Accolgo l’invito di Alessia e provo a dare una definizione della psicosomatica.
Winnicott, pediatra e psicoanalista britannico, diede una definizione del termine psiche-soma congiungendo i due termini inglesi “psyche e soma”. Dalle definizioni sappiamo che con Psyche si intende un soffio, un alito vitale (come infatti ho spesso evidenziato, la psicologia non è lo studio della mente ma -etimologicamente- lo studio del soffio vitale. Il riferimento qui è all’etimologia greca).
Dall’etimologia notiamo pertanto come il senso di rimando è a qualcosa di vivo: il corpo vivo.
Con il termine soma, invece, il rimando è sia alle parti di un organismo che non sono le cellule riproduttive, sia a ciò che è distinto dall’anima o dalla psiche.
Accanto a questa definizione, il Somatics Systems Institute ha successivamente sostenuto che con “soma”, si intende anche la percezione interiore del proprio corpo. Ne deriva che il temine soma indica sia qualcosa di prettamente legato al campo biologico che psicologico, restituendo l’idea di un corpo “personale”.
I termini psiche e soma vivono in relazione dialettica: nessuno può stare senza l’altro.
Senza andare troppo nello specifico -ora- della teoria di Winnicott, possiamo dire che l’autore ha dedicato principalmente il proprio lavoro alla relazione madre/bambino.
Secondo l’autore alla nascita, il bambino “non esiste” (come individuo) ma è membro di una coppia ed è fuso con la realtà esterna poichè non consapevole dei propri confini corporei; ciò che Winnicott evidenzia è che per procedere con una identificazione e integrazione dei propri confini corporei, il bambino ha bisogno di una madre che – non sia- perfetta ma sufficientemente buona.
Questa madre si adatterà ai bisogni del bambino, dedicando e rispondendo inizialmente subito (un attimo prima che il bambino domandi) alle esigenze del bambino stesso: preoccupazione materna primaria. Da questo iniziale stato fusionale, la madre uscirà gradatamente (spesso in questa fase ci si avvale dell’oggetto transizionale, oggetti che accompagnano proprio il bambino nella fase di distacco dalla madre).
Può succedere che la madre “fallisca” per così dire, nel suo compito di essere sufficientemente buona e giunga a non aiutare il proprio bambino nella corretta integrazione psicosomatica. Questa integrazione psicosomatica consente di acquisire la capacità della psiche di abitare nel soma e all’opposto, un fallimento in questo processo di integrazione crea “un’insicurezza dell’abitare dentro o conduce alla depersonalizzazione” (Winnicott, 1966).
Le somatizzazioni – infatti- sono piuttosto comuni nella fase della vita che va dall’infanzia e giunge fino all’adolescenza. I disturbi di somatizzazione, come ad esempio i dolori addominali ricorrenti, l’asma o le cefalee, devono essere considerati sintomi che veicolano significati da decodificare.
Tale decodifica va fatta all’interno di una prospettiva integrata bio-psico-sociale dove devono essere valutati fattori organici e fattori psicologici, al fine di poter ottenere un quadro clinico completo e dettagliato.
Alla base di una somatizzazione c’è pertanto un insieme di fattori psicologici ed emotivi ed una predisposizione costituzionale. Nell’eziologia di un disturbo di questo tipo ad esordio nell’infanzia, vanno considerate una serie di concause spesso difficili da rintracciare. Proprio per questo motivo, l’anamnesi del bambino (e della famiglia di provenienza) è di importanza cruciale.
Per tale motivo, quando ad esempio facciamo compilare la scheda anamnestica (riferisco a tal proposito al lavoro svolto presso l’ASL), andiamo a ripercorrere la storia del bambino insieme ai genitori. Si partire dal rapporto della coppia genitoriale, si indaga sulla gravidanza, per poi proseguire con la nascita. È importante raccogliere dati su eventuali complicanze di gestazione, sull’andamento dello sviluppo del bambino e sulle tappe evolutive. Il rapporto con la scuola, con la famiglia, con i pari; si compie un excursus storico per comprendere cosa ha potuto portare ad un cambiamento che si traduce ora in una somatizzazione.
Secondo Lebovici e Soulè (Chiozza, 1982), le malattie psicosomatiche dell’infanzia scompaiono quando vengono sviluppate altre modalità di scarica delle tensioni emotive attraverso elaborazioni mentali, sensoriali e motorie (modalità che, come vedremo, vanno per così dire, imparate).
La patologia psicosomatica implica un difetto che impedisce di mentalizzare il disagio ed il conflitto interno, mantenendoli – invece- investiti nel corpo (non posso, non so pensare al mio disagio, non so dargli un nome e lo investo nel corpo).
Il paziente psicosomatico agisce all’interno di sé tramite degli acting in, invece di “gettare fuori” con l’acting out. Lo scopo di questo agire è la scarica, all’interno del corpo, di tensioni che la mente non sa gestire, in quanto troppo difficili da affrontare e sostenere; è proprio questo “agire all’interno di sé” a produrre alterazioni fisiologiche del comportamento.
Questo breve accenno alla psicosomatica ha lo scopo di evidenziare come il nostro sentire (in questo caso, corporeo), ha spesso radici inconsce ben più profonde che vanno ricercate nelle prime relazioni allacciate da bambini, con il nostro ambiente di provenienza.
Il consiglio principale è sempre quello di ricorrere ad uno specialista che possa guidare la persona, alla (ri)scoperta del proprio Sé (in questo caso credo che ogni persona sia libera di poter scegliere l’aiuto che maggiormente desidera e sente come idoneo per il proprio disagio).
Ricordiamoci – però- che per esprimere un disagio psicologico, non necessariamente serve essere stati vittima di un abuso conclamato e/o evidente.
L’abuso è tutto ciò che intrude con violenza in un apparato psichico “immaturo”, in un apparato psichico che non è pronto a fronteggiare quella intrusione violenta e improvvisa.
Questa intrusione può essere anche molto silente e sottile, ecco perché sostengo fortemente l’importanza della prevenzione del benessere psicologico, perché prima del nostro corpo, si ammala (sempre) prima la nostra mente.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.
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