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Comunicazioni disfunzionali

La squalifica di un messaggio è una modalità comunicativa che viene spesso utilizzata per togliere valore ad una comunicazione.

Esistono numerosi espedienti che vengono utilizzati dalle persone, in contesti differenti (famiglia, lavoro, scuola..) per attuare una squalifica sequenziale dell’altro.

Ad esempio ci si può contraddire, fraintendere, cambiare discorso improvvisamente, sfiorare appena i temi, dire frasi incoerenti e sconnesse, usare un modo di comunicare oscuro e allusivo.. (Watzlawick)

Sluzki e colleghi, sulla base di uno studio effettuato con alcune interviste con famiglie con un figlio adolescente schizofrenico, hanno potuto evidenziare alcuni interessanti esempi di squalifiche sequenziali del messaggio dell’altro.

Evasione: in questo caso vi è una discontinuità di contenuto senza alcuna indicazione di ricezione del messaggio.

Gioco di Prestigio: in questo caso avviene un cambiamento di argomento mascherato da una risposta. C’è quindi una discontinuità di contenuto accompagnata da un’indicazione di ricezione.

Interpretazione letterale: viene a crearsi una discontinuità di livello di argomento; è il caso, ad esempio, di una madre che in una conversazione con il figlio adolescente, che l’accusa di di trattarlo come un bambino, lei gli risponde ” tu sei il mio bambino..”.

Specificazione: in tal caso durante una conversazione, viene fornita una risposta specifica ad un tema generale. Un esempio potrebbe essere quello di una figlia che ricorda alla madre che “l’anno scorso siamo andate spesso a fare shopping insieme nei weekend”, la madre risponde: “non nel weekend prima della tua partenza per le vacanze”.

Squalifica di status: l’argomento viene fatto scivolare dal contenuto del messaggio all’emittente dello stesso e al suo inadeguato status. Ad esempio può accadere che in un contesto lavorativo il capo ufficio crede che due colleghi (suoi sottoposti) non vanno molto d’accordo e rivolgendosi ad uno dei due dice: “tu e Beppe siete proprio come cane e gatto, non potete proprio vedervi”, la risposta del collega “no no, perché pensi questo?”, e il capo “un capo lo sa..”.

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Insomma la squalifica è a tutti gli effetti una modalità comunicativa alla quale si ricorre in quei casi in cui si è obbligati in qualche modo a comunicare, ma si preferisce evitare di impegnarsi in una comunicazione chiara, precisa e diretta.

Inoltre è molto comune e diffusa nella comunicazione umana e non è sempre legata ad una modalità disfunzionale di comunicazione. Svolge, infatti, un ruolo di modulatore della comunicazione umana, lasciando intendere all’osservatore il grado di intensità di un determinato stato emotivo presente nella messaggio.

“Il grado più o meno intenso della squalifica consente di qualificare emozioni e sentimenti, di comprenderne il reale valore e l’intensità. Il rapporto di forza tra l’affermazione verbale e la comunicazione non verbale determina la modulazione dell’espressione affettiva.” .

(Loriedo, Picardi)

Anche i sentimenti negativi (rabbia, collera, disprezzo, risentimento) possono essere modulati attraverso l’uso della squalifica.

Chi squalifica ripetutamente l’altro esprime svalutazione, ma spesso e volentieri lascia intendere un profondo interesse verso la persona squalificata o verso il contenuto della comunicazione stessa.

Solo un messaggio a cui si attribuisce valore può essere squalificato. (Loriedo, Picardi)

La squalifica può quindi nascondere un implicito riconoscimento del valore dell’altro, anche se mascherato da un violento attacco squalificante.

Infine possiamo dire che la squalifica si trasforma in una modalità comunicativa disfunzionale, quando essa è prevalente all’interno delle interazioni comunicative. Non risulta disfunzionale, invece, quando rappresenta una modalità comunicativa occasionale.

“Finisce bene quel che finisce male”

dott. Gennaro Rinaldi
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“Tu sei?”

Il ragazzo ha un appuntamento per le 18:00.

Nel centro dove svolgo la mia attività di volontariato come psicologa, siamo abbastanza attenti agli orari; gli utenti che chiedono supporto psicologico sono sempre quelli in numero maggiore rispetto a quelli che effettuano richieste per altri specialisti, pertanto quando c’è un ritardo, le volontarie che stanno in segreteria, provvedono a chiamare l’interessato/a.

Il ragazzo ha avuto un contrattempo con il datore di lavoro.

Giunge quindi in associazione con una mezz’ora di ritardo.

Accolgo il ragazzo: “buonasera … (buonasera), prego accomodati”

“Ah.. tu sei la mia assistente? Sei l’assistente del dottore?”

“NO. Io sono la Dottoressa”

“AH… Sei la Dottoressa?”

Pochissimi scambi verbali e il giovane trentenne assume un colorito trasparente velato, simile a quello dei vetri non del tutto puliti ma nemmeno completamente sporchi.

Il tempo di guardarsi negli occhi e di cominciare la nostra conversazione che

“Mi hai fatto una domanda bellissima, nessuno me l’aveva fatta prima. Non ci avevo pensato a questa cosa!”

Cinque minuti dopo il tentativo (conscio o inconscio che sia, questo andrà dall’esperto analizzato e considerato), di squalifica, il giovane uomo piange.

Tentare di sedurre* o squalificare il proprio terapeuta, o psicologo, è un’azione che di frequente è agita dal paziente.

E’ fondamentale chiarire precocemente i confini del tipo di relazione che si va a stabilire, creare e agire, nella stanza dei colloqui.

L’isola del tempo senza tempo è spazio per accogliere il vissuto emotivo del paziente e il paziente stesso, fatto certamente di carne e ossa che per noi psy, resta pur sempre carne lacerata da un apparato psichico sofferente che spesso emerge, sotto forma di battutine, ricerca di blando contatto fisico, sorrisini, pianti o tremori vari.

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio

*Il termine seduzione, in psicologia ma -soprattutto- in psicoanalisi, assume dei caratteri fondamentali e ben precisi, che non possono essere travisati o essere oggetto di scherno. Il temine sarà successivamente, in altro approfondimento, chiarito.