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Fantasia conscia, inconscia e fantasma.

Casa.

Il concetto di fantasia esemplificato dal “sogno a occhi aperti”, che va dalle fantasticherie a occhi aperti delle isteriche allo spazio di fantasia che ogni soggetto ha, può essere collocato a fianco della sublimazione come uno dei destini della pulsione.

Si tratta (sia nell’isteria che nella normale condizione), di uno spazio “escluso dalla realtà” dove il desiderio può liberamente esprimersi, sia che riguardi il soddisfacimento di fantasie sessuali, che aggressive che relative ad un’amplificazione del Sé. Possono quindi accompagnarsi tanto alla masturbazione che al tentativo di modificare la realtà.

Si tratta pertanto di uno spazio psichico intermedio tra mondo interno pulsionale e ambiente.

E’ uno spazio importante in qualsiasi fase de ciclo di vita del soggetto (che sia bambino o adulto) come possibilità di un funzionamento prossimo al principio di piacere, al narcisismo e all’ideale dell’Io pertanto a un funzionamento non necessariamente scandito dal processo secondario (anche se i rapporti con la coscienza restano saldi) e si può parlare di fantasie consce.

Nel bambino è lo spazio del gioco, nell’adulto è lo spazio dell’empatia e creatività. Si tratta comunque di spazio di elaborazione del conflitto e in quanto tale è lo spazio stesso dell’analisi.

Winnicott palando di “spazio transizionale”, ha approfondito l’aspetto dello spazio dell’illusione, del gioco e della creatività e anche Freud stesso aveva parlato di questo spazio cominciando da Personaggi psicopatici sulla scena quando, partendo dalla funzione del teatro e della arti sottolineava come lo scopo del dramma, fin da Aristotele, fosse quello di “suscitare pietà e terrore, di provocare purificazione degli affetti”. Il vantaggio che ha lo spettatore, nell’identificarsi con un certo eroe, risiede nella possibilità di vivere come l’eroe risparmiandosi nella realtà rischi e dolori dell’eroe stesso; così facendo resta viva la possibilità di fare “come se”, proprio utilizzando quello spazio di illusione, di gioco.

Anche ne Il poeta e la fantasia, Freud aveva analizzato i rapporti tra illusione, gioco, fantasia e creazione poetica. Freud nota come per il bambino il gioco sia una faccenda molto seria visto che “vi impegna notevoli ammontari affettivi”, Freud, 1907, e come per lui giocare equivalga all’attività del fantasticare.

“Sono desideri insoddisfatti le forze motrici delle fantasie, e ogni singola fantasia è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che ci lascia insoddisfatti”, Ibidem.

L’attività fantastica ha stessa provenienza e dinamica delle libere associazioni; allo stesso modo si tratta di materiale preconscio che “viene in mente” come emersione di elementi psichici. E’ quello che ci succede quando ci abbandoniamo al fantasticare su una certa scena; noi possiamo direzionare il contenuto della scena stessa ma ad un certo punto la fantasia segue un suo corso e noi assistiamo quasi più come spettatori che attori.

Ecco che il passaggio da fantasia conscia a inconscia è sfumato.

Compiendo un piccolo salto, nel pensiero postfreudiano l’opera di Melanie Klein va ad ampliare il concetto di fantasia inconscia. Per la Klein si tratta di un’attività psichica presente fin dall’inizio della vita psichica come espressione mentale delle pulsioni e difese. Tali fantasie inconsce sono paragonabili alle allucinazioni primarie di Freud e riguardano configurazioni innate sul corpo della madre ma a differenza di Freud non sono tanto il risultato di un mancato soddisfacimento e non dipendono da un conflitto con la realtà: esse sono l’unica realtà psichica possibile visto che la Klein non oppone la realtà alla fantasia.

Altra distinzione (tenendo conto dell’opera dei due autori), è quella tra fantasia inconscia e fantasma.

La fantasia inconscia è una modalità rappresentativa che da un lato si differenzia dalle rappresentazioni originarie e dall’altro da prodotti psichici più vicini a modalità secondarie di rappresentazione (es fantasie consce e il pensiero).

Giaconia e Racalbuto dicono: “i fantasmi sono quelle formazioni psichiche inconsce non rappresentativamente elaborabili, connesse però alle tracce mnestiche grezze dell’esperienza psichica” Giaconia, Rabalbuto, 1997,542 .

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Tempo per il Tempo.

Immagine Personale.

Stamattina guardando questa piccola agenda, un pensiero si è affacciato alla mente. Un anno intero racchiuso in una piccolissima agenda..

Quanto sembra piccolo un anno?

Quanto può essere piccolo il tempo?

La relazione Uomo/Tempo è sempre stata problematica, aprendo alla questione di chi dei due prenda il sopravvento o diriga i giochi: ” sono io uomo a definire te, tempo o sei tu tempo a scandire la mia esistenza?”.

La psicoanalisi ha considerato la questione della rinuncia una tappa fondamentale dello sviluppo della maturità psichica; rinuncia a lasciare qualcosa andare e ad accettare, di converso, che il tempo scorre, comportando – talvolta- l’abbandono di sogni tramutati poi in illusioni.

La vita giunge in soccorso facendo sperimentare noi alcuni eventi che sembrano collocarsi al di fuori, lungo i margini dei confini del tempo, ridefinendone permeabili confini che si muovono quasi come su una lavagna magnetica, lungo le linee del con e senza: scrivo, cancello “mi innamoro; le persone care muoiono; io invecchio..”.

La rinuncia però non basta; l’essere umano ha deciso di credere (non in maniera assoluta in quanto non tutti sposano la causa del credo), in una religione che postula l’esistenza di un “dopo” o in un leader carismatico che aiuti a vivere nella pesante realtà.

Nell’ambito della clinica, l’analista bioniano si approccia al setting “senza desiderio e senza memoria” attuando uno spazio oltre, isola del tempo; di converso colui che si approccia alla terapia dovrà attuare la rinuncia del tempo “non ho più controllo del passato e del futuro”.

Ciò che diviene necessario è lo spazio di illusione che porta a spingerci oltre la semplice rinuncia; uno spazio che diviene possibilità e speranza distanziata dalla realtà, atto di devozione e impegno da parte della coppia analitica.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio