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Non ho scelta?

Immagine Personale.

Il libero arbitrio esiste davvero?

Secondo studi recenti il libero arbitrio non è pura e semplice illusione. Questa conclusione nasce da tutta una serie di ricerche condotte su ciò che prende il nome di “prontezza motoria”, ovvero, l’inizio dei movimenti volontari che scaturiscono in seguito ad attività cerebrale che inizia circa un secondo prima che il gesto stesso inizi, ovvero, prima del momento in cui decidiamo consciamente di eseguire il movimento.

Questo fenomeno è stato interpretato come la prova che la decisione viene presa da processi neurali inconsci (fuori dal nostro controllo) indicando invece la percezione dell’intenzionalità come una illusione prodotta a posteriori dai nostri meccanismi mentali.

In seguito, però, ad un lavoro pubblicato sui “Proceedings oh the National Academy of Sciences”, da Matthias Schultze-Kraft, dell’Università di Berlino, il libro arbitrio è tornato alla ribalta.

Il ricercatore sostiene di “aver verificato se i partecipanti riescono a vincere un duello contro una interfaccia cervello- computer che prevede i loro gesti leggendo l’attività cerebrale inconscia che li precede”.

L’esperimento consiste nella seguente situazione:

Il soggetto impara a premere più volte un pedale e a bloccare il gesto se vede una luce rossa accendersi. Quando la macchina avverte che il piede si prepara inconsciamente a muoversi (essendo il soggetto provvisto di elettrodi), può accendere la luce; se la scelta del soggetto fosse irrevocabile egli stesso non riuscirebbe a fermare l’azione. Le ricerche hanno invece mostrato altro.

Spesso accade che il soggetto riesce con uno scarto di 200 millisecondi, ad interrompere il movimento. Questo studio ha dato prova dell’importanza dell’intenzionalità.

L’intenzionalità e la volontà hanno molto più spazio di quanto i ricercatori avevano in precedenza, immaginato.

L’attività inconscia prepara il gesto, ma la volontà può fino alla fine, modificare la decisione; volontà che riesce persino a battere il potere dell’intelligenza artificiale.

La volontà e la possibilità di scegliere restano i nostri migliori alleati.

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Quando si è pronti a cadere?

Giovanni ha 7/8 mesi; gattona serenamente nella sua cameretta esplorando il mondo circostante. Mette qualcosa in bocca (chissà se le costruzioni hanno un sapore particolare), scopre, urta qualche mobile ma senza indugiare più di tanto, prosegue la sua giornata da piccolo esploratore di quella cosa così entusiasmante e meravigliosa che è il mondo “là fuori”.

D’un tratto però, Giovanni arriva vicino le scale che conducono al piano inferiore della casa… Qualcosa non è come sempre e non torna… Cosa sta accadendo?

Qualcuno ha lasciato il cancelletto di sicurezza aperto e Giovanni ha innanzi un quesito..

Là dietro non c’è più niente.. il mondo è finito? C’è buio e il pavimento su cui Giovanni gattonava serenamente, è finito.

Cosa fare?

Due ricercatori, Eleanor Gibson e Richard Walk durante gli anni 60, hanno dato vita ad un esperimento noto come “precipizio visivo” e concerne proprio la percezione della profondità (sia in animali che l’uomo).

I due ricercatori costruirono un apparato sperimentale semplice ovvero una struttura in legno a forma di parallelepipedo composta di due parti: una parte piena (costituita da superfici fatte a scacchiera – bianca e nera- ) a cui ne segue subito adiacente una vuota (trasparente) fatta di vetro che lascia intravedere il fondo; anche le superfici laterali della struttura sono fatte a scacchi. Una lista di legno di 40 cm di larghezza e di un certo spessore, separa il vetro dalla superficie a quadri e serve da “confine”.

Il campione esaminato consta di 36 bambini di età compresa fra i 6 e i 14 mesi. La situazione sperimentale prevede che il bambino sia posto al centro della struttura con la madre che resta in piedi all’estremità della superficie di legno da dove chiama il bambino il quale, si dirige senza esitazione, verso la madre.

Successivamente la madre si pone dal lato della superficie di vetro (quindi lato del precipizio) e chiama i bambino. Ciò che è emerso è che nonostante la maggior parte dei bambini abbia toccato con la manina la superficie, non si dirige verso la mamma; alcuni restano al centro sulla zona di confine, la maggior parte scappa dalla parte opposta e altri ancora -fermi sul confine- scoppiano in un pianto senza sosta perchè impossibilitati a raggiungere la madre. Pochissimi diventano avventurieri e sfidando la sorte, raggiungono l’amata mamma.

Secondo Gibson e Walk l’abilità di percepire e discrimare la profondità è presente non appena i bambini sono capaci di muoversi autonomamente (anche se carponi), e si fonda sulla percezione visiva. Secondo i ricercatori infatti, la percezione di profondità matura più velocemente delle abilità motorie. E’ stato inoltre dimostrato che alcune specie di animali e gli uomini, appena sono in grado di muoversi nell’ambiente sono in grado di percepire la profondità ed esibiscono comportamenti motori di evitamennto di uno spazio percepito come un vuoto o un precipizio.

L’esperimento apre a considerazioni davvero interessanti…

Esperimento al min 1:18

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Meglio l’affetto o il cibo?

Alla scoperta dell’esperimento di Harlow.

Buona lettura

Durante gli anni 50, una buona parte degli psicologi e sociologi sostenevano che i bisogni primari come la fame o la sete, venissero soddisfatti attraverso il legame con la madre e in conseguenza a ciò, derivassero sentimenti quali affetto o amore.

Lo psicologo Harry Harlow tuttavia non era particolarmente convinto di ciò poichè partì da un quesito specifico : “l’affetto o l’amore dipendono e si sviluppano in conseguenza del nutrimento offerto, allora perchè tali sentimenti resistono anche dopo la fine del cibo stesso?”.

Harlow decise pertanto di condurre un esperimento su cuccioli di scimmie Rhesus; scimmiette già piuttosto autonome intorno a 2/10 giorni che presentano inoltre un pattern comportamentale e affettivo simile alla nostra specie (ricerca di contatto, prossimità fisica o allattamento).

La situazione stimolo proposta consisteva nel mettere a disposizione del cucciolo due surrogati materni si cui uno era provvisto di biberon (dispensatore di cibo) ma fatto di solo ferro (pertanto freddo) mentre l’altro sprovvisto di biberon (cibo) ma fatto di un materiale morbido simile al pelo di scimmia.

Le osservazioni mostrarono come il cucciolo trascorresse la maggior parte delle ore sul surrogato “caldo” per spostarsi a quello “freddo” solo nel momento del bisogno del cibo.

Secondo Harlow quindi la funzione dell’allattamento è in primis quella di assicurare calore e vicinanza al bambino (un contatto intimo e personale) volto soprattutto a dispensare sicurezza e presenza in caso di pericolo. Quando Harlow spaventava i piccolo cuccioli con rumori o pupazzi, questi si giravano e correvano verso la mamma “morbida”, inoltre anche l’esplorazione dello spazio cambiava.

In presenza della mamma di pelo, i macachi si sentivano più sicuri pertanto esploravano lo spazio per poi ritornare dalla mamma morbida; cosa che non accadeva se lasciati alla sola presenza della mamma di ferro.

Aggrapparsi al pelo è un comportamento specie- specifico che consolida il legame di attaccamento. Inoltre Harlow notò che se le scimmie erano lasciate in isolamento sociale per un periodo di 3 mesi le seguenti problematiche in termini relazionali, erano ancora rimediabili ma se il tempo di isolamento saliva oltre i sei mesi, le scimmie attuavano tempo dopo, comportamenti di tipo sociopatico o autolesionista, andando anche a lenire comportamenti di tipo istintuale come quello di allevare la propria prole.

Questi esperimenti appartengono alla lunga categoria di quelli considerati poco etici (togliere un cucciolo dalla propria madre), che tuttavia hanno aperto una lunga strada circa la comprensione del comportamento umano che è meno scontato di quanto si possa immaginare.

Le spiegazioni lineari difficilmente sono le più indicate per spiegare il comportamento e le scelte umane.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.