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Fantasmi: genitori e figli.

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L’isola del tempo (senza tempo) ovvero la stanza d’analisi in cui si viene a creare (e ad agire) la relazione paziente/terapeuta, non è fatta dai soli elementi che concorrono a formare il setting materiale e immateriale; anche il corpo dell’analista stesso diviene luogo di agito e per agire.

Il controtransfert corporeo (che interessa il corpo dell’analista) consente di arrivare alla comprensione (possibile) del fantasma fondamentale.

Gli adolescenti vivono in quella condizione che li fa costantemente oscillare tra il desiderio di relazione e la paura dell’intrusività, tra desiderio di contatto e difese che si ergono come barricate difficili da far crollare, erette per evitare di subire il controllo dell’oggetto (Super-Io perverso).

La qualità del legame con oggetti genitoriali inaffidabili e abusanti modellano e influenzano le successive relazioni. Accade, ad esempio, che i conflitti con i genitori si riattualizzino nella seduta con l’analista rievocando o rivivendo quelli più arcaici.

(Ecco perché la terapia è qualitativamente e quantitativamente molto diversa dalla semplice chiacchierata che chiunque è convinto di poter offrire come supporto, al disagio della persona).

Modalità relazionali genitoriali che non riconoscono l’identità e l’indipendenza del figlio, producono una violazione del figlio stesso, tale da indurre traumi che ostacoleranno la costruzione di una relazione in cui si riesce ad esprimere in maniera sana (e intima) i propri bisogni di cure.

Il movimento del bambino verso l’oggetto sarà così tanto compromesso da produrre difese autistiche, narcisistiche oppure le basi per un falso sé, fino a giungere all’identificazione con l’aggressore e un’introiezione del senso di colpa.

(Attenzione quindi a parlare di traumi o aggressioni, presunte o reali, con troppa facilità).

Quale il possibile destino dell’adolescente?

Ripetere il trauma (che sarà rimesso in scena anche durante la seduta).

“Il vincolo perverso che transferalmente si può ricreare offre l’occasione di liberarsi dalla ripetizione, consentendo il progressivo affrancarsi dalle aree traumatiche” (Cinzia Carnevali, Paola Masoni, 2021).

Cosa può accadere nel setting?

Nell’incontro del qui e ora, si può ripetere il trauma del là e allora; questi adolescenti possono instaurare un legame (con l’analista) che oscilla tra intimità patologica (simbiotica e perversa), collusiva, difese narcisistiche oppure esplosioni di rabbia.

E’ necessario, spesso, dimenticare la linearità del pensiero non essere statici e rendere il setting elastico al pari di una rete di contenimento dei circensi; un setting morbido al cui interno l’analista è capace di farsi usare (Winnicott, 1969) fino a (ri)vivere sulla propria pelle le modalità intrusive e aggressive subite dagli adolescenti durante l’infanzia.

La salute mentale è fondamentale.

Non improvvisiamoci.

Crediamoci.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

#RiconoscimentoDelDisagioPsicologico

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Erotizzazione del Transfert pt2.

Nel 1914 Freud sostiene che la maggiore difficoltà, per l’analista, consista nel modo di utilizzare il transfert quando il paziente dice di essersi innamorato.

La difficoltà diventa quella di non cedere al pensiero che l’innamoramento riguardi la persona dell’analista stesso ma che si tratti solo di una conseguenza -invece- della situazione analitica stessa.

L’innamoramento può infatti anche esser considerato e inteso come una resistenza alla cura analitica e va pertanto considerato all’interno del transfert negativo. Può pertanto accadere che il paziente, puntando sulla propria irresistibilità (Mangini, E., 2001), utilizzi quest’ultima per minare l’autorità dell’analista.

E’ pertanto necessario fare in modo che il paziente rinunci o sublimi le proprie pulsioni (Mangini, E., 2001).

L’analista non deve ricambiare l’amore del paziente e deve far in modo che il paziente oltrepassi il principio di piacere e rinunci ad un soddisfacimento immediato.

L’analista deve quindi avvalersi della propria analisi personale, del training seguito, delle discussioni con i colleghi, del rispetto del setting analitico e dell’analisi del controtransfert.

Il controtransfert è inteso come risposta emotiva inconscia dell’analista al transfert del paziente. I movimenti transferali del paziente provocano reazioni nell’analista ma è solo dagli anni 50 che il controtransfert è stato considerato indispensabile ai fini dell’analisi perché visto come un sentimento provato dall’analista che gli fa vivere il sentire emotivo del paziente grazie al meccanismo dell’identificazione proiettiva.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Transfert p1.

Scoperto grazie alle pazienti isteriche, è inteso come l’insorgere di affetti buoni e cattivi, erotici e aggressivi, rivolti verso l’analista; tali affetti sono riferibili alle figure genitoriali, ovvero ai primi oggetti d’amore.

Nella situazione analitica si trasferiscono tutti i desideri rimossi, i conflitti, le angosce (specie se non sufficientemente elaborati nell’infanzia) sulla figura dell’analista stesso; queste esperienze si ripresentano nella relazione che viene a crearsi, pertanto, con l’analista.

Queste situazioni affettive infantili (che sono rimaste inelaborate), trovano spazio nelle relazioni umane e in particolare in quelle terapeutiche. Si può in tal modo ricreare nell’analista quel rapporto di dipendenza, gelosia, analogo a quanto vissuto e rimosso nell’infanzia, in relazione agli oggetti primari edipici.

Per transfert si intende quindi il trasferimento di desideri inconsci infantili nell’attuale delle relazioni e ella vita psichica del soggetto: “non è pertanto un fenomeno limitato al solo contesto analitico” (Mangini, E., 2001).

Se il transfert avviene all’interno della cura analitica, transfert stesso e analisi costituiscono una riattualizzazione della malattia all’interno della cura, e si ha una nevrosi di transfert, la cui risoluzione coincide con la fine della cura.

Con la scoperta del complesso di Edipo, il concetto di transfer è stato ampliato e connotato da sentimenti ambivalenti di odio/amore tipici della situazione edipica. Proprio nella situazione edipica, Freud mutuerà il concetto che possa esistere un transfert positivo (sentimenti d’amore) e uno negativo (sentimento di odio). Inizialmente il transfert era di ostacolo al lavoro analitico poi fu considerato necessario a quest’ultimo poichè la sua risoluzione è lo specifico del trattamento psicoanalitico per cui tutti i conflitti devono essere affrontati nell’ambito della traslazione.

Il transfert positivo implica che la relazione si fondi su sentimenti d’affetto verso il terapeuta, permettendo l’accettazione delle interpretazioni; il transfert negativo è caratterizzato da sentimenti di ostilità per cui la resistenza alla cura è difficilmente superabile.

Secondo Zeztel perchè si instauri una positiva relazione transferale è necessario aver vissuto una adeguata relazione uno a uno con la madre, ovvero con il primo oggetto d’amore. Il principio cardine del transfert è la coazione a ripetere per cui si ripetono esperienze relazionali inscritte nell’inconscio, dunque rimosse, che non hanno trovato adeguato soddisfacimento ed elaborazione psichica; il rivivere analiticamente queste esperienze consente quindi di superarle.

Essendo legato alla coazione a ripetere, il transfert all’inizio sarà inteso come capace di produrre una malattia artificiale, ovvero la nevrosi di transfert, è così che il transfert è anche legato al concetto di resistenza ovvero quanto più siamo vicini al materiale inconscio e infantile, più aumenta la resistenza. Se infatti un ricordo può accedere alla coscienza, questo viene ripetuto nel transfert perchè la coazione a ripetere è il modo più primitivo di ricordare. Quanto maggiore è la resistenza, tanto maggiore è la misura in cui il ricordare viene sostituito dal ripetere.

Continua.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Giocala se vuoi..

Immagine Personale.

Desidero condividere con voi un nuovo approfondimento sulla tecnica del gioco. Come avremo a breve modo di vedere, il gioco è stato – da un certo momento in poi della storia della psicanalisi- una tecnica centrale utilizzata in particolare con l’analisi dei bambini.

…Un freddo giorno di Novembre (di anni da allora ne son passati), in un’aula universitaria si apprestava ad entrare una donna piuttosto bassa, dai capelli molto corti e dal tono di voce cordiale e pacato. Si trattava della mia professoressa di psicologia dinamica, una professionista dalla capacità narrativa incantevole e ipnotica, che seppe da subito conquistarmi con la sua capacità di rendere vive e vere le storie dei pazienti di cui ci faceva dono (a tal proposito devo dire che è stata una delle poche a parlarci davvero dei pazienti; molti clinici tendono ad avere poca apertura e capacità di condivisione). Fu lì, con lei e in quell’aula al primo piano, che mi innamorai di Melanie Klein…

Buona lettura.

Melanie Klein contro tutti.

Freud aveva già in precedenza provato a parlare di psicanalisi infantile, sostenendo ad esempio che la nevrosi dell’adulto trovasse radici in una nevrosi infantile presente all’epoca del complesso d’Edipo. Nonostante ciò, non esistevano studi sistematici sulla nevrosi infantile (salvo per il caso del piccolo Hans) pertanto le riserve in merito al parlare di psicoanalisi infantile erano ancora piuttosto forti.

L’intuizione della Klein fu l’aver messo in luce che il modo che i bambini hanno per esprimersi, è il gioco. Per i bambini – infatti- il gioco è sia un lavoro che consente loro di esplorare e padroneggiare l’angoscia attraverso l’espressione e l’elaborazione della fantasia, ma anche mezzo per drammatizzare le proprie fantasie, elaborare e rielaborare i conflitti. Il gioco libero (insieme a qualsiasi comunicazione verbale) può fungere da corrispettivo delle libere associazioni (utilizzate con gli adulti, in terapia). Per comprendere il gioco, bisogna utilizzare il metodo elaborato da Freud per svelare i sogni (si tratta di comprendere il simbolismo sotteso e tutti i mezzi di rappresentazione e meccanismi utilizzati).

A tal proposito, un sintomo rilevante è l’inibizione del gioco (incapacità assoluta di giocare o ripetitività rigida priva di immaginazione) che comporta una inibizione della vita fantastica e dello sviluppo in generale. L’inibizione può risolversi se l’angoscia alla base, si attenua per effetto dell’interpretazione.

I principi di una tecninca.

Nel 1923 la Klein delinea i principi dell’analisi e della tecnica. Le sedute devono durare 50 minuti per 5 volte a settimana. I mobili della stanza sono lisci e semplici; un tavolino con una sedia per il bambino, una poltrona per l’analista e un piccolo divano; pareti e pavimento lavabili. Ogni bambino aveva una scatola di giocattoli per sè, da usare solo durante il trattamento. I giocattoli comprendevano casette, figure umane maschili e femminili, animali domestici e selvatici, palle, forbici, nastro adesivo e corda. Nella stanza d’analisi doveva inoltre essere presente un lavabo in quanto in certe fasi dell’analisi, l’acqua ha un ruolo significativo. Un punto fondamentale concerne il fatto che essendo il gioco libero, i giocattoli non devono avere un chiaro significato: non devono cioè suggerire già un gioco o come essere usati, ma devono avere la capacità di poter essere usati in qualsivoglia maniera. I giocattoli non devono ad esempio dare indicazione di un ruolo specifico come una divisa che indica una certa professione (a tal proposito vorrei aggiungere che le preoccupazioni di molti genitori sulla scelta di un certo tipo di giocattolo “mio figlio gioca con le barbie”, lasciano il tempo che trovano. I giocattoli maschili o femminili, si potrebbe quasi dire, non esistono. Esiste la proiezione di un sentimento, di un ruolo, di una storia, del proprio mondo interno che può in quel dato momento, riportare una “cosa terza”, legata ad esempio a qualcosa che la mamma di un bambino ha fatto). I giocattoli inoltre devono essere molto piccoli in quanto sembra che così facendo si prestino maggiormente alla rappresentazione del proprio mondo interno.

La storia di Melanie Klein è molto articolata, sia in termini biografici che in termini professionali. Si tratta di un’autrice che difficilmente ha avuto il favore della platea (anche tra gli studenti universitari) in quanto – come la mia professoressa diceva- la Klein è “terrificante”.

Negli anni la psicanalista ebbe dei punti di divergenza sia con Freud che con sua figlia, Anna Freud.

Anna F. sosteneva ad esempio che nel bambino non si producesse la traslazione in quanto i bambini erano ancora troppo dipendenti dai genitori. Per la Klein invece i bambini erano capaci di instaurare una traslazione proprio per la loro – ancora – forte dipendenza dall’adulto e per la sofferenza provata in seguito ad angosce.

Sono stata molto felice di potervi presentare seppur in maniera breve, il lavoro della Klein. Come sempre se ci sono curiosità, domande o la semplice voglia di “esserci”, vi attendo con molto piacere.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.