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Vanessa.

Photo by Mike Chai on Pexels.com

La storia che decido di condividere con voi, oggi, appartiene a uno di quei colloqui osservati prima della pandemia. La mia precisazione ha un intento specifico che capirete leggendo la storia di Vanessa. La mia professione, il lavoro con l’umano, usa (per così dire) la talking cure, la cura parlata, ma si basa anche sulla comunicazione non verbale, sull’analogico.

Osserviamo la persona che abbiamo innanzi, le nostre fantasie come clinici (così come anche nel futuro paziente) partono, come Carla Candelori ricorda già dal primissimo contatto telefonico, un contatto con cui inizieranno nella nostra e altrui mente tutta una serie di fantasie che si concretizzeranno (o meno) con il momento dell’incontro sulla porta.

Il covid per noi psy ha significato ridefinire la professione (il mio discorso non è nè di lamentela, né di negazionista né di fautrice della dittatura sanitaria), sto descrivendo il (nuovo) mondo lavorativo della mia categoria. Inizialmente alcuni pazienti (bambini) sono scappati dallo studio vedendoci bardati come palombari (camice, guanti, mascherina, visiera); alcuni colleghi che hanno possibilità hanno messo (a loro spese) separé di plexiglass, così da poter (nel rispetto delle norme igienico-sanitarie) vedere le espressioni del viso del paziente.

Credo che contestualizzare, sapere “dove siamo e cosa stiamo facendo”, sia un punto di partenza sempre doveroso quando ci approcciamo a qualcosa, altrimenti rischiamo di dare inutili giudizi che alimentano polemiche e odio inutile.

La storia di Vanessa.

Un giorno prendo una telefonata in cui una signora piuttosto anoressica nell’eloquio, dice di avere una figlia problematica, disastrosa e ingestibile. La signora riferisce di voler portare la ragazza di 17 anni in studio perchè non ne può più “o si fa aiutare o la sbatto fuori casa!”.

Preso appuntamento nel giorno .. all’ora .. Bussano alla porta.

Ci troviamo davanti una sorta di samurai, si tratta di Vanessa, una ragazza completamente coperta. La ragazza che varca la porta è vistosamente sottopeso, vestita completamente di nero lascia a stento intravedere gli occhi. Vanessa indossa un cappello nero di lana abbassato fin sopra alla nuca, una sciarpa nera che le copre tutto il volto quasi fosse un passamontagna; ha un pantalone nero in tessuto sintetico esageratamente largo, una maglia che le funge da vestito, nera ed enorme; scarpette da ginnastica nere e guanti da cui fuoriescono solo delle sottilissime dita corrose .

Vanessa si siede e ci guarda in maniera fissa, quasi insistente, mentre (a dispetto della bardatura che porta addosso), assume un’espressione quasi di sfida.

La ragazza comincia col dire che è venuta in studio solo perchè la madre (una grande rompipalle) , ha insistito ma che lei odia uscire e farsi vedere, motivo per cui dobbiamo anche muoverci e fare presto!

Vanessa ha un tono della voce così esile che le viene chiesto, se possibile, di provare ad alzare un po’ il tono

(essendo così coperta, di Vanessa non riusciamo a ben comprendere la mimica del volto. Noto le sopracciglia talvolta fisse – quando si tratta di argomenti di cui si sente sicura, come il suo abbigliamento- talvolta corrucciate o spaesate, quando si parla di corpo).

Vanessa si copre completamente da quando aveva 14 anni, dopo il menarca infatti ha cominciato a mangiare sempre meno chiedendosi come fare per arrestare questo improvviso sviluppo del suo corpo, uno sviluppo non richiesto e in cui non si riconosce. Vanessa non ama il suo viso (la giovane sosterrà che anche quando si lava il viso, la mattina, non si guarda allo specchio. Vanessa ha infatti fatto togliere le lampadine della luce dal bagno e dalla camera da letto, e ha oscurato gli specchi).

La ragazza non capisce tutta questa importanza data ai volti e in maniera confusa e al contempo di una linearità disarmante, mostra come il corpo sia un oggetto inutile.

Nei diversi colloqui portati avanti Vanessa sosterrà, inoltre, che ha capito che gli altri hanno più cura di te quando sei triste e quando appari fragile e insicuro “quando le persone vedono che soffri, si preoccupano di te; a nessuno piace la donna sicura perchè dopo deve fare i conti con il carattere e la sicurezza.. Poi c’è il sesso… Invece quando sei piccolo e insicuro tutti si preoccupano, ti chiedono come stai, ti accarezzano, ti manipolano.. come si fa con i bambini piccoli, i bambini piccoli.. loro sì che sono fortunati!”.

Vanessa un giorno entra in studio dicendo di chiudere tutte le finestre e di sbarrare la porta “Dottoressa mi stanno seguendo, sono qui.. lo so, lo so, lo so!” dice urlando con fare sempre più forte; un altro giorno mentre parla dice di sentire odore di putrefazione e il suo eloquio è sempre più disorganizzato e confuso. Vanessa vive nella sua stanza circondata da libri (è in effetti una ragazza molto intelligente e preparata) ma presenta anche abulia e improvvisa alogia (povertà di linguaggio e eloquio).

Con grande fatica, visto anche lo scarso interesse dell’ambiente familiare, riusciamo a sapere che Vanessa è figlia di una stimata professoressa e di un medico piuttosto noto sul territorio. La madre ha avuto una profonda depressione post-partum (curata solo con i farmaci). In seguito a questa depressione la madre di Vanessa non ha mai allacciato una sana relazione con la figlia accusata, in realtà, di essere stata la causa del suo malessere. Vanessa sembra essere cresciuta in un ambiente affettivo deprivante, senza il calore genitoriale; senza un caregiver capace di contenere le paure della ragazza lasciandola invece sola a dover fare i conti con il mondo terrorizzante e terrorifico, preda dell’angoscia del corpo in frantumi. Vanessa ha vissuto la paura di essere fagocitata; la paura di un seno che invece di essere alternativamente buono e cattivo è rimasto solo cattivo, diventando vittima dell’angoscia di persecuzione.

Vanessa presenta i tre sintomi positivi della schizofrenia oltre ad alcuni negativi, sembrerebbe pertanto che la ragazza stia vivendo un esordio schizofrenico; in realtà il lavoro sarà molto lungo e complesso orientato inoltre alla diagnosi differenziale del continuum disturbo schizoide- schizotipico- schizofrenia.

Il supporto e la psicoterapia saranno orientati a far prendere gradatamente Vanessa, coscienza del suo (non evanescente) corpo; un corpo che lei sente come essere quello di una bambina piccola e bisognosa di cure. Durante la terapia Vanessa tornerà in contatto con le parti piccole di sé, con quella Vanessa che piangeva disperatamente durante la notte perchè aveva paura e che non ha mai ricevuto però, aiuto.

I movimenti regressivi della ragazza saranno talvolta così forti da avere la sensazione di avere di fronte per davvero un neonato.

Il supporto e il lavoro è stato lungo, difficile, stancante; un pensiero continuo.. una fatica (chi poteva immaginare che dopo un anno e mezzo, lavorare con le mascherine senza vedere il volto delle persone, sarebbe diventata la normalità).

Recentemente ho incontrato, per caso, Vanessa (che ha poi cominciato anche la cura farmacologica).

“Dottoressa lo sa… Ho trovato il mio volto, tra le maschere”.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

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Schizofrenia.

Fonte Immagine “Google”. Dalì.

“Richard 23 anni: Richard a scuola riusciva mediocremente. Dopo la scuola Richard si arruolò nell’esercito(…) Richard ricorda questo periodo come uno dei peggiori della sua vita (..) Circa due anni dopo il ritorno alla vita civile, Richard lasciò il lavoro e fu sopraffatto da sensazioni di sfiducia e rifiutò di cercarne un altro. Restava in casa per la maggior parte del tempo. Diventò sempre più lento nel vestirsi e svestirsi, e nelle cure personali (…) Quando usciva di casa non sapeva cosa fare, dove andare; se vedeva un semaforo rosso per la strada lo interpretava come segno di non dover andare in quella direzione. Se vedeva un freccia la interpretava come segno mandato da Dio per procedere in quella direzione. (…) Prese la decisione di rimanere chiuso in casa ma anche lì era torturato dai suoi sintomi. Non poteva agire (..) aveva sempre paura di fare la cosa sbagliata. Si sentiva paralizzato e stava a letto immobile. (..) Indeciso com’era si sentiva bloccato e spesso rimaneva muto e immobile, come una statua, anche per giorni interi.

(Arieti cit., pp. 114-115)

Il termine schizofrenia deriva dal greco e significa “mente scissa”. Il termine lo dobbiamo allo psichiatra svizzero Eugen Bleuler 1908, il quale lo utilizzò per sostituire la vecchia accezione data da Emil Kraepelin che nell’800 parlava di Dementia praecox. A dispetto della terminologia, la schizofrenia non indica una condizione caratterizzata da una “doppia personalità” o “personalità multipla”; il termine infatti indica la separazione delle funzioni mentali tipica nel quadro sintomatologico della malattia.

Il viaggio di oggi sarà alla scoperta della schizofrenia.

Buona lettura.

Secondo l’APA (American Psychological Association), i sintomi della schizofrenia possono essere molto diversi tra loro, così come i fattori scatenanti, il decorso e la risposta al trattamento.

Il caso di Richard mostra come il ragazzo abbia avuto un deterioramento da un livello normale di funzionamento, fino ad arrivare ad una compromissione del funzionamento stesso. I sintomi della schizofrenia possono essere distinti in

positivi: pensieri, emozioni e comportamenti eccessivi

negativi: assenza di pensieri, emozioni e comportamenti

psicomotori: movimenti o gesti insoliti.

La schizofrenia è pertanto un disturbo psicotico in cui il funzionamento personale, sociale e occupazionale si deteriora a causa di percezioni strane, emozioni insolite e anomalie motorie.

I Sintomi positivi sono eccessi patologici o bizzarri del normale comportamento della persona; tali sintomi sono ad esempio pensiero ed eloquio disorganizzato, percezioni amplificate, allucinazioni e affettività inappropriata.

Molte persone presentano inoltre deliri ovvero idee di cui sono fermamente convinti ma che non hanno alcun fondamento reale. Sempre secondo l’APA,2000, i deliri più comuni sono i “deliri di persecuzione” in cui la persona è convinta di essere oggetto di cospirazione, di essere spiata, calunniata o deliberatamente attaccata e vittimizzata. Possiamo avere “deliri di riferimento” secondo cui ogni evento viene egoriferito e ci si sente continuamente oggetto di una data cosa (nel caso di Richard il semaforo rosso, interpretato come segno di non dover procedere). “Deliri di grandezza” le persone si credono inventori o figure religiose o storiche importanti. “Deliri di controllo” pensare che i propri pensieri e sentimenti o le azioni, siano controllati da altre persone.

Sintomi negativi sono apparentemente deficit patologici, caratteristiche mancanti in un individuo. Eloquio impoverito, affettività inadeguata, assenza di volizione e isolamento sociale.

“Pensavo che le voci che sentivo fossero trasmesse attraverso le pareti del mio appartamento, attraverso la lavatrice, attraverso l’asciugatrice e che le macchine mi parlassero e mi dicessero cose”

Anonimo.

I sintomi psicomotori comportano l’avere movimenti goffi, smorfie o gesti stereotipati. Le persone affette da schizofrenia possono incorrere in catatonia; stupor catatonico comporta che le persone non reagiscano all’ambiente circostante e restino invece immobili e silenziose per lunghi periodi di tempo. Nella rigidità catatonica le persone restano in posizione eretta per ore resistendo ad ogni tentativo di farli sedere. Altre persone assumono una postura fissa ovvero posizioni altamente scomode e bizzarre; altra forma di catatonia è l’agitazione catatonica che comporta invece una forte agitazione motoria e frenetici movimenti di braccia e gambe.

In genere l’esordio della schizofrenia avviene tra la tarda adolescenza e i 35 anni (APA,2000). il decorso della malattia sembra molto variabile ma consta di 3 fasi: fase prodromica, attiva e residua.

Nella fase prodromica i sintomi non sono ancora evidenti, ma è presenta una disfunzione nell’individuo che può ad esempio isolarsi socialmente, può parlare in modo vago o avere idee bizzarre.

Nella fase attiva (talvolta scatenata da fattori di stress) i sintomi di fanno evidenti.

Nella fase residua si ritorna ad un livello di funzionamento simile a quello della fase prodromica .I sintomi più gravi della fase attiva si attenuano ma possono persistere quelli negativi come l’emotività inadeguata.

Dalla schizofrenia si può guarire: guarisce in media un quarto delle persone colpite, anche se la maggioranza dei malati continua ad avere qualche problema residuo per tutta la vita

Fischer, Carpenter, 2008; Roe, Davidson, 2008.

Con le persone (perchè non dimentichiamo che nessuno, è la sua malattia), si possono inoltre attuare bellissimi percorsi di intervento e di reinserimento sociale, volti al recupero non solo delle abilità sociali, ma anche cognitive. A tal proposito ho avuto modo di assistere ad alcuni progetti portati avanti sul mio territorio, da colleghi davvero molto competenti.

Gli scritti di tutte le persone che vi hanno preso parte – gli utenti- sono uno dei regali più belli che ancora conservo. Ogni tanto li leggo con estrema delicatezza; con estrema attenzione e con passione, ancora mi commuovo.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.