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Sul senso di solitudine.

Fonte Immagine Google.

“Chi nun cunusce ‘o scuro nun po’ capì a luce

nisciuno sape a n’ato ognuno è sulo”

Mane e mane, Enzo Avitabile.

Nel piccolo viaggio che stiamo percorrendo insieme tra le strade della psicologia e i suoi numerosi vicoli e vicoletti che, a loro volta aprono ad ulteriori percorsi, desidero soffermarmi un po’ sul senso di solitudine.

Per senso di solitudine – in questo caso- non riferiamo alla situazione oggettiva di chi si trova privo ad esempio, di compagnia; ma a quel senso di solitudine più profondo che è quello interiore.

“Mi sento solo, Dottorè.. anche tra dieci, cento, mille persone.. Anche in famiglia.. anche tra gli affetti più cari..”

Secondo Melanie Klein, questo stato di solitudine interna dipende dall’aspirazione che tutti nutrono per una condizione irraggiungibile che è la perfezione interiore.

Il senso di solitudine può, per l’essere umano, essere inteso come un sentimento doloroso che si associa a stati interni di isolamento o abbandono, oppure come spazio di introspezione e di espressione della propria soggettività.

Se per la Klein il senso di solitudine affonda radici nella nostalgia che si prova per aver perso l’originaria sintonia tra inconscio della madre e inconscio del bambino, sintonia che rende possibile una comprensione profonda anche in assenza di parole (da qui poi la teoria diventa piuttosto complessa confluendo nelle due posizioni denominate Posizione schizoparanoide e depressiva), per Winnicott invece, la questione è diversa.

Winnicott sostiene che il senso di solitudine derivi da un difetto nell’esperienza di essere stato solo in presenza di un altro significativo. L’autore pone maggiormente l’accento sul versante positivo di tale capacità, considerandola una tappa importante nello sviluppo emozionale; ciò che è rivelante è che tale capacità si regga su un paradosso: per Winnicott il bambino deve “imparare” ad essere solo in presenza della madre.

La solitudine spaventa e spaventa ancor di più il sapersi pensare soli; l’immaginare cosa “potrebbe essere se”.. l’abbandono, il restare senza un sostegno.. percepire il mondo come trasparente intorno a sè e di converso, la paura di sentirsi trasparenti.

Nel temere di sentirsi trasparenti ed evanescenti, finiamo per cedere ed essere fagocitati dal buio..

“Intorno a me non c’era più niente, Dottorè.. Solo buio che mi tirava giù”.

Le parole con cui ho iniziato il tempo che oggi, stiamo trascorrendo insieme, a mio avviso ben riassumono quel che penso.

Il buio spaventa.. azzera i colori, la percezione.. altera lo spazio.. Al buio si perdono i punti di riferimento.. i confini della stanza o del posto dove siamo.. La testa gira.. strizziamo gli occhi cercando di accomodarli alla (non) luce.. Ma dal nulla nascono le cose.. dall’incertezza, dall’errore, dallo spaesamento.. lì germoglia il coraggio,

Chi non conosce il buio non può capire la luce.

Enzo Avitabile, un cantante che a mio avviso si presenta come suono puro che cammina.. per stasera può tenerci compagnia https://www.youtube.com/watch?v=pBCX2edxEPo

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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