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Psicopatologia. Il significato del Sintomo

La patologia si crea quando l’equilibrio interno alla persona si rompe. In ognuno di noi, nella nostra storia, crescita, nella strutturazione del Sé, nell’assetto di identità si crea uno stile psicopatologico di base che non è altro che la nostra potenzialità psicopatologica, che determina il nostro sistema difensivo, la modalità con cui si affrontano i conflitti e le situazioni stressogene e di tensione. Fa parte della maschera strutturale della persona ed è il sistema di riferimento automatico che si attiva nell’emergenza conflittuale.

Ad esempio, se prendiamo in considerazione lo stress, che può essere determinato da pressioni esterne che agiscono sull’individuo creando una condizione di necessità, ma anche di impossibilità a fornire una risposta adeguata. Nell’individuo si determina una situazione di tensione conflittuale che comporta manifestazioni di ansia, con la relativa adozione di modalità difensive, che sono patrimonio strutturale dell’assetto di personalità.

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Da questa condizione si può generare il sintomo, che è l’espressione dello stile psicopatologico di base attivato da una pressione esterna o da una condizione interna; è espressione della riorganizzazione funzionale di sistemi ed apparati in situazione di emergenza e di difesa; è la comunicazione esterna del disagio tramite una manifestazione estranea al comportamento della persona.

Nella valutazione clinica psicologica è necessario comprendere la complessità degli elementi che definiscono il sintomo.

Il sintomo può avere due vesti, può essere:

Soggettivo: quando quello che la persona vive e denunzia allo psicologo coincide con ciò che la persona vive come disagio e sofferenza, spesso non coincide col sintomo individuato dallo psicologo.

Oggettivo: quando il sintomo è colto dall’operatore; è importante cogliere la valenza e la peculiarità del sintomo durante la relazione con il paziente e il colloquio clinico.

Il sintomo può essere valutato come segno, segnale o simbolo.

È segno quando si inserisce in un sistema chiuso, in un rapporto di causa – effetto. Dalla manifestazione si può risalire alla causa. Si valuta il segno quando si vanno a definire gli aspetti strutturali della personalità.

È segnale quando svolge una funzione di comunicazione e si inserisce in un sistema aperto. È quel sintomo che si pone come manifestazione indiretta, collegata a situazioni evolutive in fieri o di rischio, è pertanto importante risalire alla concatenazione, all’interno di un sistema per intervenire sulla causa reale e non sulle espressioni di copertura.

È simbolo quando è espressione di un conflitto interno. È importante risalire al perché della scelta del sintomo per risalire poi al suo carattere simbolico, che è da ricercare nella storia personale del soggetto.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Pillole di Psicologia: Abitudine e Habit loop

Per abitudine intendiamo una disposizione insita nel comportamento degli esseri umani; un’attitudine acquisita mediante un’esperienza ripetuta.

Il concetto di Habit loop viene utilizzato in Psicologia per spiegare la circolarità del comportamento legato alle abitudini, sia quelle umane sia quelle animali.

L’ habit loop è stato osservato e poi teorizzato per la prima volta da alcuni ricercatori del MIT (Massachussetts Istitute of Tecnology), alla fine degli anni ’90. Eseguendo alcuni esperimenti sul comportamento dei topi, notarono che i topi imparavano un azione per ottenere del cibo e la ripetevano successivamente, come abitudine, ogni volta che avevano fame. Da questi studi, i ricercatori, riuscirono ad isolare il comportamento suddividendolo in tre fasi.

Il concetto è stato poi esteso ai comportamenti umani e si usa tutt’oggi in psicologia comportamentale, per intervenire sulle cattive abitudini e sulle dipendenze, con protocolli specifici (in particolare fumo e alcolismo).

Secondo questa teoria lo svolgimento delle abitudini (e dei comportamenti più o meno rituali ad esso legati) avvengono in modo inconscio ed automatico.

L’abitudine, in tal senso, viene così definita come un ciclo che comprende: un segnale, una routine e una gratificazione.

Habit loop

Per segnale si intende una condizione (ambientale, emotiva, personale) che spinge l’organismo ad una ricerca della gratificazione e quindi il cervello a ricercare quella routine che porterà alla gratificazione.

Per routine si intende l’azione in sé, che può essere fisica, mentale (pensiero) o emotiva (modifiche dello stato d’animo).

La gratificazione è invece la ricompensa che rafforza lo svolgersi della routine.

Ad esempio, nel vizio del fumo: il segnale è la necessità del corpo di assumere nicotina o la voglia di godere di quel momento legato al piacere di fumare; la routine consiste nell’atto del fumare; la gratificazione è, infine, legata al senso di sollievo e relax che la nicotina e l’atto del fumare, arrecano al fumatore.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

La Comunicazione

La comunicazione si può definire come uno scambio di informazioni e significati tra due o più individui, che hanno intenzionalità reciproca nel condividere e costruire un’informazione attraverso dei sistemi simbolici convenzionali di riferimento.

La comunicazione, quindi, nasce dall’interazione e produce significati; è un’attività sociale che caratterizza ogni essere umano e contribuisce a formare e consolidare il nostro senso di identità.

Un primo approccio “matematico” alla comunicazione, quello di Shannon e Weaver (rappresentato nella figura sotto), intendeva la comunicazione come un processo lineare, in cui non è tanto rilevante il contenuto del messaggio, che passa decisamente in secondo piano.

Nello schema di Shannon e Weaver è possibile osservare che un segnale (messaggio) passa dal mittente, attraverso un trasmettitore, al destinatario, attraverso un recettore, lungo un canale fisico (supporto materiale). Il messaggio, in sostanza, deve essere codificato da chi lo emette e decodificato da chi lo riceve.

Modello Comunicazione di Shannon – Weaver – (fonte google)

Il contesto, in cui avviene la comunicazione, in questo modello, gioca un ruolo poco importante. Sono previsti, però, dei “rumori” (fattori di disturbo) lungo il canale, che possono disturbare la trasmissione corretta del messaggio.

Inoltre, bisogna che ci sia un feedback (segnale di ritorno) per segnalare che il messaggio è arrivato a destinazione.

Il difetto di questo modello è che riduce di tanto la complessità della comunicazione umana. Si danno per scontato quelli che sono i processi di interpretazione, l’ambiente, la cultura, il contesto comunicativo e gli eventuali problemi psicologici, di chi comunica.

Non molto tempo dopo, l’approccio relazionale di Paul Watzlawick (1971) descriverà la comunicazione come un processo di interazione tra due o più persone. La vera svolta però sarà il primo assioma della sua “pragmatica della comunicazione“.

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Egli ritiene infatti che non si può non comunicare; in una interazione è impossibile non comunicare nulla. Quindi per comunicare non c’è bisogno dell’intenzione. L’interazione è un sistema aperto che consente la possibilità di perturbazioni della comunicazione.

La comunicazione si basa secondo Watzlawick, su cinque assiomi che descrivono proprietà semplici della comunicazione; tali proprietà hanno fondamentali implicazioni
interpersonali.

  • Non si può non comunicare.
  • Ogni comunicazione ha due livelli: uno di contenuto e uno di relazione, quest’ultimo ha valore metacomunicativo, perché classifica e contestualizza il primo.
  • La natura della relazione dipende dalle punteggiature delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.
  • Gli esseri umani comunicano sia in modalità numerica (digitale) sia in modo analogico (verbale e non-verbale).
  • Gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari.

Per approfondire, ecco due articoli sul primo e secondo assioma della comunicazione.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi