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IO – Casa – Varsavia.

Lo stranissimo titolo sembra proporre tre cose unite da “nessun” senso.

La riflessione di oggi muove su un continuum che parte da Freud per finire ancora un volta, nella musica e in Chopin.

“L’Io non è padrone in casa propria”

Diceva Freud, questo perchè l’essere umano è abitato da una dimensione inconscia che ha sempre evitato di considerare e conoscere, derivazione questa che proviene da quel gioco narcisistico che ha fatto sì che egli si mettesse al centro dell’universo, padrone indiscusso della sua razionalità.

Nell’Introduzione alla psicoanalisi, Freud (1915-1917), scrive che l’umanità ha dovuto subire, nel corso del tempo, una serie di mortificazioni. Innanzitutto La scienza ha mostrato che la terra non è al centro dell’universo, ma solo una piccola parte di un grande cosmo (la rivoluzione Copernicana).

Altra mortificazione subita dal genere umano, risiede nel fatto che la ricerca biologica ha mostrato che l’uomo discende dal regno animale (opera di Darwin).

La terza e grande mortificazione subita dal genere umano, è data dalla psicologia che ha mostrato come l’Io non sia padrone in casa sua. L’Io vive (molto ironicamente) ben lontano dal conoscere cosa accade in casa propria.

La psicanalisi offre la possibilità di mettere il soggetto al centro del suo discorso (siamo proprio sicuri che quando diciamo Io, stiamo davvero riferendo a noi stessi?) responsabilizzando il soggetto stesso rispetto al suo malessere: ecco perchè la terapia è attiva ma soprattutto soggettivante.

Le persone sono più del loro sintomo e sono portatrici di una storia (un complesso di storie perchè tutti siamo la somma di tante storie e voci che ci attraversano legandosi insieme, tra loro. Storie stridule, stonate e urlate. Storie sussurrate e blandamente raccontate. Storie che non trovano accordo o producono una dissonanza).

E ora??? che c’entra Varsavia?

La condensazione dei termini trova ragione in uno studio di Chopin importante per me, per diverse ragioni (anticipo solo che l’amore per Chopin è bastato a farmi prendere un aereo per Varsavia).

Chopin compose lo studio op 10 n 12, conosciuto anche come la Caduta di Varsavia, quando nel 1831 si trovava a Stoccarda. l’8 settembre seppe del fallimento dell’insurrezione polacca e della presa di Varsavia da parte dei russi (Rivolta di Novembre). Chopin a causa delle pessime condizioni di salute, non poté prender parte alla lotta per difendere la propria casa, ed eccola qui.. l’analogia, la mia catena di significanti.

Io- casa- caduta di varsavia- Chopin.

Questo studio è strettamente legato ad alcuni eventi personali, ma questa è altra storia (altra catena di significanti) che forse.. chissà.. verrà prima o poi raccontata.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Giocala se vuoi..

Immagine Personale.

Desidero condividere con voi un nuovo approfondimento sulla tecnica del gioco. Come avremo a breve modo di vedere, il gioco è stato – da un certo momento in poi della storia della psicanalisi- una tecnica centrale utilizzata in particolare con l’analisi dei bambini.

…Un freddo giorno di Novembre (di anni da allora ne son passati), in un’aula universitaria si apprestava ad entrare una donna piuttosto bassa, dai capelli molto corti e dal tono di voce cordiale e pacato. Si trattava della mia professoressa di psicologia dinamica, una professionista dalla capacità narrativa incantevole e ipnotica, che seppe da subito conquistarmi con la sua capacità di rendere vive e vere le storie dei pazienti di cui ci faceva dono (a tal proposito devo dire che è stata una delle poche a parlarci davvero dei pazienti; molti clinici tendono ad avere poca apertura e capacità di condivisione). Fu lì, con lei e in quell’aula al primo piano, che mi innamorai di Melanie Klein…

Buona lettura.

Melanie Klein contro tutti.

Freud aveva già in precedenza provato a parlare di psicanalisi infantile, sostenendo ad esempio che la nevrosi dell’adulto trovasse radici in una nevrosi infantile presente all’epoca del complesso d’Edipo. Nonostante ciò, non esistevano studi sistematici sulla nevrosi infantile (salvo per il caso del piccolo Hans) pertanto le riserve in merito al parlare di psicoanalisi infantile erano ancora piuttosto forti.

L’intuizione della Klein fu l’aver messo in luce che il modo che i bambini hanno per esprimersi, è il gioco. Per i bambini – infatti- il gioco è sia un lavoro che consente loro di esplorare e padroneggiare l’angoscia attraverso l’espressione e l’elaborazione della fantasia, ma anche mezzo per drammatizzare le proprie fantasie, elaborare e rielaborare i conflitti. Il gioco libero (insieme a qualsiasi comunicazione verbale) può fungere da corrispettivo delle libere associazioni (utilizzate con gli adulti, in terapia). Per comprendere il gioco, bisogna utilizzare il metodo elaborato da Freud per svelare i sogni (si tratta di comprendere il simbolismo sotteso e tutti i mezzi di rappresentazione e meccanismi utilizzati).

A tal proposito, un sintomo rilevante è l’inibizione del gioco (incapacità assoluta di giocare o ripetitività rigida priva di immaginazione) che comporta una inibizione della vita fantastica e dello sviluppo in generale. L’inibizione può risolversi se l’angoscia alla base, si attenua per effetto dell’interpretazione.

I principi di una tecninca.

Nel 1923 la Klein delinea i principi dell’analisi e della tecnica. Le sedute devono durare 50 minuti per 5 volte a settimana. I mobili della stanza sono lisci e semplici; un tavolino con una sedia per il bambino, una poltrona per l’analista e un piccolo divano; pareti e pavimento lavabili. Ogni bambino aveva una scatola di giocattoli per sè, da usare solo durante il trattamento. I giocattoli comprendevano casette, figure umane maschili e femminili, animali domestici e selvatici, palle, forbici, nastro adesivo e corda. Nella stanza d’analisi doveva inoltre essere presente un lavabo in quanto in certe fasi dell’analisi, l’acqua ha un ruolo significativo. Un punto fondamentale concerne il fatto che essendo il gioco libero, i giocattoli non devono avere un chiaro significato: non devono cioè suggerire già un gioco o come essere usati, ma devono avere la capacità di poter essere usati in qualsivoglia maniera. I giocattoli non devono ad esempio dare indicazione di un ruolo specifico come una divisa che indica una certa professione (a tal proposito vorrei aggiungere che le preoccupazioni di molti genitori sulla scelta di un certo tipo di giocattolo “mio figlio gioca con le barbie”, lasciano il tempo che trovano. I giocattoli maschili o femminili, si potrebbe quasi dire, non esistono. Esiste la proiezione di un sentimento, di un ruolo, di una storia, del proprio mondo interno che può in quel dato momento, riportare una “cosa terza”, legata ad esempio a qualcosa che la mamma di un bambino ha fatto). I giocattoli inoltre devono essere molto piccoli in quanto sembra che così facendo si prestino maggiormente alla rappresentazione del proprio mondo interno.

La storia di Melanie Klein è molto articolata, sia in termini biografici che in termini professionali. Si tratta di un’autrice che difficilmente ha avuto il favore della platea (anche tra gli studenti universitari) in quanto – come la mia professoressa diceva- la Klein è “terrificante”.

Negli anni la psicanalista ebbe dei punti di divergenza sia con Freud che con sua figlia, Anna Freud.

Anna F. sosteneva ad esempio che nel bambino non si producesse la traslazione in quanto i bambini erano ancora troppo dipendenti dai genitori. Per la Klein invece i bambini erano capaci di instaurare una traslazione proprio per la loro – ancora – forte dipendenza dall’adulto e per la sofferenza provata in seguito ad angosce.

Sono stata molto felice di potervi presentare seppur in maniera breve, il lavoro della Klein. Come sempre se ci sono curiosità, domande o la semplice voglia di “esserci”, vi attendo con molto piacere.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.