Anna O., è certamente l’isterica più famosa al mondo…
Queste parole, tuttavia, non rendono giustizia a Bertha Pappenheim (vero nome della ragazza), la ventunenne a cui la psicoanalisi deve molto.
Conosciamo insieme qualcosa sulla vita della ragazza che “ad una certa ora della giornata, al tramonto, si rasserenava e andando in uno stato di sopore, trovava -attraverso l’uso della parola- ordine e senso ai suoi bizzarri sintomi”.
Guardiamo il tramonto insieme ad Anna, colei che capì l’importanza della “talking cure”.
Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767
Il viaggio di oggi nasce dal desiderio di presentarti un po’ più da vicino, l’evoluzione della psicologia in Italia. Spesso, in seguito alla conduzione di alcuni colloqui clinici, emerge un certo grado di sconforto in noi clinici; sconforto dovuto alla ben nota confusione che circonda la figura dello psy. Farò un po’ più mio questo viaggio, ti presenterò infatti un breve excursus storico della storia della psicologia (date alla mano, vedremo come siamo giunti a ciò che oggi è lo psicologo in Italia), costeggeremo la figura -non sempre professionale- dei vari coach e giungeremo al mio articolo preferito (ART. 4, Codice Deontologico degli Psicologi). Buon viaggio e Buon ascolto.
Il viaggio di oggi ci porterà tra le stanze del nostro cervello; faremo una tappa “storica”, addentrandoci in un argomento che ancora desta perplessità e sconcerto. Viaggeremo alla scoperta della lobotomia, una pratica nata intorno al 1935 quando due medici ricercatori John Fulton e Carlyle Jacobsen, illustrarono ai loro colleghi i progressi ottenuti con tale tecnica su due scimpanzé. Mettiamoci comodi allora, buon viaggio e buon ascolto.
Il principale problema fu per Freud far comprendere cosa fosse lo psichismo e il funzionamento di quell’apparato che identifichiamo come psiche. Il problema risiedeva nel fatto che lo psichico, non combaciava con i consimili “anima, spirito”.
Per rispondere alla domanda “cosa è lo psichico”, possiamo rimandare ai suoi contenuti ovvero le nostre rappresentazioni, le percezioni. Lo psichico in sé è tuttavia inconscio, pertanto descrivere lo psichismo vuol dire rappresentarlo in modelli e i modelli teorici che Freud aveva a disposizione facevano capo al modello neurofisiologico.
Il progetto, 1895.
L’intenzione di Freud era quella di dare, della psicologia, una spiegazione come scienza naturale; è per questo motivo che Freud decise (inizialmente) di fondare la psicologia su presupposti teorici e metodologici della neurofisiologia.
In realtà (come testimonia il carteggio fatto con Fliess), il tentativo di dare una base neurofisiologica alle nevrosi, fallì.
Nonostante fosse prerogativa dell’epoca cercare di ridurre i fenomeni psichici a fenomeni neurofisiologici, Freud ne “l’Inconscio” sostiene che tutti i tentativi di stabilire che le rappresentazioni sono accumulate in cellule nervose, sono falliti. Le idee principali che si incontrano leggendo il Progetto sono:
I neuroni sono gli elementi di base del sistema psichico.
C’è una relazione tra funzioni nervose e attività psichica.
Ci sono due tipi di funzionamento: il processo primario (che indica come la funzione primaria del sistema nervoso sia la scarica a cui viene connessa con l’esperienza del piacere) mentre il dispiacere/dolore viene ricondotto ad un incremento delle cariche che riconducono al processo secondario.
Freud definisce processo primario “l’investimento di desiderio portato fino all’allucinazione” mentre processo secondario “tutti quei processi che sono resi possibili da una buona carica dell’Io e che funzionano da moderatori del processo primario”.
Un recente colloquio mi spinge, ancora una volta, a parlare della figura professionale dello psicologo. Lo sconforto che diventa lentamente rabbia (perché sì, anche gli psy più pacifici del mondo sbroccano ), mi ha fatto venire in mente la possibilità di condividere con voi un punto che è, tra i tanti, uno di quelli che mi ha fatto capire che con la psicologia sono “nel posto giusto”.
Prima di giungere al punto in questione, non me ne vogliate, ma devo fare un piccolissimo accenno storico (lo so.. la storia è noiosa ma qualche data di riferimento è ahimè necessaria; un po’ di pazienza).
Brevemente:
La psicologia nasce nella seconda metà dell’800 presentandosi come la commistione di discipline quali la filosofia, medicina, biologia, fisiologia, e così via..
Dal 900 si assiste alla nascita di svariati filoni americani; si sviluppa -acquisendo rilevanza- la psicologia dinamica; abbiamo i lavori del Maestro Freud e dalla metà del XX secolo la pratica professionale cresce e si sviluppa (sia in ambito clinico che di ricerca).
Accade che, innanzi alla maggiore specializzazione di un sapere e di una figura professionale (cosa che a breve vedremo), cominciano a diffondersi diatribe con psichiatri e medici (sempre più convinti della bontà della sola pratica medica e dell’uso delle medicine); inizia la diffusione di una moltitudine di scuole di specializzazione e di corsi universitari che di fatto, frammentano il sapere, e .. il problema del secolo : si diffondono figure come i life coach, i motivatori, i counselor e i vari maestri di vita che, forti di avere un qualche sapere para psicologico tra le mani, sono convinti di aiutare le persone causando solo ulteriori danni.
La psicologia in Italia è passata attraverso le seguenti tappe:
1905: quinto congresso internazionale di Psicologia a Roma il quale sancisce la nascita pubblica della disciplina in Italia
1910: nasce la Società Italiana di Psicologia
1921: nasce la società Psicoanalitica Italiana SPI
1971: a Roma e Padova si aprono i primi due corsi universitari di Psicologia della durata di 4 anni
1973: viene varato il primo disegno di legge sulla professione dello psicologo: “la professione di Psicologo comprende l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, diagnosi, attività di abilitazione- riabilitazione e si sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alla comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito (…) .. “
Il ruolo professionale specifico viene definitivamente sancito dalla legge 56 del 1989 sull’Ordinamento Giuridico della professione, istitutivo dell’albo professionale e dell’ordine degli psicologi.
Il Codice Deontologico degli Psicologi è stato approvato dal Consiglio Nazionale il 28 giugno 1997 e, dopo approvazione attraverso referendum, è entrato in vigore il 16 febbraio 1998.
Il codice è costituito da 42 articoli (che impariamo a memoria) suddivisi in 5 gruppi omogeni che vanno a costituire i capi:
Capo I Principi generali
Capo II Rapporti con l’utenza e con la committenza
Capo III Rapporti con i colleghi
Capo IV Rapporti con la società
Capo V Norme di attuazione.
Nel capo I, è presente il mio articolo preferito, quello in sostanza che mi rappresenta e che da sempre, mi ha fatto comprendere che la Psy per me non è semplice lavoro ma si presenta come quei maglioncini di filo leggeri.. quelli che puoi usare in qualsiasi stagione dell’anno perché d’inverno non creano troppo volume e puoi metterci un cappottino sopra; in autunno tengono caldo (ma non troppo); in primavera riparano da qualche improvviso temporale o folata di vento e d’estate, sul mare di sera, riparano dall’umidità.
Insomma la Psy tiene e contiene la mia esistenza abbracciandomi quotidianamente senza essere invadente ma presente.
L’articolo comunque dice:
art4 “Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta le opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità.
Lopsicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.
Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto.
In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso”.
Con il termine apprendimento ci si riferisce al cambiamento relativamente stabile del comportamento di un soggetto rispetto a una specifica situazione sperimentata ripetutamente.
Ne deriva che per ottenere l’apprendimento, c’è bisogno della ripetizione dell’esperienza. A tal proposito possiamo seguire :
Le teorie Associazioniste (Teorie stimolo- risposta) o le Teorie Cognitive Classiche.
Teorie Associazioniste: Si tratta di teorie di derivazione empirista che confluiscono nell’approccio comportamentista. Il soggetto si limita a registrare passivamente gli stimoli che riceve dall’ambiente. Ciò che impara è pertanto una copia di ciò di cui si è fatta esperienza. L’apprendimento è quindi abitudine, capacità a fare qualcosa.
Teorie Cognitive classiche: un esempio è la Gestalt; tali teorie fondano l’apprendimento su un processo di elaborazione intelligente degli stimoli presenti nell’ambiente. Il soggetto agisce sull’ambiente attivamente utilizzando diverse funzioni cognitive per elaborare stimoli nuovi. Ciò che resta nel repertorio comportamentale di un individuo non è riproduzione del percepito, ma avviene tramite un processo di elaborazione. L’unico oggetto di studio scientificamente misurabile è il comportamento manifesto esibito in seguito all’esposizione ripetuta e controllata a stimoli ambientali.
Quella di Phineas Gage è forse una delle storie più utilizzate e raccontate nei manuali e nei testi universitari di Psicologi, Neuropsicologi e probabilmente anche di Neurologi e Psichiatri.
La storia di Gage è piuttosto drammatica, ma con un probabile finale a lieto fine. Inoltre ha un grandissimo interesse scientifico, proprio a causa della eccezionalità dell’evento, assai complesso (forse impossibile) da ripetere.
Gage aveva circa 25 anni e correva l’anno 1848. Lavorava come caposquadra alla costruzione di una ferrovia nel nord-est degli Stati Uniti. Un giorno per un errore nel maneggiare un esplosivo, una sbarra di ferro, presente sul luogo dell’incidente, lunga circa un metro e pesante sei chili, proiettata in aria dall’esplosione, gli trafigge il cranio.
Probabilmente Gage era un uomo fortunato perché, la traiettoria della sbarra di ferro sarà tale da trafiggere la parte bassa dello zigomo, di attraversare la parte frontale del cranio, per poi uscire dalla parte alta. La sbarra la troveranno a circa venti metri dal corpo. Gage incredibilmente sopravvisse. Infatti perse i sensi per alcuni minuti, ma si risvegliò cosciente. Dopo aver curato le ferite, Gage fu dimesso e andò a vivere dai genitori. Dopo averlo soccorso, uno dei medici che lo curò, Martyn Harlow disse: “l’equilibrio tra le sue facoltà intellettive e propensioni animali sembra distrutto”.
Questo caso è portato ad esempio proprio per la comprensione del ruolo dei lobi frontali del cervello, come sede della personalità. Nonostante i danni neurologici in quest’area del cervello, una persona sarà capace di vivere e svolgere le normali funzioni, ma avrà degli evidenti cambiamenti nella propria personalità.
Prima dell’incidente (raccontano le cronache), Gage era benvoluto e determinato, un gran lavoratore. Dopo l’incidente diventa irrispettoso, volubile, osceno, incapace di tenersi un lavoro. si racconta che nel 1850 troverà lavoro esibendosi come attrazione da circo nelle città nord americane.
La sua vita, poi prenderà una svolta, troverà infatti lavoro in una ditta di trasporti in carrozza nel New Hampshire e dopo un anno e mezzo si trasferirà in Cile, dove guiderà la diligenza tra Santiago e Valparaiso. Nel 1859, la sua salute peggiorerà, sarà quindi costretto a ritornare in patria. Si riprenderà e continuerà a lavorare fino al 1860. Morirà circa 11 anni dopo il suo incidente.
Una foto di Phineas Gage e del suo cranio – (immagine google)
Nella normale narrazione che si è fatta per anni, si è dato molto risalto alle conseguenze, neurologiche e psicologiche dell’incidente, ma forse quel tipo di narrazione (Gage non era più Gage) è stata un po’ “esagerata”. In alcuni documenti trovati nel corso degli anni e risalenti al 1850 e al periodo cileno, Gage è descritto come una persona del tutto guarita e capace di lavorare e prendere decisioni. Il fatto di essere stato capace di guidare, a metà del diciannovesimo secolo, le diligenze per circa dodici ore al giorno, non era affatto una cosa semplice. Come dice Mcmillan (un ricercatore che ha studiato a fondo la sua storia) “occorrevano complesse abilità sensoriali, motorie e sociali” per fare quel tipo di lavoro.
A quanto pare Gage era riuscito a riabilitarsi, tanto da affrontare compiti impegnativi e routine ordinarie per una persona normodotata.
Negli ultimi studi fatti (basandosi sui resoconti dell’epoca e sul il cranio di Gage conservato all’epoca da Harlow), anche con tecniche computerizzate, in grado di simulare l’impatto la traiettoria della sbarra, si è potuto accertare che fu colpito l’emisfero sinistro. Erano stati danneggiati tratti della materia bianca nel lobo frontale sinistro, ma non nel destro. In realtà poi questi studi concludono che in effetti non possiamo avere la certezza assoluta del percorso della sbarra e delle parti del cervello danneggiate, perché la posizione del cervello nel cranio e la locazione dei vari centri al suo interno possono cambiare leggermente da persona a persona; inoltre si ignorano i danni aggiuntivi dovuti all’impatto, all’ematoma, alla perdita di sangue, alle schegge di osso e alle probabili infezioni.
In ogni caso, se l’emisfero destro era rimasto intatto è molto facile immaginare che avesse supplito, sostituendosi, alle funzioni perse all’emisfero sinistro.