L’approfondimento di oggi ci porta ad indagare un campo di indagine affascinante e complesso. Nel corso di un supporto psicologico può accadere che il bambino, l’adolescente o il giovane adulto, possa vivere una difficoltà nel verbalizzare un certo tipo di contenuti. In questo caso è possibile utilizzare degli strumenti che aiutino la persona ad elicitare, a cacciar fuori, il contenuto inconscio terrorizzante, spaventante, a cui non si riesce a dare un nome.
Scopriamo l’uso delle marionette in terapia.
Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767
Quanto segue è il resoconto -per ovvie ragioni opportunamente camuffato*- del supporto psicologico portato avanti con un paziente di circa 40 anni.
Davide chiede un incontro con la psicologa, allertando il centro in cui lavoro. La richiesta dell’uomo è spiazzante per le volontarie poiché l’uomo è conosciuto per tutt’altri motivi. L’enfasi con cui la richiesta è -dal personale- accolta, desta in me profonda inquietudine tanto da aggiungere un’ora extra al mio solito orario.
Davide giunge in consultazione presentandosi con largo anticipo. E’ vestito molto alla moda e si presenta molto più giovane rispetto alla sua età. Si muove nello spazio ondeggiando in maniera fluida e appena si accomoda sulla sedia, getta via il pesante (e costoso) giubbino.
Il motivo per cui Davide ha chiesto un appuntamento “il prima possibile” è dovuto al fatto che ha avuto, recentemente, seri problemi lavorativi e personali.
La storia che l’uomo mi racconta è costellata da eventi traumatici e abusanti; ripetutamente vittima di bullismo (tanto da esser più volte ricorso alle forze dell’ordine portando in tribunale i suoi aguzzini), Davide sembra esser nato vittima.
C’è qualcosa di strano nei racconti dell’uomo; lo sguardo e la posa del corpo con cui mi parla della sua tormentata vita mi restituiscono un controtransfert che mi porta a non colludere troppo con il racconto.
In sostanza accade che Davide non fa che raccontare a tutti (per esempio mentre aspetta il suo turno) la sua tormentata vita; tutti (in particolar modo le donne) piangono insieme a lui, gli offrono frasi di sostegno piuttosto scontate ma costanti.
Davide trova improvvisamente decine di dottoresse di fortuna pronte a contenere i suoi pianti.
Noto che nel momento in cui l’uomo racconta a tutti della sua tremenda vita, ha come un ghigno sul viso. Davide diventa quasi come Joker con quel sorriso maligno accerchiato da persone che non sanno più come scusarsi per tutta la sofferenza che gli altri gli hanno causato.
I nostri incontri proseguono e l’uomo arriva sempre in orario senza mai mancare; i giorni diventano settimane e Davide racconta. Utilizzo alcuni strumenti psicodiagnostici, i reattivi grafici proiettivi possibili e altri strumenti…
Emergerà con sempre maggior forza che Davide è crudele.
Il suo passato da vittima lo ha trasformato in un “bullo” in piena regola.
Alcuni episodi circa il suo comportamento, che saranno raccontati, sono risultati -a chi scrive- piuttosto difficili da accogliere ma il nostro percorso è continuato.
I narcisisti maligni sono bugiardi, ipocriti e manipolatori affettivi. Hanno un’alta considerazione di loro stessi, esagerano le proprie capacità, appaiono spesso presuntuosi, credono di essere speciali, superiori, di dover essere soddisfatti in ogni loro bisogno e pretendono di avere diritto ad un trattamento particolare. Ma questo non basta (altrimenti avremmo a che fare con un “normale” narcisista). Il tutto risulta supportato dal comportamento maligno che porta tale soggetto ad avere anche tratti borderline, antisociali e paranoici.
I manipolatori perversi hanno come obiettivo quello di agire attraverso lamanipolazione e il raggiro per far compiere al proprio interlocutore delle azioni che tornano ad esclusivo vantaggio personale, si approfittano dell’amore altrui a scopo egoistico.
Davide ha trovato innanzi una persona (per di più donna) che per la prima volta non ha ceduto al suo (presunto) fascino né ha creduto che il mondo ce l’avesse con lui.
L’uomo è stato ovviamente aggressivo, in certi momenti, cattivo. La vittima spaesata e sola è diventata un bullo crudele travestito da piccolo uomo che non è mai potuto essere (a detta sua), bambino, adolescente e -ora- uomo al 100% perché tutti ce l’hanno con lui.
Il percorso difficile e complesso è possibile a patto che si accetti, che il terapeuta (almeno in questo caso) non è una pedina manipolabile.
“La dottoressa è cattiva!”
Forse..
Deontologicamente corretta.
“Finisce bene quel che comincia male”
Dott.ssa Giusy Di Maio
*Tutti i dati sensibili saranno opportunamente camuffati al fine di proteggere il cliente, secondo quanto espresso dagli articoli in merito al segreto professionale e alla tutela del cliente, ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi
Un giorno a lavoro in una nuova struttura mi informarono che c’era un uomo di circa 30 anni che da diverso tempo si isolava.
Era in Italia da ormai diverso tempo, forse tre o quattro anni. Era stato sempre paziente, socievole, un gran lavoratore. Rispettoso delle regole e delle persone con cui condivideva la sua stanza e gli spazi del luogo che lo ospitava.
Ad un tratto, stanco e frustrato dall’attesa della farraginosa burocrazia dei documenti, si chiuse in se stesso. Era costretto all’inerzia, in una condizione paradossale in cui era letteralmente un prigioniero senza cella.
Viveva ormai da qualche tempo isolato, in mezzo agli altri. Passava ore a guardare l’orizzonte, mangiava poco e non parlava con nessuno.
Quel mondo lo aveva tradito.. e lui aveva deciso di rinchiudersi nella sua testa.
Il suo corpo mostrava delle cicatrici, la sua storia e la sua mente erano costellate da numerose ferite ancora aperte, che provocavano dolore.
Lui sopportava quel dolore in silenzio e si rifugiava nella sua mente.. che inesorabilmente si stava ammalando..
Il viaggio di oggi ci porta nella mia stanza dei colloqui.
Una delle curiosità maggiormente diffuse, concerne il momento in cui un supporto psicologico o una psicoterapia volge al termine: “come ci si accorge che il percorso psicologico è giunto al termine?”.
Oggi voglio quindi parlarti di quel delicatissimo (e denso di significato) momento che è la conclusione della relazione tra paziente e psicologo. Perché -ancora una volta lo ricordo- la relazione terapeuta paziente, è qualcosa di unico, specifico di quella data relazione che si viene a creare tra due persone in quello specifico momento (quindi sempre diversa) e specifica di una certa figura professionale.
Il caso clinico che condivido oggi è piuttosto complesso e particolare, motivo per cui l’indecisione sul procedere o meno, con la scrittura, è stata piuttosto forte fino alla fine.
E’ compito del clinico proteggere il cliente nel mentre si condivide la propria esperienza clinica con i colleghi e si fa, ancora, un resoconto a terzi per procedere con l’attività di promozione del benessere psicologico.
In accordo, quindi, con quanto espresso dal Codice Deontologico degli Psicologi (ART.4,9,11,17,28,segreto professionale e dalla tutela del cliente )condivido la storia di un giovane uomo che chiameremo Salvo.
Buona lettura.
Salvo mi contatta perché non riesce a gestire continui dolori che sente ovunque nel corpo. Ha strane sensazioni, formicolii incessanti che non lo fanno dormire né stare sereno durante il giorno, cedimenti muscolari (così lui li definirà durante la consultazione) e continua sensazione come di “essere in un frullatore”; un frullatore che sembra voglia sbriciolargli le ossa.
Durante la telefonata il tono del giovane è molto frettoloso; Salvo sembra voler già durante la nostra prima telefonata, metter fine alle sue sofferenze. E’ veloce nell’eloquio ma molto schematico e minuzioso tanto da doverlo stoppare per ricordargli che “di questo, parleremo nel nostro incontro”.
Nei giorni seguenti mi capiterà di pensare diverse volte a quella voce “veloce e schematica”, andando incontro a ciò che dai miei studi, so essere la fase delle fantasie del clinico (come Carla Candelori, ricorda); quell’importantissima zona di collegamento (fatta dalle fantasie stesse) che separa il clinico dall’incontro con il suo paziente.
Salvo giunge in consultazione; è un ragazzo molto alto e atletico, ha grosse spalle, braccia molto lunghe è ben proporzionato e vestito; ha il viso da classico bravo ragazzo. I movimenti del corpo di Salvo sono lenti a tratti meccanici poi d’improvviso veloci e convulsi. C’è qualcosa di stranamente affascinante ma al contempo vibrante, negli occhi del ragazzo. E’ una sensazione strana quella che proviene dalla persona che sta seduta dall’altra parte della scrivania, è quasi come se qualcosa prima o poi, salterà fuori…
“Ecco Dottoressa, questo mi succede. Sento che il mio corpo non risponde a quello che gli chiedo. Sti dolori poi… le ossa Dottoressa… sento le ossa che mi pulsano dentro; lo so che le ossa non pulsano mica sono scemo… però sento come non lo so.. qualcosa dentro che si sta sbriciolando”.
D’improvviso la parola ossa, mi riporta ai miei studi di citologia. Le ossa formano il sistema scheletrico. Sono formate dal tessuto osseo, ovvero un tessuto dall’alta concentrazione diminerali, caratterizzato da notevole durezza e grande resistenza meccanica, con funzioni connettive e di sostegno. Le ossa hanno forme, densità e dimensioni diverse. Le ossa hanno diverse funzioni: molto brevemente, costituiscono la riserva e il deposito di minerali come calcio, fosforo, sodio; Il midollo osseo in loro contenuto ha la facoltà di produrre le cellule del sangue; Danno forma e sostegno alle parti del corpo da cui sono formate; Grazie all’interazione con i muscoli e i tendini consentono il movimento degli arti; Hanno fondamentalifunzioni protettive (si pensi all’importanza del cranio nella protezione del cervello); Danno supporto e stabilità anche in mancanza di movimento.
Salvo mi sta in sostanza dicendo di sentire la sua impalcatura non solo vacillare, ma anche non rispondere ai “suoi comandi”; sente -inoltre- che qualcosa dall’interno si sta sbriciolando.
Sente che il suo sostegno, lo sta abbandonando senza un minimo di preavviso.
Salvo è un uomo intelligente, la sua cultura è disarmante; ha voglia di mettersi in gioco e di capire che cosa -da dentro- lo sta abbandonando.
La qualità del pensiero, però, comincia ad essere sempre più eccentrica. Recenti eventi nella vita dell’uomo (insieme ad eventi passati della sua esistenza), metteranno a dura prova l’aderenza alla realtà di Salvo.
L’esordio psicotico (FEP – First Episode Psychosis) avviene in genere prima dei 30 anni, l’insorgenza in età adolescenziale, con esordio prima dei 18 anni, è stimata del 18% (Davi, 2014). Anche se può presentarsi come un evento apparentemente improvviso, ci sono (come Salvo ben mostra), fasi prodromiche che hanno una durata media di 5 anni durante le quali avvengono una serie di cambiamenti e anomalie psicologiche e comportamentali.
Una sera Salvo decide di scavare tra le sue 206 ossa, nella speranza di trovare questo qualcosa che da dentro, lo stava mangiando e sbriciolando.
Salvo prende un coltello e comincia a scarificarsi con una forza indicibile. La famiglia (fino a quel momento blando ma caotico orpello nella vita del giovane), riesce a chiamare abbastanza prontamente i soccorsi.
Quando vedrò Salvo, avrò la sensazione di vedere non più il corpo di quel giovane atletico del primo incontro; vedrò innanzi a me tutte le 206 ossa parlanti.
Attraverso la storia di una donna, andiamo alla scoperta del Disturbo Istrionico di personalità.
Le persone con disturbo istrionico di personalità (un tempo disturbo isterico di personalità), sono estremamente emotive (emotivamente cariche) e cercano di continuo di essere al centro dell’attenzione (APA, 2000)…
Aminah è una ragazza di 16 anni di origine nord africana.
Ha uno sguardo intenso, silenzioso e pieno. Gli occhi neri sono talmente scuri da rendere l’intensità della notte; quelle notti in cui tutto sembra possibile e puoi giocare a costruire il tuo futuro.. i tuoi sogni.. le tue speranze.
La ragazza soffre di forti crisi di panico; un’ansia costante la tiene così tanto in allerta da farla svenire dopo aver visto “tutto nero”. Aminah è in Italia con la sua famiglia ma il padre l’ha appena informata che presto lei dovrà ritornare nel suo paese per sposare l’uomo che la sua famiglia ha trovato per lei.
Aminah confessa di avere ideazioni suicidarie perché non può dire “NO!”, al padre.
L’invio della giovane è arrivato tramite la neuropsichiatra del servizio Materno Infantile poiché è stato appurato che la ragazza non soffre di epilessia ma che il suo svenire, ha una natura prettamente psicologica.
Aminah è passata da una cultura all’altra (così come la rappresentazione del suo Sé) che ora si vede attaccato. Questo attacco è sentito come reale, pressante e ingestibile perché la stessa struttura familiare di Aminah, è ingestibile e pressante.
La madre della giovane è presa ad occuparsi della numerosissima famiglia, dimenticandosi di contenere adeguatamente la giovane che ora è pronta per essere sposa e diventare un problema esterno alla sua famiglia “ora spetta a lei fare bambini”.
Aminah non può separarsi, differenziarsi e si sente usata e abusata della propria identità di cui, non ha potere decisionale.
Aminah si sente preda del dolore, un dolore così forte da farla sentire frammentata -non contenuta- sul punto quasi di sciogliersi e infatti cade a terra, cede alle pressioni del dolore e sviene.
La ragazza comincia il suo personale percorso di supporto psicologico; può ora nella “stanza” essere accolta e contenuta.
La giovane è collaborativa e desiderosa di esprimersi; ora può cadere (nel vero senso della parola perché durante i colloqui ha spesso accennato svenimenti o eccessivi rilassamenti) che nel tempo presente, possono essere accolti e possono essere risignificati.
Aminah si sente tenuta e sollevata, chiede di bere (questo gesto concreto rimanda a qualcosa si simbolico; al soccorso di cui lei ha bisogno.. l’adulto soccorrevole che aiuta il piccolo umano a compiere i primi passi nel mondo).
La terapeuta diviene quindi per Aminah quel primo soccorso, di cui lei ha sentito profondamente la mancanza, durante l’infanzia; quell’umano che risponde al bisogno del bambino un attimo prima che lui domandi.
Aminah può avere -ora- quella sua personale zona d’illusione.
Gli incubi di cui la ragazza soffre sono pieni di un simbolismo così reale da rendere partecipe la terapeuta; così partecipe da ristabilire l’area di rêverie come spazio di rispecchiamento portando (la clinica stessa), a rivivere le sue personali esperienze con l’oggetto buono e cattivo, infantile.
Aminah nel corso del suo percorso recupera forma fisica e assetto nello spazio.
Ora non cade più, non cede ed è riuscita a portare il suo pensiero nonostante un padre profondamente castrante e un ambiente familiare deprivante.
Gli occhi della ragazza sono ancora nerissimi, ma ora intensi e vivi.
Sono occhi da cui emerge tutta la progettualità che una giovane donna (ora di 20 anni), può concedersi.
Aminah immagina, crea e distrugge con i pensieri, i sogni e la fantasia.
Studia e ha una relazione con l’uomo che lei ha sempre desiderato trovare. Si immagina madre amorevole e presente; ha scoperto che un corpo può fare tante cose.
Così come un corpo può sentire il dolore -cedendo- può anche sentire il piacere.
Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi).
La storia che voglio condividere con voi oggi, è piuttosto particolare. E’ stata la ragazza in questione a chiederne condivisione nella speranza di muovere la riflessione “nei genitori”, ovvero in tutti coloro che per un motivo o un altro, rivestono un ruolo analogo.
Proviamo ad andare con ordine.
Per genitorialità si intende una funzione molto delicata e complessa che si snoda lungo la vita di coloro che decidono di avere un bambino; a rendere complessa tale funzione è, come vedremo, il fatto che genitore non si nasce né si diventa ( intendo con ciò che non si tratta di una funzione che mira al raggiungimento di uno scopo X che, una volta raggiunto, comporta il riconoscimento di buon genitore). Non è qualcosa di statico ma è un processo in divenire, sempre attivo, in cui ci si conosce e riconosce, in cui si è esposti al continuo fluire e mutamento della vita (della famiglia). Nella genitorialità vi sono sia aspetti individuali relativi quindi alla nostra idea (in parte conscia e in parte inconscia) di come un genitore deve essere e, sia aspetti di coppia ossia della modalità relazionale che i partner condividono nell’assolvere questo specifico compito. Non è quindi l’evento biologico a fare un genitore, essendo questo un evento che produce significativi cambiamenti individuali e relazionali che, saranno presenti ed in continua evoluzione lungo tutto il resto del ciclo vitale degli individui coinvolti. L’elemento fondamentale nasce dal fatto che si parte da una coppia (2 individui) per poi giungere a una famiglia (3 o più individui) che analogamente ad un team, coopereranno per creare un ambiente sano, accogliente che possa favorire l’emergere delle qualità proprie di ciascun membro coinvolto. All’interno della funzione genitoriale vi sono tutta una serie di “compiti” (mi si passi il termine, ma il riferimento tecnico/scientifico me lo impone), che al momento però, non sono rilevanti per il discorso portato avanti.
Giulia ha 16 anni e giunge in consultazione di sua spontanea volontà; le motivazioni intrinseche della ragazza sono molto forti ed evidenti fin da subito, mentre ad essere scostante è la madre.
La ragazza ha un evidente e urgente bisogno di parlare con me; quando si siede è vistosamente in agitazione ma non si tratta di un’agitazione convulsa quanto più di una necessità che finalmente sta per trovare rete di contenimento.
Il nucleo familiare è originario di una città del centro e si è trasferito da qualche mese al sud perché il padre ha deciso di trasferirsi in una certa azienda per fare finalmente carriera; da sempre schiavo del suo lavoro aspetta con ansia la possibilità di esser riconosciuto anche all’estero e forse, ora, ha trovato il giusto trampolino di lancio. La madre di Giulia è una donna abbastanza vuota; convinta di essere superiore alle altre donne, si muove nel mondo con aria superba e convinta del suo esser migliore degli altri, spara sentenze a zero senza rendersi conto che così facendo, fa “il gioco” di chi tanto critica.
Giulia si è integrata benissimo in città, dove vivevano prima era vittima di bullismo (è una ragazza molto alta e grande, per l’età che ha) mentre ora sente di potersi esprimere liberamente; ha inoltre una relazione d’amore con una ragazza e vive la sua sessualità in maniera libera e spensierata.
Cosa agita allora Giulia?
Un giorno, navigando su una certa piattaforma, legge alcuni commenti sulle pagine da lei maggiormente frequentate, da parte di una utente che spamma parti del suo corpo di continuo. Questo nome attira l’attenzione della giovane perché notando il tipo di interazione che viene utilizzato, Giulia sembra riconoscere qualcosa di familiare.
La ragazza comincia a seguire questo account e nota pagine e pagine di discussione che questo “nome” fa su diversi blog e social.
“Quello che mi sconvolgeva Dottoressa era la stupidità delle conversazioni; l’illusione da parte di questi soggetti coinvolti che in quelle conversazioni, fosse raccontata la realtà”
Giulia scopre in breve tempo che quell’account è sua madre e comincia a non dormire la notte perché immersa nel bisogno di capire “perché, per quale motivo”.
Ciò che delude maggiormente la ragazza, è il fatto che sua madre si sia creata una vita parallela; racconta di essere completamente un’altra persona e passa le ore intere ad adescare persone online.
“Provo un senso di schifo e vergogna io, per lei. Quei disperati che le scrivono poi… Ma secondo lei un professore impegnato o un professionista del marketing passano le ore là sopra così.. senza fare niente? Se mia madre ha potuto inventare tutto, di sicuro lo hanno fatto anche loro. Che merda dottoressa… che schifo… Il fatto che quella donna lì sia mia madre e che si sieda a tavola con me, la sera e dorma con mio padre mentre di giorno fa quelle cose, mi provoca un dolore così forte da non sapere più dove metterlo”.
Infatti il dolore di Giulia diviene così insopportabile da provocarle tutta una serie di sintomi psicosomatici talmente forti da farla ammalare per davvero (senza specificare ci saranno problemi medici di salute, sul lungo termine)
Il padre di Giulia non si è mai accorto di niente (così come la madre, per quanto concerne il motivo del disagio della figlia). La ragazza non ha mai avuto il coraggio di confessare alla madre di sapere, di aver trovato il materiale (le prove) di ciò che lei fa online e fuori dallo schermo.
La situazione appare quindi complessa perché fermi nella situazione in cui sai qualcosa che non dovresti sapere, la mente comincia a girare su se stessa notte e giorno, senza sosta, senza motivo.
Come clinica sperimento l’ansia in prima persona: alcuni colloqui sono senza aria, senza via d’uscita; non si vede nemmeno lontanamente la scritta “exit” e sento molto la sofferenza di Giulia.
Non c’è stata persona, lo sapete, che abbia varcato la porta dello studio che mi sia rimasta indifferente; ciascuno a modo suo si prende un piccolo spazio nel mio vissuto lasciando traccia emotiva ma Giulia è una ragazza da cui faticherò a distaccarmi.
Riesce a leggere la realtà in una maniera sincera e realistica; si mette in gioco e segue passo passo, senza opporre resistenza ma anzi, chiedendole, le mie interpretazioni.
“Sa Dottoressa… le madri non solo ti mettono al mondo dandoti la vita… spesso… il mondo possono anche togliertelo: deludendoti”