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Pillole di Psicologia: La rigidità delle convinzioni e delle opinioni.

Cosa “costringe” le persone a non “mollare” mai le proprie idee e opinioni?

Perché è così difficile provare a convincerle ?

Spesso alcune specifiche caratteristiche caratteriali e di personalità possono rendere le persone più tenaci nel mantenere le proprie opinioni e convinzioni nonostante l’evidenza dei fatti dimostri il contrario.

Perché non riesco a convincerti? – ilpensierononlineare – YouTube channel

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“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Mani Armate

Notizia di stamattina: West Virginia, un uomo inizia a sparare verso un gruppo di persone che partecipavano ad un party. Una donna che partecipava al party ha estratto la sua arma e ha ucciso l’uomo. Il fatto sarebbe successo mercoledì. All’uomo che ha cominciato a sparare a caso verso le persone, era stato vietato di parcheggiare la sua auto nello spazio dove si stava tenendo il party.

Ad inizio settimana invece, ha sconvolto un po’ tutti la notizia dell’ennesima strage in una scuola del Texas. Un diciottenne, Salvador Ramos, ha ucciso 19 bambini e due insegnanti. Poco prima della strage nella scuola di Uvalde, aveva sparato anche alla nonna. Alla fine della vicenda Ramos verrà ucciso dalla polizia e si conteranno altri 17 feriti. La cosa più inquietante è che il ragazzo ha fatto la “cronaca” di tutti i suoi spostamenti e delle sue intenzioni, scrivendole sui suoi social in alcuni post. Sembra inoltre abbia raccontato in maniera più o meno diretta, ciò che stava succedendo ad una ragazza tedesca conosciuta su internet.

Ramos aveva acquistato le sue armi in occasione del suo compleanno.

Ramos era palesemente affetto da qualche psicopatologia, da diverso tempo.

“Quando le aveva detto delle munizioni, ad esempio, che si “espandevano a contatto con le persone”. Lei gli aveva chiesto cosa avesse in mente di fare e lui le aveva risposto: “Aspetta, è una sorpresa”. In un altro di questi messaggi, il killer le aveva scritto di aver “lanciato gatti morti contro alcune case”.” (fonte : Tgcom)

Come è possibile che un ragazzo con gravi ed evidenti problemi psichiatrici abbia accesso al porto d’armi e possa acquistare senza grossi problemi armi di diverso tipo?

Photo by Karolina Grabowska on Pexels.com

In uno studio del 2016 pubblicato sull’American Journal of Medicine e frutto di un lavoro dell’Università del Nevada e della Harvard School of Public Health viene evidenziato che gli Stati Uniti hanno solo la metà della popolazione delle altre 22 nazioni ad alto reddito, ma contano da soli l’82% dei decessi legati a reati contro la persona. L’omicidio è la seconda causa di morte tra i 15 e i 24 anni, e nella stragrande maggioranza dei casi l’arma del delitto è una pistola. I ricercatori concludono che: non c’è grossa differenza nella salute psichica dei vari paesi presi in considerazione rispetto a quella dei cittadini americani ma “non possiamo che segnalare il libero accesso alle armi sia di per sé un fattore sufficiente a spiegare le differenze misurate.”

In Italia, la richiesta del porto d’armi e l’acquisto di un’arma è un processo lungo, che richiede qualche mese. Il medico di famiglia, che deve valutare inizialmente la persona che richiede il porto d’armi, deve rilasciare un certificato di buona salute fisica e psichica. E per arrivare a questo può richiedere anche accertamenti più specifici, affinché si possano escludere patologie fisiche o malattie neurologiche e psichiatriche all’Asl di competenza o ai corpi militari dello stato.

Il problema è che in tutti questi casi la valutazione spesso e volentieri è fatta da Medici con diverse specializzazioni e non da Psicologi o Psichiatri. Infatti i test cognitivi, vengono fatti solo se richiesti, ma non sono obbligatori per avere il porto d’armi.

La variabile psicologica e psicopatologica non è mai fissa e controllabile.

Una persona che pare essere in buona salute (psichica) e senza apparenti problemi ad una prima valutazione anamnestica, può nel giro di poco tempo sviluppare una grave depressione o una psicosi. Infatti un’analisi superficiale può non garantire la diagnosi di un disturbo di Personalità o una particolare fragilità psichica.

Anche fattori ambientali, come lo stress, una delusione affettiva, un lutto, la perdita di un lavoro, una separazione, possono indurre uno scompenso acuto in persone particolarmente fragili.

Inoltre il rischio maggiore per chi detiene armi (paradossalmente) è il suicidio e esiste anche una relazione accertata tra la disponibilità di un’arma da fuoco e il ricorso all’omicidio-suicidio in contesti di stragi familiari, dove la persona con problemi psichici gravi, uccide i membri della famiglia prima di togliersi la vita.

Non è facile identificare una particolare fragilità psichica o un disturbo di Personalità quando siamo in assenza di sintomatologie acute. Per questo è importante che a valutare vi sia la competenza specifica di uno specialista Psicologo o Psichiatra.

Infine, premettendo che sono personalmente molto in disaccordo con l’uso e il possesso di armi da parte della popolazione civile, credo che in presenza di questa possibilità (prevista dallo Stato) dell’uso e del possesso di armi, sia quantomeno necessario e obbligatorio prevedere controlli psicologici, psichiatrici e neuropsicologici, periodici e costanti per tutti i possessori di armi.

“Non lamentiamoci della mancanza di giustizia finché abbiamo armi, e finché siamo liberi di usarle.”

Frank Herbert

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

L’importanza delle amicizie.

Avere delle amicizie, (una buona cerchia di amici) offre un importante sostegno affettivo. Diverse ricerche sostengono che avere rapporti d’amicizia e relazioni sociali stabili e “ampie”, giova alla salute psichica e fisica.

I contatti sociali hanno infatti, a livello evoluzionistico, dato un grandissimo contributo allo sviluppo e all’evoluzione del nostro cervello.

Robin Dumbar (antropologo e psicologo evolutivo), ha ipotizzato l’esistenza del social brain. Lo sviluppo della società umana avrebbe accelerato l’evoluzione del cervello e in base a questa teoria più numeroso è un gruppo maggiore sarà il numero e la quantità di informazioni sugli altri componenti del gruppo che bisognerà elaborare, per poter mantenere buone relazioni reciproche. Secondo Dunbar abbiamo anche un limite a questa capacità di “elaborazione delle amicizie”, e infatti questo limite può permetterci di arrivare ad un massimo di 150 amicizie/conoscenze.

Interessante è il modello che ci propone Dunbar: il modello della formazione concentrica dei rapporti sociali di un individuo.

Secondo questo modello la cerchia delle amicizie più intime è formata da tre/quattro o massimo cinque persone. In questo “cerchio”, sono presenti le persone con cui ci sentiamo più legati emotivamente, con cui condividiamo interessi e valori. Sono quelle persone che ci supportano nei momenti difficili e che incontriamo almeno una volta a settimana.

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Al cerchio successivo appartengono da 12 a 20 persone, con i quali riusciamo a coltivare legami importanti, ma meno forti. Il rapporto con queste persone è meno intenso dal punto di vista emotivo, ma è comunque caratterizzato da forte simpatia ed interesse.

Il terzo cerchio corrisponde al “giro di conoscenze” e comprende dalle 30 alle 50 persone. In questo cerchio il legame con le persone sarà meno forte, ma possono esserci contatti regolari, anche se a distanza di più tempo. Secondo la teoria di Dunbar il terzo cerchio, nelle società tradizionali primitive di cacciatori – raccoglitori, corrispondeva al clan di appartenenza.

Infine esistono altri due cerchi, dove vi saranno altre conoscenze, ma molto meno intense e importanti.

Nella formulazione di queste teorie, Dunbar, ha individuato un elemento ricorrente e cioè che di cerchio in cerchio, l’insieme del numero dei conoscenti si triplica quasi sempre.

I due cerchi più interni sono decisamente quelli più importanti, perché influiscono positivamente sulla persona e sulla propria percezione di benessere psicologico; stress e depressione si riducono, così come i comportamenti pericolosi per se stessi. Gli amici possono migliorare il proprio stato d’animo e la fiducia in se stessi.

Insomma un buon giro di amicizie e la presenza di amicizie più intime, permette una vita sociale più attiva, aumenta il benessere personale e probabilmente le proprie probabilità di vivere più a lungo.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Le motivazioni del “turismo dark”.

Cos’è il turismo dark? E quali sono le sue implicazioni psicologiche?

Per turismo dark si intende quel turismo che ha come meta un luogo di morte e cioè quei luoghi dove sono avvenuti disastri, un genocidio, una battaglia, un evento che ha causato la morte di tantissime persone o musei che raccontano questo tipo di storie (ad esempio: Ground Zero, Aushwitz..). Negli ultimi anni è diventato molto in voga e qualche volta sfocia in derivazioni più macabre (come riportato, ad esempio, nella serie televisiva Netflix “Dark Tourist”).

Le motivazioni che spingono questo tipo di turismo, tutt’altro che minoritario, sono complesse e si differenziano dalle motivazioni che spingono al turismo culturale.

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Secondo Erik Cohen (studioso del fenomeno all’Università di Tel Aviv) questo tipo di fenomeno turistico è molto antico, infatti il viaggiare e visitare i luoghi delle grandi battaglie, esiste sin dal medioevo, anche se non era comune. Invece a partire da dopo la Seconda Guerra Mondiale il fenomeno è diventato più comune e alla portata di una più vasta platea di persone. Le persone infatti cominciarono a viaggiare verso le spiagge della Normandia (dove avvenne lo sbarco degli alleati); cominciarono a destare interesse le trincee della Grande Guerra e i luoghi legati all’Olocausto.

Ma cosa motiva le persone a visitare questi luoghi?

Sempre secondo Cohen, a seguito delle “indagini” fatte sull’argomento, pare che questi visitatori si aspettino un momento di riflessione e di crescita personale. Vogliono approfondire e capire meglio o ricordare eventi importanti che riguardano la propria famiglia o il proprio popolo.

Spesso questo tipo di visitatori si aspettano e chiedono l’autenticità, e quindi possono rimanere delusi e arrabbiati, se trovano nei luoghi visitati oggetti moderni o servizi indispensabili per gestire al meglio il flusso turistico (tipo toilette, servizi di ristorazione, distributori di bevande..).

L’aspetto dell’ “autenticità del luogo” può essere sostituita, secondo Cohen, dall’autenticità dei vissuti, delle storie e delle emozioni. Bisognerebbe quindi dar spazio al racconto delle storie direttamente dai protagonisti, dalle vittime che attraverso la narrazione del proprio vissuto potrebbero ricreare quell’autenticità attraverso la testimonianza e l’esperienza. Dare la possibilità ai visitatori di entrare nella storia dei popoli e del proprio popolo, arricchendo la memoria storica collettiva, essenziale alla crescita consapevole delle nuove generazioni e della società futura.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi