Oggi è con il pensiero del grande Totò, che vogliamo iniziare la nostra giornata.
“Finisce bene quel che comincia male” è un pò il mantra con cui da oggi, decidiamo di concludere, salutare e accompagnare tutti coloro che con tanto affetto, ci stanno seguendo. E’ un augurio, una speranza, una frase aperta e densa di significato.
Si tratta di una frase prospettica con cui tutti ci auguriamo di “truvà pace / trovare pace”, come invece Eduardo De Filippo, ci ricorda.
Ognuno nella vita ha calpestato strade dissestate; ha seguito percorsi dagli incomprensibili segnali. Ostacoli si frappongono quasi quotidianamente tra noi e i nostri obiettivi e la paura spesso aleggia sulle nostre scelte, ma nonostante tutto, non molliamo!
E’ proprio questo il messaggio che da oggi, decidiamo più che mai di voler condividere.. anche il peggiore degli inizi, può generare una magnifica gemma che se sapientemente coltivata, potrà dare vita a solidi rami e magnifici fiori.
Finisce bene ciò che comincia male, allora! e… Buona fine!
Nel 1921 lo psichiatra Jacob Moreno fondò il teatro della spontaneità, ovvero delle rappresentazioni teatrali che non erano precedute da prove, in quanto puntavano a mettere in scena la realtà. Una delle innovazioni previste dall’ausilio della tecnica che avrebbe successivamente dato i natali al role playing, era l’attivo coinvolgimento da parte del pubblico, che non restava pertanto in disparte a fungere da semplice spettatore.
Moreno partendo da ciò, teorizzò una forma di azione terapeutica lo “psicodramma”; si trattava di una terapia di gruppo in cui i partecipanti potevano liberamente esprimersi con gesti, parole e movimenti. Azioni, gesti, sguardi, la libera espressione dei propri sentimenti o il contatto fisico, mostravano il loro potere terapeutico diventando sempre più una forma di terapia.
Ciò che attirò l’attenzione dello psichiatra, fu notare come la doppia componente (ludica e drammatica), consentisse alle persone di dare sfogo al proprio disagio in un clima accogliente e non giudicante.
Da queste premesse nacque pertanto il role playing (tecnica tutt’oggi largamente utilizzata), che prevedeva l’assunzione di un “ruolo” che andava “recitato”. Si tratta di una sorta di recita in cui i protagonisti provano a vivere e ad agire in una “data situazione” (simulata) dove però le interazioni e le azioni devono essere svolte, come se si stesse realmente vivendo quella situazione (bisogna quindi, in un certo senso, dimenticare che si sta fingendo, vivendo in pieno quella situazione). Il role playing è una tecnica molto utile sul piano del vissuto emotivo, in quanto chiama “in causa” in prima persona colui che sta recitando, presentandosi come un mezzo utile a comprendere le proprie e altrui emozioni e difficoltà.
Il fatto che la tecnica si presenti come un mezzo esplorativo circa la propria “emotività” e capacità di stare con l’altro, unitamente alla non necessità di materiale di supporto, rende quest’ultima largamente utilizzabile non soltanto in un classico setting terapeutico (ad esempio lo studio dello psicologo), ma anche nelle aule scolastiche o nei luoghi di lavoro.
La presenza di uno psicologo psicoterapeuta esperto, aiuterà quindi il gruppo a sintonizzarsi meglio con le proprie emozioni, lasciando da parte la vergogna o la paura di dire/fare qualcosa di sbagliato. Il role plaing è infatti uno strumento più o meno strutturato, che si basa su una metodologia attiva lasciando un ampio margine di interpretazione ai soggetti coinvolti, i quali, guidati da un conduttore (lo psicologo) autorevole (che non si impone), restano gli attori/protagonisti principali in un “dramma che non ammette repliche”.