivi, quanto piuttosto di attuare un comportamento con scopo autoprotettivo.
Quando l’immagine di sè è legata alle prestazioni, può essere più sminuente per il sè impegnarsi a fondo e fallire piuttosto che procrastinare e trovare una scusa. Se si riesce infatti ad avere successo anche in condizioni avverse, il risultato è una sovralimentazione dell’immagine di sè.
Ciò che l’autosabotaggio fa è proteggere sia autostima che immagine pubblica consentendo di attribuire i fallimenti a qualcosa di temporaneo o esterno (avevo mal di testa; ho dormito poco).
Steven Berglas e Edward Jones (1978) condussero un esperimento proprio per analizzare il fenomeno dell’autosabotaggio. Alcuni studenti della Duke University erano stati incaricati di dare delle risposte a delle domande attitudinali. Alla fine dell’esperimento alcuni riuscirono ad indovinare delle risposte a domande molto difficili; a questi studenti fu detto che il loro punteggio era uno dei migliori mai visti.
Successivamente fu offerta, a questi studenti (che si sentivano molto fortunati per quanto accaduto),la possibilità di poter scegliere tra 2 medicinali prima di rispondere ad altre domande. Un medicinale incrementava le prestazioni intellettuali, mentre l’altro le inibiva. La maggior parte degli studenti decise di assumere il medicinale inibente, trovando già pronta una scusa in caso di mancato rendimento.
Secondo i ricercatori le persone hanno diversi modi per incorrere in autosabotaggio:
- riducono la propria preparazione in sita di eventi importanti (come eventi sportivi)
- offrono un vantaggio agli avversari
- mostrano prestazioni scarse all’inizio di un’attività per evitare di creare aspettative troppo alte su di sè
- non affrontano un impegno serio (che coinvolge il proprio sè), sfruttando tutte le risorse di cui dispongono.
E voi.. quanto siete soliti ricorrere a tale meccanismo autoprotettivo?
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio