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Incubo.

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“Mi sveglio sudata in preda a palpitazioni. Il cuore è fermo che batte su se stesso al centro della mia gola; sono cosparsa di acqua fredda su tutto il corpo.. è proprio lui, il mio corpo che si è attivato e mi rende il favore dell’incubo così.. facendomelo vedere mentre corre e scorre su di me. Sono scossa, non capisco bene cosa sia successo.. Ogni sera una lotta continua tra la parte che mi tiene di qua – sveglia- e la parte che mi tira dall’altro lato.. nel buio.. quello fatto di incubi che mi fanno agitare, muovere; gli stessi incubi che mi fanno dimenare le gambe perché vorrei scappare ma invece sono bloccata nel sogno; gli stessi incubi che mi fanno urlare ma solo nel sogno perché di là.. nel mondo reale nessuno sente il mio dolore e il mio urlare. Piango quando ho gli incubi.. però nessuno se ne accorge perché mi sveglio di scatto in preda ad una strana, orribile, sensazione che non mi darà più pace. Ho imparato a fingere che vada tutto bene.

Ma la notte, per me, è un vero tormento.

Un vero incubo che si ripete”.

Circa il 47% della popolazione generale adulta dichiara di aver avuto almeno un incubo una volta, nella vita. Il fenomeno si presenta in maniera ricorrente all’incirca nel 5-8% della popolazione, con una percentuale che giunge al 20-30% se consideriamo i bambini.

Gli incubi sono sogni dal contenuto spaventoso e terrificante; contenuto che porta con sé sentimenti e sensazioni di paura, ansia rabbia o tristezza. Le sensazioni provate sono così sgradevoli da portare il soggetto al risveglio.

Gli incubi possono essere di origine post-traumatica (come parte della reazione di stress post traumatico) idiopatici o stress indotti. Ne deriva che gli incubi possano insorgere in seguito ad un profondo e grave stress (ad esempio un abuso o l’esser sopravvissuti ad una catastrofe o qualcosa che ha messo seriamente in pericolo la propria vita); possono essere scatenati senza esser associati ad altra malattia o psicopatologia; possono poi essere il derivato di altro stress indotto (un esempio può essere la correlazione con un forte stress lavorativo).

Fino al XVIII secolo, gli incubi erano considerati il derivato di pratiche legate alla stregoneria; si considerava – infatti- che una creatura malefica si appoggiasse al petto del dormiente (da cui il termine incubare che stava proprio a richiamare l’immagine dello spirito del maligno che covava e stazionava sul petto del dormiente).

Attualmente per procedere con una corretta diagnosi, si procede innanzitutto andando a comprendere se la causa degli incubi sia legata ad un disturbo d’ansia o un disturbo post traumatico da stress. Nel 70% dei casi la terapia cognitivo comportamentale si è dimostrata efficace, portando alla scomparsa degli incubi.

Ugualmente efficace è la psicoterapia, utile ad una maggior comprensione del proprio disagio e vissuto emotivo.

Per quanto concerne la terapia farmacologica, questa è scarsamente utilizzata a causa degli effetti collaterali. L’approccio farmacologico è preso in considerazione nel momento in cui la vita del paziente è seriamente compromessa oppure la frammentazione/interruzione del sonno è troppo elevata. Gli antidepressivi utilizzati però, hanno proprio tra gli effetti collaterali l’aumento degli incubi, innescando un circolo vizioso di difficile risoluzione.

La psicoterapia (con o senza tecniche di training autogeno), resta ancora la cura migliore.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Fobie

Le fobie possono essere descritte come paure irragionevoli e inappropriate. Esse sono state definite per la prima volta già nel 1798 come “paure di demoni immaginari o paure indebite di cose reali” da Benjamin Rush che le descrisse facendo un elenco di 18 fobie.

Oggi le fobie sono abbastanza comuni, si possono osservare a tutte le età e a volte si accompagnano ad altri tipi di disturbi come gli attacchi di panico, le compulsioni (disturbo ossessivo compulsivo) o anche disturbi dell’umore (depressione). Le fobie hanno un peso specifico determinante e a volte devastante per la vita delle persone che ne soffrono. La fobia in generale è descritta come una paura unica ma dirompente e invalidante.

” Un ragazzo venne ad un primo incontro insieme alla madre. Era magro, abbastanza alto per la sua età. Entrò con passo esitante, ma appena accolto in stanza e invitato ad accomodarsi insieme alla madre, si andò a sedere velocemente. Nonostante facesse particolarmente freddo quel giorno portava solo una felpa col cappuccio, opportunamente alzato a coprire la testa e il volto. Sotto il cappuccio si intravedeva un cappellino di lana e un ciuffo di capelli che spuntava sulla fronte che gli copriva ulteriormente il capo, gli occhi e il volto. Si sedette, chinò il capo, mani nelle tasche della felpa scura e rimase in silenzio. La madre esordì dicendo: ” non so neanche come sono riuscito a portarlo qui dottore, non voleva venire. Non esce da giorni, dice che si mette vergogna e che ci viene l’ansia, non so più che fare.”

Caso clinico –
fobia sociale – immagine google

Le fobie sociali sono condizioni molto diffuse e si possono manifestare spesso con altri disturbi dell’umore o con disturbi d’ansia. Ci possono essere diverse manifestazioni cliniche dell’ansia sociale (caratterizza questa fobia una forte paura per il giudizio degli altri, sentirsi inadeguato e non all’altezza degli altri) e può essere estremamente sintetizzata come una variante molto più grave della timidezza. Spesso insieme alla fobia sociale si può presentare l’agorafobia (letteralmente paura delle piazze) che può portare ad un forte timore per le uscite in generale (anche andare al supermercato), paura di allontanarsi troppo da casa, paura di sentirsi male in pubblico (dove si potrebbe esser notati e creare un disagio) o sentirsi male in un posto dove si potrebbe non essere visti e quindi soccorsi. La claustrofobia è invece la paura degli spazi ristretti e chiusi (questa fobia si lega spesso alla sensazione di sentirsi soffocare, non respirare, come se mancasse l’aria).

Copertina di un videogioco – immagine google

La fobia per le malattie (negli ultimi tempi più presente nelle persone a causa della pandemia), ad esempio, si differenzia dall’ipocondria, perché rispetto a quest’ultima, nella fobia è presente l’evitamento per la situazione temuta. La paura risulta essere sproporzionata rispetto alla situazione reale; la persona non riesce a controllarla volontariamente e non riesce ad eliminare l’ansia seppur in possesso di spiegazioni razionali.

Nelle fobie, l’ansia, dal punto di vista soggettivo (per la persona che la prova) si può considerare “situazionale” (legata ad una situazione, timore per qualcosa in particolare); l’ansia, nelle fobie, è in genere legata a qualche circostanza o oggetto specifico. In genere la persona si “difende” da queste sensazioni di ansia e paura ingestibili evitando la situazione o l’oggetto specifico che procura l’ansia (evitamento).

immagine google

Concludendo, vorrei soffermarmi sull’aspetto soggettivo di questo problema. Può sembrare, a chi la vede “da fuori”, che la fobia sia una cosa estremamente bizzarra, a volte fastidiosa, a volte addirittura esilarante. In realtà la percezione per chi la vive è estremamente reale, di natura invasiva e coercitiva tanto da compromettere la quotidianità di una persona. Come le ossessioni, le fobie sono ripetitive e difficili da estirpare. Resistere ad una fobia è a volte quasi impossibile. Le persone che ne soffrono sono consapevoli dell’esagerazione e dell’irrazionalità delle loro paure, ma non riescono al liberarsene perché sono “paure interne”, provengono da loro stessi.

La psicoterapia può essere molto efficace per la risoluzione delle fobie, ma nei casi gravi può essere necessario, oltre alla psicoterapia, anche il supporto della terapia farmacologica almeno nelle fasi iniziali.

https://ilpensierononlineare.com/2019/06/26/pavor-nocturnus-terrore-notturno-e-bambini/

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Ho paura “di”… Che cos’è l’ipocondria.

Fonte Immagine “Google”.

Il termine di derivazione greca “ipocondria”, stava inizialmente ad indicare un malessere anticamente collocato nella fascia addominale. Se inizialmente la cura a questa patologia era pertanto legata ai malori addominali, ben presto si comprese che la causa di questo malessere era invece collegata ad aspetti psicologici dell’individuo.

Colui che è affetto da ipocondria, manifesta una continua preoccupazione legata alla paura/convinzione di avere una grave malattia, spesso derivata dall’erronea interpretazione di uno o più segni/sintomi fisici. Le preoccupazioni possono riguardare le funzioni corporee (controllare continuamente il battito cardiaco); alterazioni fisiche di lieve entità (un raffreddore o un mal di gola); sensazioni fisiche non ben definite (sentirsi affaticato o perennemente stanco).

Colui che presenta questi “sintomi”, attribuisce queste sensazioni ad “una data malattia”; la persona comincia così ad entrare in un meccanismo di preoccupazione continua (a tratti incessante) dove anche il più banale degli eventi (ad esempio fare uno starnuto) è avvertito come prova di avere quella malattia (talvolta anche il solo sentir parlare di una data malattia, basta ad innescare una preoccupazione).

La preoccupazione e il pensiero continuo “potrei avere.. potrei ammalarmi di..” spinge queste persone a sottoporsi a visite continue (tipico è incominciare a girare tra diversi specialisti e il sottoporsi alle indagini mediche più disparate e costose, nell’idea di dover trovare quella certa malattia). La convinzione di essere malati è così forte, che la persona arriva a sostenere di non aver ricevuto le cure adeguate “quel medico non capisce niente“, e a rifiutare l’aiuto di uno specialista psicologo “non sono pazzo, ho davvero una malattia“.

I tentativi che il soggetto mette in atto nell’idea di doversi così curare (visite ripetute, continui check-up del proprio corpo o la ricerca incessante ad esempio online, di informazioni sulle malattie), più che un tentativo di cura, diventano modi per incentivare la spirale di preoccupazione (spesso vera ossessione) di essere malati.

L’ipocondria è spesso assimilata al disturbo ossessivo compulsivo (ossessioni del paziente legate alla malattia) pertanto nei casi più gravi si sottopone il paziente a terapia farmacologica (antidepressivi ad azione serotoninergica), o nel caso di forme più lievi si tende ad utilizzare le benzodiazepine.

In ogni caso è bene tener presente che la sola terapia farmacologica non si presenta come la cura del disturbo (che ha spesso, invece, radici relazionali ben più profonde), ma si presenta solo come un primo approccio volto a ridurre l’ansia o le ossessioni presenti; l’ausilio della psicoterapia si presenta invece come un supporto utile alla comprensione delle reali e profonde radici del disagio.

Dott.ssa Giusy Di Maio.