L’autolesionismo è un problema abbastanza diffuso, in particolare tra i giovani. Ha un peso specifico non indifferente nelle vite delle persone che ne soffrono e per le loro famiglie. Potremmo definire l’atto autolesionistico come un atto e un’espressione fisica di un dolore psichico profondo, per lo più celato e difficilmente condivisibile. Buon Ascolto!
Autolesionismo, cutting e self harm – Podcast – In viaggio con la Psicologia
“Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso.”
Mahatma Gandhi
Autolesionismo, cutting e self harm – Podcast – Spotify
Il mondo e il tempo in cui viviamo pare siano in una fase di movimento e cambiamento convulso e disordinato. A trent’anni dalla nascita del word wide web e quindi dalla diffusione di internet, possiamo arrivare probabilmente a comprendere adesso la portata che tale cambiamento tecnologico ha portato nel nostro quotidiano. È oramai abbastanza evidente che tali cambiamenti hanno condizionato e direzionato diversi aspetti della nostra vita.
Potremmo
dire che oggi, quasi tutti, in un modo o nell’altro, viviamo una vita nel real
nel “reale” e una social nel “virtuale” e che spesso queste si intersecano e si
influenzano, a volte generando confusione. Il web e tutti gli “ambienti” e gli
strumenti di fruizione che lo caratterizzano, tendono in un modo o nell’altro e
nel bene e nel male a “simulare la realtà” e ad “amplificare” tutto ciò che
viene esperito.
immagine google
In
questa nuova sezione del nostro blog proverò a soffermarmi, ad analizzare (per
quanto sia possibile e forse in maniera non esaustiva) quelle che sono state le
derive positive e negative, che tale impatto tecnologico ha impresso nelle
nostre modalità psicologiche legate alla comunicazione, alle relazioni, ai
comportamenti e alle emozioni.
Comincerò col parlare di uno dei fenomeni più allarmanti che rappresenta, probabilmente, una delle derive più negative e allarmanti del mondo internet: il cyber bullismo.
Vi invito però a dare un’occhiata anche ai link qui sotto. Sono argomenti trattati precedentemente e che hanno a che fare anch’essi con fenomeni legati al web e alle nuove psicopatologie.
L’autolesionismo (in adolescenza) si potrebbe definire come una forma di aggressività auto diretta atta a “scaricare e svuotare” una sensazione di “pieno” malessere interiore che può essere legato a situazioni personali o interpersonali.
È
un fenomeno comportamentale già ampiamente trattato e discusso in letteratura.
Ha radici ampie e molto profonde nelle persone, nella società, nelle diverse
culture e religioni.
Negli ultimi anni questo comportamento pare abbia assunto connotazioni differenti. Difatti la diffusione delle immagini e dei video degli “atti” di self injury, attraverso la rete e i social, funge da rapido “veicolo contenitore” e da amplificatore, per le nuove generazioni di adolescenti. Questi “luoghi del virtuale” raccolgono l’espressione di una collettività che vuole restare invisibile, ma che cerca la visibilità e che si serve del mezzo virtuale per trovare altri simili e limitare così la solitudine che spesso caratterizza questo comportamento.
L’autolesionismo o “Non Suicidal Self-Injury- NSSI” (come descritto nel DSM V) è un comportamento molto diffuso anche in Italia. Il “cutting” (denominazione anglofona) è la forma di autolesionismo più comune, che si manifesta in giovani dai 12 ai 22 anni in particolare. Consiste nel tagliarsi con lamette, coltelli, pezzi di vetro, chiodi. I dati non sono molti, ma si stima che in Italia siano circa 200.000 i giovani (nel 90% ragazze), che praticano il cutting. Il cutting è la forma di autolesionismo più praticata, ma ne esistono diverse; infatti l’autoferimento (self injurious) indica, più in generale, comportamenti volti al danneggiamento del tessuto corporeo, come tagli o bruciature.
immagine tumbrl
Nella maggior
parte dei casi gli atti di autolesionismo possono svanire con l’età, ma sono
più del 30% i giovani che rischiano il cronicizzarsi. “ Uno studio compiuto su studenti tra
i 13 e i 22 anni di Napoli ha riscontrato che il 42% di questi ha una
precedente storia di comportamento autolesionista ed il 10% riferisce più di 4
episodi nella vita (cit.
CIFRIC) (Cerutti, Manca, Presaghi e Gratz, 2010)”.
Lo
stesso studio, riportato alla popolazione universitaria, stima che circa il 21%
dei partecipanti allo studio ha riferito di aver avuto almeno un episodio di
auto-ferimento. La maggioranza è di sesso femminile e ha iniziato a tagliarsi,
la prima volta, in una età compresa tra i 13 e i 16 anni. In genere, soltanto
il 15% dei minori con questo disagio chiede aiuto.
Negli
ultimi anni, con lo svilupparsi rapido dell’uso delle tecnologie social tra i
giovanissimi, il trend è in forte aumento, a causa anche dell’emulazione
favorita da alcuni social che agevolano inevitabilmente la visibilità del
fenomeno.
Le motivazioni
alla base dei comportamenti di autoferimento, tendono ad essere attribuite dal
self-injurer a cause legate a diverse situazioni e potrebbero essere suddivise
in intrapersonali ed interpersonali. Spesso possono ricorrere a comportamenti autolesivi in
seguito a conflitti con figure importanti e molto significative della propria
vita come familiari, partner o amici.
Quindi le motivazioni potrebbero ricercarsi nella loro difficoltà nel regolare e gestire un certo tipo di emozioni, fermare sensazioni di vuoto, incapacità di reagire a situazioni complesse e stressanti ed altro. Difatti chi si auto ferisce spesso racconta di sentirsi senza speranza e vie d’uscita, oppresso da sensazioni negative. Raccontano, inoltre di sentirsi molto ansiosi e depressi e quindi ricorrono all’autoferimento proprio per provare a gestire questi momenti.
Pare,
infatti, che il gesto dell’autoferimento, riesca in qualche modo a congelare e
fermare queste forti emozioni. Ma la sensazione di “sollievo e benessere” è
molto limitata. L’equilibrio è mantenuto fino alla crisi successiva; pare
insomma che questo tipo di comportamento abbia caratteristiche simili e tipiche
delle dipendenze patologiche.
È quindi necessario comprendere a fondo e
fornire informazioni chiare sui comportamenti autolesionistici, principalmente
sul significato che viene attribuito da chi li mette in atto.
Intervenire in modo preventivo su questo comportamento, potrebbe rivelarsi essenziale, soprattutto nella fascia di età compresa fra i 12 e i 16 anni. Una buona campagna informativa nelle scuole (ad esempio) potrebbe predisporre ad una maggiore sensibilità e comprensione negli adulti (genitori e insegnanti) e nei ragazzi. È importante, infatti, in tali casi, cogliere alcuni segnali caratteristici nei ragazzi che ne soffrono e predisporsi all’ascolto, alla comprensione, all’empatia e cercare quindi un aiuto professionale. Rivolgersi ad uno Psicologo o ad uno Psicoterapeuta è certamente di grande aiuto per le famiglie e per i ragazzi; “cercare di dar sostegno piuttosto che stigmatizzare, inorridire o addirittura schernire o sminuire un comportamento che, per quanto terribile possa apparire, rimane l’unica cosa che dà sollievo al self-injurer” cit. (http://www.sibric.it )