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Gioco simbolico.

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Durante il secondo anno di vita, i bambini cominciano a pensare a situazioni possibili o ipotetiche e non più solo a cose presenti.

Questa nuova abilità – che apre la strada all’immaginazione nelle sue diverse forme – si manifesta inizialmente come “gioco di finzione”. E’ grazie all’opera di Piaget (nata dall’osservazione dei suoi tre figli) che conosciamo, nello specifico, tale abilità.

Secondo Piaget, possiamo affermare che il gioco di finzione segna l’emergere della rappresentazione simbolica, la capacità di usare qualcosa (il significante) per rappresentare qualcos’altro (il significato).

Alan Leslie pur concordando con Piaget, sostiene che vi sia una piccola differenza rispetto a quanto affermato dallo studioso svizzero. Se Piaget sostiene che il gioco simbolico, in quanto assimilazione pura è fondamentalmente un’attività individuale (e implica la creazione di simboli soggettivi), Leslie sostiene che nel momento in cui cominciano a far finta giocando da soli, i bambini riconoscono anche la finzione negli altri.

Il gioco è presente sin dalle fasi più precoci dello sviluppo e diventa via via più complesso e sofisticato: le forme rudimentali di gioco con l’oggetto (come la sua semplice manipolazione), si evolvono in gioco funzionale nel quale il bambino cerca di conformare l’azione all’oggetto; successivamente le azioni di gioco vengono separate dall’oggetto in sé e il bambino sarà in grado di fingere che un oggetto sia qualcosa di completamente diverso o di evocare un oggetto “finto”, dal nulla.

Leslie ha identificato tre aspetti chiave del gioco simbolico.

Il primo aspetto consiste nella fungibilità di un oggetto per un altro; il secondo consiste nel creare un oggetto immaginario; il terzo aspetto è costituito dall’attribuzione all’oggetto di proprietà simulate.

Anche un singolo episodio di gioco può contenere tutte le strutture prototipiche ravvisate dall’autore: sostituzione, creazione di un oggetto e attribuzione di proprietà.

E’ uno, in particolare, l’aspetto fondamentale del gioco simbolico: la creazione e attribuzione di stati mentali a oggetti inanimati.

Wolf e colleghi hanno documentato, con uno studio longitudinale, questo sviluppo. Intorno ai 18 mesi di età i bambini cominciano a trattare le bambole come rappresentazioni di esseri umani (ma le bambole non vengono dotate di sentimenti autonomi o facoltà di azione; vengono infatti nutrite, lavate e messe a letto). Tra i due anni e i due anni e mezzo, i bambini attribuiscono alle bambole alcune abilità comportamentali ed esperienziali (le bambole parlano) successivamente attribuiscono loro desideri, sensazioni ed emozioni. A partire dai tre anni e mezzo (quattro anni), i bambini iniziano a dotare le bambole di processi di pensiero più espliciti e intenzioni complesse.

Dal momento che il gioco simbolico costituisce la prima manifestazione della capacità metarappresentazionale che consente al bambino di comprendere e attribuire stati mentali a se stesso o agli altri, lo sviluppo dell’abilità simbolica di “far finta” è considerato la principale pietra miliare nello sviluppo della teoria della mente.

Giocare è sempre una cosa seria.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Teorie della mente.. penso che tu pensi

Comunicare con qualcuno potrebbe apparire come una cosa tutto sommato semplice e diretta. Ma non è così. Dietro il sipario della mera comunicazione formale tra due persone esiste un mondo fatto di teorie e supposizioni.

Buona parte dei nostri scambi interpersonali, ad esempio, è basata sul tentativo di comprendere cosa il nostro interlocutore sta pensando o stia provando in quel momento. Questo modo di “mentalizzare“, comprendere e prevedere il comportamento dell’altro è stato studiato nel 1978 da Premack e Woodruff (Theory of Mind – TOM). Inizialmente il loro oggetto di indagine era la capacità degli scimpanzé di prevedere il comportamento di un umano in situazioni create ad hoc per lo studio e finalizzate ad uno scopo preciso. Gli sperimentatori scoprirono che gli scimpanzé per risolvere il compito erano in grado di attribuire stati mentali alla persona che era con loro nell’esperimento.

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Dopo circa trent’anni queste prime osservazioni aprirono la strada a diversi studi che hanno provato a descrivere e spiegare la comprensione intuitiva che le persone hanno del mondo e delle relazioni sociali.

E’ come se una persona creasse una “teoria” personale atta a spiegare il comportamento degli altri facendo riferimento ai propri e agli altrui stati interni che hanno potuto determinare quel comportamento, quelle parole e cosi via. Sono tentativi di spiegazione, vere e proprie ipotesi sugli stati mentali dell’altra persona.

Questa nostra abilità ci permette di dare un significato personale a quel comportamento (noi abbiamo bisogno di significare le cose e ciò che succede) e magari di avere degli elementi utili per prevederlo in futuro.

Per stati mentali ci si riferisce al funzionamento mentale che può essere articolato in due categorie: gli stati motivazionali e gli stati epistemici. Quest’ultimi riguardano i pensieri, le credenze e le attività mentali orientate alla conoscenza. Gli stati motivazionali sono invece connessi ad attività mentali come sentire, volere, desiderare, sperare.

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Normalmente noi non agiamo sulla base delle cose come sono realmente, ma sulla base delle nostre rappresentazioni, cioè su come pensiamo che esse siano. Per un bambino acquisire una “teoria della mente” significa avere la capacità di capire che esistono punti di vista differenti dal suo, comprendere che il comportamento manifesto di una persona può non coincidere con il suo stato interno e che questo è prevedibile e spiegabile. Questa capacità insomma permette di distinguere la sfera soggettiva (opinioni personali e valori) dalla sfera oggettiva (i fatti), si rende conto inoltre che le persone possono rappresentarsi la realtà interpretandola in maniera diversa.

Concludendo la funzione primaria della “teoria della mente” è di tipo sociale e personale, serve nelle interazioni sociali per comprendere al meglio il comportamento degli altri. E se questa questa facoltà fosse carente, cosa comporterebbe?

Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Psicologia Ingenua.

Fonte Immagine Google.

Gli eventi sociali che osserviamo quotidianamente e in cui siamo calati, assumono senso ai nostri occhi poichè filtrati da tutto un apparato di attribuzioni di intenzionalità che forma la trama delle nostre relazioni sociali.

Questi sistemi di interpretazione degli esseri umani sono indicati con l’espressione folk psychology.

Buona Lettura.

Il termine folk psychology può essere tradotto con psicologia popolare o ingenua e si riferisce – come Cornoldi, 1995, ricorda- alla comprensione ingenua che la gente ha dei propri stati mentali.

Secondo Goldman per conoscere questi contenuti mentali ai quali gli individui non hanno accesso diretto, è necessaria una scienza cognitiva che sappia indagare tali contenuti. Goldman stesso ritiene che i parlanti maturi abbiano bisogno di una serie di termini mentalistici (volere, potere, felice, annoiato, ..) che debbano essere utilizzati per formulare frasi o espressioni mentalistiche più complesse.

Numerosi studi sono stati condotti nell’ambito della psicologia sociale, indagando il giudizio sociale ovvero come le persone cercano spiegazioni per il loro o altrui comportamento.

Il primo ad indagare ciò è stato Heider, fermo sostenitore del fatto che compito della psicologia del senso comune era comprendere il modo in cui le persone interpretano gli avvenimenti del loro mondo sociale. Le persone agiscono infatti seguendo le logiche di una epistemologia ingenua, i cui assiomi possono essere compresi o evidenziati attraverso l’analisi del linguaggio che le persone stesse (che stanno spiegando le proprie esperienze), mettono in atto.

Nella vita quotidiana facciamo continuamente inferenze o previsioni circa il comportamento dell’altro; ne analizziamo gli scopi, le credenze. Le previsioni che facciamo circa il modo di comportarsi degli altri spesso hanno successo e consentono- di solito- una buona coordinazione tra le persone (pertanto una buona gestione sociale).

La psicologia del senso comune assume che la condotta sia regolata da un sistema gerarchico di scopi e credenze nonché da meccanismi di regolazione dei conflitti tra gli scopi. Le persone quindi agiscono in vista dei loro scopi e giudizi e se insorgono incompatibilità tra scopi, attuano un bilancio che poi porta ad una scelta.

Tutto cambia quando subentra la psicopatologia che – invece- sfida gli assunti del senso comune.

Tale sfida è quasi quotidianamente sotto gli occhi di tutti.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.