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Riflessione Psy.

I recenti eventi geopolitici hanno portato tutti noi -tecnici o meno- alla riflessione.

Molti si sono indignati, tanti si sono stretti intorno alle sorti di un popolo, molti altri stanno storcendo il naso perché “le guerre degli ultimi sono all’ordine del giorno! Perché ora tutti solidali? Sarà solo per avere credito su qualche piattaforma?”.

In questi giorni allora, la mia (stanca e sempre accelerata) mente, si è data alla riflessione più spietata (che almeno quella, la riflessione spietata, non fa vittime, giuste o sbagliate che siano)…

La guerra in Ucraina pare ci stia toccando particolarmente, perché mai? Ci sono guerre di cui nemmeno ne conosciamo l’esistenza.

In Africa ci sono 31 Stati e 291 tra milizie-guerrigliere, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti; in Asia 16 Stati e 194 tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti; Europa 9 Stati e 83 tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti; Medio Oriente 7 Stati e 266 tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti e così via.

Qualcuno ha poi evidenziato le guerre a cui quotidianamente, l’umano è esposto.

Quale diventa la riflessione possibile?

(Da clinica la mia riflessione muove seguendo, come sempre, le linee dell’inconscio pertanto essendo lui, l’inconscio, atemporale, potrei non seguire una certa linearità nel discorso).

Nei colloqui clinici che ho portato avanti nella settimana che oggi si conclude, non c’è stato ragazzo/a o signore/a che non abbia detto “Dottorè tengo l’ansia… mo anche la guerra! Ansia.. Panico… ho paura.. sono spaventato.. Prima il covid mo questa.. e mo come facciamo? Povera gente… Ma si rende conto all’improvviso le bombe e tu che devi scappare?”

Mi sono allora chiesta il perché, nonostante in passato ci siano state guerre anche più vicine, pare esserci (reale o meno che sia) una mobilitazione e un sentire fisico/psicologico maggiore, ora, per il popolo ucraino?

La mia mente da Psy ha provato a darsi risposta rintracciando nei suoi circuiti neuronali i ricordi di alcuni esperimenti. Stanley Milgram (senza scendere nel dettaglio, che poi, se la mia mielina funziona ancora bene, mi sembra di aver già condiviso i suoi esperimenti in passato), studiò un fenomeno assai interessante.

In maniera troppo breve dirò che l’esperimento consisteva nel sottoporre delle scosse elettriche ad intensità crescente, ad una certa vittima. Il soggetto che dava la corrente elettrica (le scosse), al malcapitato, obbediva a degli ordini. Le scosse nella stragrande maggioranza dei casi, venivano date anche sentendo colui che le riceveva lamentarsi e urlare dal dolore.

Quando Milgram e collaboratori, trassero i risultati scoprirono un dato interessante: Il grado di obbedienza all’autorità variava sensibilmente in relazione a due fattori: la distanza tra insegnante e allievo e la distanza tra soggetto sperimentale e sperimentatore.

Detto in maniera ancora più semplice: se la vittima non era a contatto diretto, per così dire, con colui che somministrava le scosse, questo era più propenso ad infliggere dolore a colui che aveva, nel momento, il ruolo di studente.

Che c’entra ora, questo esperimento?

L’esperimento mostra che più qualcosa ci è vicino, più siamo propensi a stabilire un contatto emotivo con questo qualcosa.

L’Ucraina ci è vicina, forse, per diversi motivi.

Siamo abituati da anni ad avere uno scambio aperto con l’Ucraina (e no: gli ucraini non sono solo un popolo di camerieri, badanti e amanti come qualcuno in tv ha detto. Chiedo scusa io).

L’Ucraina è sentita geograficamente ed emotivamente vicina e in un momento in cui causa pandemia, l’assetto psicologico delle persone vacilla, una guerra così vicina: fa paura.

Diviene la guerra in Europa e la Russia il nemico comune contro cui scagliarsi.

Perché l’Africa no? Perché ci siamo subito dimenticati delle donne Afghane?

Perché (anche qui chiedo scusa io) se l’Africa per me è casa, per molti altri è un continente lontano da distruggere e da lasciar affogare; che se per le donne Afghane si sono sprecate fiumi di poesie qualche mese fa ora: il Medio oriente è lontano… sai cosa può interessare della violazione dei diritti umani a certi che per pura fortuna statistica, sono nati in zone dove si sentono così tanto umani da essere disinteressatamente disumani?

Allora a me innanzi a certe immagini è passata la fame, e non solo per un giorno… come un certo papa vuole fare.

La guerra in Ucraina è la guerra di tutti perché fino a quando per il motivo più nobile o becero si farà (o si potrà fare) ricorso a qualsivoglia forma di violenza agita, immaginata, detta, armata, o minacciata, io proverò dolore e potrò solo continuare a chiedere scusa per qualcosa, ne sono sicura, poteva essere evitato.

Continuo a credere e a costruire, ponti.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Yes, Sir! Obbedire è una scelta?

Fonte Immagine “Google”.

In precedenza ho descritto l’esperimento di Asch il quale mostrava un modo di conformarsi agli altri, a “parole”. Ciò che invece andrò ad approfondire adesso, è un altro modo di conformarsi ovvero, quello che concerne l’obbedienza, il comportamento e la condotta. Approfondiamo insieme gli esperimenti di Milgram sull’obbedienza.

Gli esperimenti di Milgram sono noti come “esperimenti sulla norma dell’autorità o norma dell’obbedienza” e indagano cosa accade quando le richieste di un’autorità entrano in collisione con quelle della coscienza di chi riceve la richiesta. Milgram condusse l’esperimento all’università di Yale, costruendo il seguente scenario:

“Due uomini si presentano all’università per partecipare ad uno studio di apprendimento e memoria; i due vengono accolti da uno sperimentatore austero che, vestito di camice bianco, spiega che si tratta di uno studio pionieristico sull’effetto delle punizioni sull’apprendimento. L’esperimento richiede che uno dei due uomini insegni all’altro una lista di coppie di parole, punendo gli errori commessi somministrando una scossa elettrica di intensità crescente. L’assegnazione dei ruoli avviene in modo casuale estraendo a sorte da un cappello. In realtà uno dei due uomini convocati presso l’università è un complice dello sperimentatore (confederato) e proprio lui dirà di aver estratto il cartoncino con scritto “studente”. All’altro soggetto sarà quindi affidato il ruolo di insegnante. L’insegnante riceverà una scossa indicativa, prima di iniziare l’esperimento e vedrà successivamente legare ad una sedia con degli elettrodi, lo studente. L’esperimento prosegue con l’insegnante che prende posto davanti un generatore di corrente (in realtà finto) congegnato con una serie di interruttori (30) che vanno da 15 a 450 volt. Sugli interruttori ci sono delle etichette che riportano il tipo di intensità della scossa “scossa leggera, scossa molto forte, pericolo.. XXX” Lo sperimentatore dice all’insegnante di aumentare il livello della scossa ogni volta che lo studente sbaglia la coppia di parole. A ogni scatto dell’interruttore lampeggia una luce, scatta un relè e si sente un ronzio”.

L’obiettivo di Milgram era verificare fino a che punto l’insegnante avrebbe deciso di somministrare le scosse, soprattutto nel momento in cui lo studente manifestava apertamente sofferenza/dolore e la volontà di porre fine all’esperimento. In risposta alle domande dell’insegnante e alle richieste di terminare l’esperimento, lo sperimentatore dice che la non risposta dello studente va considerata errore e pertanto, punita. Per fare in modo che l’insegnante continui l’esperimento e sottoponga la coppia di parole allo studente, lo sperimentatore usa 4 incitamenti verbali:

1- Per favore continui

2- L’esperimento richiede che lei continui

3- E’ assolutamente necessario che lei continui

4- Non ha altra scelta; deve continuare

Milgram descrisse l’esperimento a centinaia di psichiatri, studenti e adulti della classe media, e tutti sostennero che non sarebbero andati oltre i 135 volt…

Nessuno si aspettava che qualcuno avrebbe sottoposto scosse di livello XXX del pannello elettrico. Milgram sottopose all’esperimento 40 uomini di età compresa tra i 20 e i 50 anni, 26 di loro (65%) arrivò fino alla fine ovvero 450 volt.

Milgram sostenne che la cieca obbedienza espressa da coloro che rivestivano il ruolo di insegnante, dipendesse da una serie di fattori ovvero:

la distanza emotiva dalla vittima: l’obbedienza era maggiore quando gli insegnanti non potevano vedere da vicino lo studente. Se la vittima era lontana e non si sentivano le lamentele/sofferenza quasi tutti obbedivano ciecamente all’ordine dato. Questo punto è interessante in quanto è ciò che accade quotidianamente in ogni forma di conflitto o guerra.

la vicinanza dell’autorità e la sua legittimità: la presenza fisica dello sperimentatore (austero e in camice) aumentava l’obbedienza. Se il comando era dato telefonicamente, questa calava al 21%.

L’appartenenza dell’autorità a un’istituzione rispettata: maggiore è il prestigio dell’autorità più alta è la possibilità che un soggetto obbedisca. La ricerca condotta dalla prestigiosa università di Yale aveva più credito di quella condotta da una sconosciuta università di paese.

L’effetto liberatorio dell’influenza del gruppo: Milgram colse l’effetto liberatorio del conformarsi in gruppo (pertanto una versione positiva del conformismo di gruppo) quando notò che se si accostava all’insegnante una coppia di complici che lo aiutavano nella procedura, e questi complici ad un certo punto si ribellavano sostenendo che fosse inumano somministrare scosse, anche l’insegnante (90%) si ribellava mettendo fine all’esperimento.

Gli studi di Milgram sono stati a lungo discussi poichè inizialmente indicati come eticamente scorretti. Dal punto di vista personale più che altro sorrido perchè da questi esperimenti in poi, nell’opinione comune si è diffusa la malsana idea che gli psicologi durante gli esperimenti sottopongano scosse alle loro “cavie”. A tal proposito mi si permetta una divagazione : durante i primi giorni di corso durante la laurea triennale, il mio professore di psicometria chiese ai 350 studenti che aveva di fronte, perchè non aiutassimo i nostri colleghi laureandi, e ci rifiutassimo di partecipare agli esperimenti. La risposta di più del 90% di noi studenti fu “perchè voi utilizzate le scosse”: psicologi vittima di uno dei bias più antichi sulla psicologia.

Ritornando all’argomento approfondito, sarebbe interessante riprodurre ancora oggi l’esperimento e sono piuttosto curiosa di sapere se secondo voi, questo esperimento può avere o meno una validità.

Nel frattempo passo la palla al mio collega -il Dott. Rinaldi- che continuerà questi approfondimenti con un’altra sfaccettatura -ancora- dell’argomento. Resto in attesa dei vostri preziosi feedback e grazie per la lettura.

Fonte “Youtube”.

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio.